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Se la medicina generale imita quella ospedaliera

di Enzo Bozza

18 LUG - Gentile Direttore,
succede, ormai troppo spesso, che le maggiori tragedie del nostro tempo abbiano l’onore della cronaca per poche settimane per poi passare nel sottofondo sbiadito dell’oblio, del già sentito e già visto. La profonda crisi della sanità pubblica italiana non fa più notizia e se non ci scappa almeno un morto e qualche ferito grave, la faccenda ce la cantiamo tra noi, addetti ai lavori, con una visibilità del problema pari ai rifugi di montagna che si vedono solo dopo chilometri di sudore e gambe buone. 

Succede, ormai troppo spesso, che le maggiori tragedie del nostro tempo vengano narrate e descritte dalla cronaca ma mai approfondite nella ricerca delle motivazioni e per questo cercare di correggerle. Esiste il racconto social, la notizia, il fatterello ma il tempo della riflessione e della consapevolezza attiva e determinante non esiste più.  

Un sistema istituzionalizzato come la sanità pubblica, ha bisogno di un concetto principe, quello del ruolo: è possibile governare l’intera macchina solo se ogni operatore ricopre un ruolo ben definito nelle competenze e nella posizione amministrativa. Cosa facilissima nella struttura ospedaliera, impossibile nella medicina del territorio. Il medico di base, da sempre, è un non ruolo, è la figura che nel continuo e assiduo rapporto con i suoi assistiti deve avere quella flessibilità e capacità adattativa legate al suo maggiore strumento operativo che è la relazione. 

La capacità di relazione, stabilire cioè un rapporto unico e dinamico con le persone attraverso la conoscenza della loro storia clinica e umana, è il vero ruolo del medico di base ma non è istituzionalizzabile, non può rientrare in nessuno schema amministrativo delle otto ore timbrate stimbrate, così diventa un non ruolo, a differenza dei colleghi ospedalieri che operano secondo orario e mansioni e per i quali l’aspetto relazionale è quasi del tutto assente: solo scientismo e tecnicismo, la macchina ospedaliera funziona così: avanti un altro. 

La decadenza della medicina di base è incominciata con l’abbandono della retorica del medico condotto del passato e il tentativo sempre più marcato di assomigliare al medico ospedaliero per il quale, e non si capisce perché, i medici di base hanno sempre avuto un certo complesso di inferiorità e una certa invidia. 

Fiorisce la medicina centralizzata delle case della salute, visite su appuntamento, prestazioni strumentali sempre più avanzate, e abbandono dell’aspetto peculiare del medico di base: la relazione, lo strumento che identifica la medicina del territorio. Stiamo imitando la medicina ospedaliera rinnegando quello che ci identificava, il nostro non ruolo, saper parlare alla gente. E la gente proprio questo chiedeva al medico di base, una relazione con la quale poter capire e gestire il tecnicismo della medicina ospedaliera. 

Da quando abbiamo fallito nel nostro non ruolo, siamo decaduti nel ruolo di funzionari amministrativi: ricette, certificati, impegnative, tutto quello che rinnega la nostra vocazione di medici e per questo medici frustrati alla ricerca di un ruolo che un tempo avevamo: il non ruolo del medico di famiglia. 

Due grandi sconfitte: la nostra come medici e quella dei nostri assistiti che fuggono verso una medicina cosmetica, quella privata dove pagando ottieni tutto e subito ma senza una relazione fatta di tempo e continuità. La gente non ha tempo, nessuna attesa e nessun coinvolgimento, solo una ricetta con un farmaco che definisce la tua malattia ma non la spiega e puoi viverla da solo, magari cercando su internet. Nulla di umano, siamo diventati solo un enorme deposito di contenitori etichettati senza nessun contenuto. Barattoli vuoti da consumarsi preferibilmente entro e non oltre. 

Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore

18 luglio 2022
© Riproduzione riservata

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