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Decreto PA. Solo belle parole

di Antonio Travia

03 LUG - Gentile Direttore,
dal 25 giugno 2014 è in vigore il DL 90, contenente le misure urgenti sulla Pubblica Amministrazione. Questa è solo una prima parte della riforma della PA. Le ulteriori novità arriveranno, infatti, con il disegno di legge in materia di pubblico impiego e che molto interverrà in materia di accesso e status della dirigenza. Fedir Sanità, sindacato che rappresenta la dirigenza gestionale, tecnico e amministrativa di Asl e AO, è preoccupata per il futuro della PA alla luce di questi provvedimenti. In particolare, l’idea del ruolo unico della dirigenza, delle modalità di attribuzione degli incarichi e l’accesso stesso alla dirigenza per come pensate da Renzi sono destinate a diventare un arma fatale contro e non certo a favore di un effettivo cambiamento della Pubblica Amministrazione. Il combinato disposto delle nuove norme del dl 90 sulla mobilità e le nuove esorbitanti percentuali di accesso dei dirigenti dall’esterno con contratti fiduciari uniti alle modalità di attribuzione e soprattutto di “non attribuzione degli incarichi dirigenziali” di fatto daranno all’organo politico (e quindi a  coloro che hanno fiduciariamente scelto, direttamente o indirettamente, i dirigenti  coinvolti nei mille scandali italiani) mani completamente libere per preporre nei posti chiave della gestione pubblica i propri “uomini”.

Fedir Sanità si è sempre battuta perché i dirigenti della Repubblica siano scelti tramite criteri effettivamente  oggettivi e  meritocratici e non siano asserviti al potere o, peggio, al politico di turno. Abbiamo portato avanti delle vere e proprie battaglie per denunciare casi in cui questo principio veniva violato. Il governo Renzi a parole vuole premiare la meritocrazia e l’efficienza ma nei fatti crea norme che nel brevissimo periodo consentiranno di scalzare l’attuale dirigenza pubblica, meritevole o no, per creare posto ai “suoi” uomini nel presupposto  che i “suoi” uomini sono tutti capaci e meritevoli e comunque  in barba alla  vera autonomia, vera indipendenza, vera meritocrazia, vera gestione efficiente della cosa pubblica da parte dei dirigenti. Certamente non si è contrari a svecchiare  e rinnovare, ma non certo a scapito di chi, proprio per assolvere con imparzialità il proprio compito in favore del primario interesse pubblico,  ha il solo difetto di non aver o non  voler avere tessere di partito in tasca.

Anche il taglio dei permessi e dei distacchi sindacali, fatto passare come la rivoluzione del secolo, per come operato (drastico e soprattutto lineare) più che a conseguire un vero risparmio (alquanto risibile visto che stiamo parlando di non più di 100 milioni di euro) sembra finalizzato a zittire la controparte. Dietro lo slogan di attaccare una casta piena di privilegi in realtà viene inferto un colpo secco a sindacati piccoli e grandi, generalisti ed autonomi, ponendo nell’assoluta impossibilità di rappresentare i propri iscritti quei sindacati autonomi che pur rappresentativi per legge non dispongono di grandi mezzi e per i quali quindi l’unica agibilità erano quelle poche centinaia di ore di permessi che oggi vengono negati. Ma, in una riforma complessiva della PA può davvero essere prioritario intervenire sul taglio dei diritti del lavoratore?

Quello che più ci fa riflettere è che i diretti interessati non sono mai stati ascoltati. Tale riduzione è stata fatta senza uno studio reale del contesto sindacale. Tagliare in maniera indiscriminata i distacchi e permessi significa privare alcune organizzazioni sindacali della effettiva  rappresentatività seppur legalmente riconosciuta. Solo alcune, però. Perché al ministro Madia sfugge che i piccoli sindacati hanno, a volte, pochissimi distacchi. Tagliare in certi casi vuol dire scegliere di distruggere il sindacalismo. Noi non siamo mai stati contrari a ridurre laddove è necessario. Era possibile tagliare anche il 70% dei distacchi e dei permessi ma guardando alle singole realtà, e preservando comunque un diritto sancito dalla Carta Costituzionale.
 
Quello che si prospetta non è certamente un futuro roseo per alcune categorie di lavoratori. Come già qualcuno ha giustamente sottolineato, nel contesto che si sta delineando i lavoratori potranno essere “comperati, premiati, promossi e pensionati sulla base di graziose elargizioni individuali che il potere esecutivo potrà conferire e togliere al di fuori e al di sopra di qualsiasi rappresentanza sindacale e di qualsiasi legge o contratto collettivo” perché dietro la facciata dei proclami e delle belle parole il governo ha paradossalmente scelto, per riformare, proprio quegli stessi strumenti (discrezionalità e fiduciarietà) che, gestiti malissimo ed abusati da una politica screditata e che non ha affatto dimostrato di essersi emendata,  sono invece stati, fino ad ora, la causa maggiore dei mali della PA.

Antonio Travia
Segretario di Fedir Sanità


03 luglio 2014
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