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Diagnostica, ticket e rimborsi. Alcune considerazioni sui dati del Corriere della Sera

di Paolo Sartori

16 FEB - Gentile Direttore,
intervengo con l’intento di apportare un contributo costruttivo e chiarificatore nel dibattito generato dall’articolo apparso il 5 febbraio 2018 sul Corriere della Sera a firma Gabanelli/Ravizza. Anzitutto corre l’obbligo di precisare che l’ordinamento sanitario Italiano prevede per qualunque soggetto, pubblico o privato, che intenda erogare prestazioni sanitarie due distinte procedure, una per l’autorizzazione ed una, successiva, per l’accreditamento.

La procedura autorizzativa prevede sia il possesso che il rispetto nel tempo, uguale su tutto il territorio nazionale, di precisi requisiti cosiddetti “minimi” dettati da un apposito decreto ministeriale del 1997 (detto anche “Bindi”); successivamente tutte le Regioni, con la modifica del titolo V della costituzione che ha assegnato la competenza in materia sanitaria alle singole Regioni, hanno recepito con propri atti tali norme, talvolta implementando tali requisiti minimi. Tutti i soggetti, quindi, per poter erogare prestazioni sanitarie alla popolazione, devono possedere e mantenere inalterati nel tempo questi “requisiti minimi” per l’autorizzazione periodicamente controllati dalle Aziende Sanitarie di riferimento.

Di questi soggetti, poi, quelli che intendono essere “accreditati” con il SSN (ed avere quindi diritto al rimborso delle prestazioni svolte in regime di convenzione) debbono possedere anche degli “ulteriori requisiti” previsti in maniera autonoma da ogni singola Regione.

Va da sé che i soggetti accreditati per poter mantenere questo “bollino di qualità” sono sottoposti ad una serie di oneri (è proprio il caso di definirli così) e verifiche periodiche dei competenti organi che coloro che non sono “accreditati” con il SSN non hanno. L’assenza di tali oneri comporta differenti costi di esercizio tra i due differenti soggetti, minori, ovviamente, per il soggetto solo “autorizzato” rispetto ad uno anche “accreditato” con il SSN.

Anche per questo motivo le tariffe del SSN, stabilite anch’esse con apposito decreto ministeriale (e che rappresentano i LEA) sono determinate in base ai costi sostenuti dai soli soggetti accreditati.

Chiarito quanto fin qui esposto, è tuttavia opportuno precisare che, benché il “sistema discount” sia largamente diffuso, non è certamente edificante se riferito ad attività professionali in generale e sanitario in particolare, anche se è, comunque, legale da quando le tariffe minime sono state abolite per legge.
Pertanto ognuno rimane libero di scegliere il target cui riferirsi, sia come operatore, che come utente: è necessario rendersi conto però che, così come ad esempio esistono avvocati più o meno noti ed affermati e quindi più o meno remunerati, altrettanto può valere per studi o professionisti della sanità.

Bisogna solo decidere a quale tipologia di struttura si intende fare riferimento ed a quale professionista ci si vuole affidare. Il resto va da sé.

E’ ovvio che non si può pretendere di servirsi del “principe del foro” e poi remunerarlo come un qualsiasi altro avvocato. L’utente ha imparato da tempo che servirsi dei “discount” garantisce in generale non la certezza della massima qualità disponibile sul mercato, ma certamente la certezza di un vantaggio economico.

Ma ritornando a noi, se invece un soggetto accreditato non rispetta gli standards qualitativi (la società scientifica di riferimento li ha dettati sin dal 2012, e sono stati immediatamente fatti propri dagli USA; altrettanto hanno fatto diverse Regioni – vedi il Lazio nel 2007 o la Campania nel 2006, solo per citarne alcune) allora il problema si sposta sul piano dell’etica, della serietà professionale e dei controlli, che vanno fatti da parte degli organi competenti.

Infine una menzione va fatta sul criterio di determinazione delle tariffe del nostro SSN, che giova precisare sono ferme da 30 anni (1988) per la radiologia tradizionale, da 22 anni (1996), per l’ecografia, mentre quelle di TC e di RM sono state ridotte per decreto nel 2012 rispettivamente del 10% e del 25% con discutibili argomentazioni.

Ebbene, tutti gli operatori del settore, sia pubblico che privato, auspicano un sistema differenziato di valore tariffario di rimborso in funzione, tra le altre, della tecnologia posseduta, come già avviene in altri Paesi, tipo la Francia.

Ma tale strada sembra difficilmente percorribile nel nostro Paese, dove di fatto il Legislatore ha difficoltà a determinare precisamente il costo di produzione delle singole prestazioni (anche al proprio interno, nelle proprie strutture ospedaliere), affidandosi pertanto da una parte ad estrapolazioni di alcune Regioni, e dall’altra alle sentenze dei tribunali che di volta in volta vengono chiamati ad intervenire sull’ argomento.

Spero con questa di aver apportato un po’ di chiarezza sull’argomento.
 
Dr. Paolo Sartori
Segretario Regionale Veneto SNR
(Sindacato Nazionale area Radiologica) 


16 febbraio 2018
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