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Farmaci e/o medicinali. Se l’uso dei due termini è troppo disinvolto

di Andrea Cazzaniga

28 AGO - Gentile direttore
chiedo ospitalità per porre una questione che può apparire irrilevante ma che, in realtà, mette in luce frequenti difficoltà di comunicazione. Da tempo ho in mente le considerazioni che seguono e lo spunto per esplicitarle deriva ora, in particolare, dalla lettura della Premessa al Documento programmatico AIFA - Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta e Farmacisti. Il suo incipit: “Il Farmaco (di seguito denominato “Medicinale”) è un importante e irrinunciabile strumento tecnologico per ecc. ecc.” fa pensare che gli estensori del documento avvertissero la necessità della precisazione per favorire il lettore nell’interpretazione del testo.

 Viene allora da chiedersi: i due termini “farmaco” e “medicinale” sono da considerarsi sinonimi, con significato perfettamente sovrapponibile e quindi di uso senz’altro intercambiabile?

Nel lessico comune la risposta è sì: si va dal medico perché ci prescriva dei farmaci e dal farmacista che ce li dispensa, si fa più o meno uso di farmaci generici e così via. Il termine “farmaco” ci è più familiare; tuttavia, nessuno si stupisce se sente dire che qualcuno va in farmacia per i medicinali prescritti dal medico, facendo magari attenzione a scegliere l’opzione medicinale generico che fa risparmiare, esattamente come fa risparmiare il medicinale equivalente (rigorosamente da Legge n° 149 del 26 luglio 2005) – ma come anche il farmaco equivalente. Se ci si ferma un attimo a riflettere, si trova qualche difficoltà nel pensare a cosa contiene un farmaco generico: naturalmente un farmaco, ovviamente inteso come principio attivo. Il conflitto di significati è evidente. Comunque, per i non addetti ai lavori, al di là di una incipiente confusione da gestire, la situazione rimane accettabile.

Tutto si ingarbuglia quando questa terminologia, non particolarmente attenta, viene traslata tout-court in un ambito tecnico/scientifico a complessità e responsabilità crescenti: divulgazione scientifica in genere (i.e. articoli di giornali di settore e no, radio, TV, social), articoli scientifici, position papers da società scientifiche, note tecniche da aziende e da amministrazioni a vari livelli, disegni di legge da diverse parti politiche fino alla normativa vigente. Ambiguità facili da cogliere – non solo farmaco/medicinale ma anche, per esempio, pastiglia/compressa - mettono a dura prova l’efficacia di una comunicazione traballante, dove spesso titoli e testi confliggono in modo evidente. A titolo di esempio una affermazione registrata di recente: “Omeoimprese replica a Grillo: ... I nostri medicinali sono farmaci, prescritti da specialisti”. Che vorrà dire?

La stampa di settore ha una qualche responsabilità nel trascurare questo e altri aspetti, tutti riconducibili a una latitante cultura farmaceutica di base, che spesso e in modo sconsolante consente si arrivi a far coincidere persino i concetti di principio attivo e forma di dosaggio/preparato.  Questo approccio, di fatto, nega il ruolo della formulazione nel determinare il successo di un trattamento farmacologico, cosa che si auspica non sia messa in dubbio da alcuno.
Tuttavia, va detto che, fortunatamente, l’insofferenza verso l’attenta adozione di un glossario rigoroso non si riscontra, per esempio, nel fondamentale DLvo n. 219/06 in attuazione di direttive EU relative al codice comunitario dei medicinali. Qui, il termine “medicinale” è correntemente e correttamente adottato, mentre il termine “farmaco”, come tale, curiosamente compare una sola volta nell’Art. 1- definizioni: “AIFA: Agenzia italiana del farmaco istituita dall'articolo ecc. ecc.”. Forse anche per questo unico caso si poteva fare meglio come, per esempio, si è pensato per EMA (European Medicines Agency). Molti osserveranno che pur esiste l’FDA (Food and Drug Administration), va però ricordato che la sua istituzione risale ad altri tempi (30 giugno 1906, 112 anni fa) e soprattutto a contesti in cui principio attivo e forma di dosaggio sostanzialmente davvero coincidevano – con buona pace di tutti i determinanti biofarmaceutici a quel tempo totalmente sconosciuti. Va tenuto presente, comunque, che nella lingua inglese si tende sempre a far emergere la profonda differenza che esiste fra drug e drug product.
 
Un decisivo contributo alla disinvolta adozione di “farmaco” va riconosciuto ai professori universitari che, nell’ansia di essere includenti ed ecumenici - non si possono scontentare i colleghi contestando inezie di questo genere - hanno fatto un largo e improprio uso del termine. Viene in mente quando, alcuni anni fa, molte vecchie e care Facoltà di Farmacia sono state trasformate in Facoltà di Scienze del Farmaco e, con denominazioni analoghe, anche dipartimenti, corsi di laurea, dottorati e master di tutti i livelli.  Da alcuni anni, anche la Facoltà a cui appartengo, e che mi onoro di rappresentare, si chiama Facoltà di Scienze del Farmaco (chi è senza peccato …).

Del resto, “farmaco” suona quasi sempre bene, e allora si può ben sacrificare un po’ di rigore scientifico sull’altare di una accattivante comunicazione! Personalmente penso non sia davvero il caso. Purtroppo, però, possibilità di cambiare forse pari a zero.
 
 
Prof. Andrea Gazzaniga
Presidente del Comitato di Direzione della Facoltà di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Milano

28 agosto 2018
© Riproduzione riservata

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