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Legge 194. Accettare il confronto sul merito e sui suoi effetti

di Benedetto Rocchi

01 GIU - Gentile direttore,
le sarei grato se pubblicasse queste mie brevi considerazioni sulla lettera inviata al suo giornale dalla dottoressa Valeria Dubini, Presidentessa dell’Associazione Ginecologi Territoriali, che mi chiama in causa in quanto curatore del primo “Rapporto sui costi della legge 194/1978”, avanzando una serie di critiche.
 
Mi duole constatare che la dottoressa non sembra aver letto con attenzione le 80 e più pagine del Rapporto. Lo testimonia non solo il suo attribuire questa iniziativa a Scienza e Vita, quando viceversa gli enti promotori sono l’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici, la Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici, la Fondazione il Cuore in una Goccia Onlus e Provita & Famiglia; ma anche il suo sostenere che “non si ricorda che dalla introduzione della legge 194 gli aborti volontari sono calati del 66.1% (dal 1982 al 2018), senza peraltro menzionare la grande crescita del ricorso all’aborto medico”.
 
Se avesse letto il Rapporto (disponibile on line per chiunque sia interessato https://www.provitaefamiglia.it/media/userfiles/files/PrimoReport-aborto_costi.pdf, avrebbe potuto constatare che queste evidenze sono viceversa ampiamente documentate e commentate. Come avremmo del resto potuto quantificare i costi sostenuti per la legge 194 senza partire dal numero di aborti effettuati nei primi 40 anni della legge?
 
Se la dottoressa avesse veramente letto il Rapporto non avrebbe trovato alcuna “accusa” verso le donne di essere la causa del declino demografico. Avrebbe invece trovato dati che confermano il fatto che l’aborto in Italia è stato usato come mezzo per il controllo delle nascite, contro il dettato (articolo 1) della stessa legge 194.
 
Se davvero non si vuole “confondere ancora una volta ideologia e contenuti”, come auspica la dottoressa Dubini, bisognerebbe accettare il confronto sul merito delle questioni. Credo che i cittadini italiani, sia quelli favorevoli che quelli critici rispetto alla legge 194, abbiano diritto di avere sulla sua applicazione e i suoi effetti la migliore e più completa informazione possibile. Anche la legge 194 come tutte le politiche sanitarie deve essere oggetto di una valutazione che accanto ai benefici quantifichi anche i costi. È quanto meno sorprendente che, dopo 43 anni di applicazione, ci sia voluto un gruppo di volontari disponibili ad usare il loro tempo libero per colmare questa lacuna informativa.
 
Esistono alcune evidenze difficilmente contestabili che nel Rapporto abbiamo ampiamente documentato. La legge 194, come ammettono le stesse Relazioni al Parlamento, non è stata in grado di prevenire gli aborti clandestini, uno degli obiettivi principali dei legislatori che la approvarono. In secondo luogo, al contrario di quanto prevede il suo primo articolo, la legge ha di fatto promosso l’aborto come mezzo di limitazione delle nascite. Inoltre dopo 43 anni, secondo i dati pubblicati da Istat (tasso di abortività totale) circa il 20% delle donne affrontano ancora nella loro vita una condizione che le porta alla decisione di abortire. Infine è un dato di fatto che l’aborto volontario comporta sempre, qualunque sia la modalità con cui viene effettuato, dei rischi per la salute delle donne. A fronte di tutto questo lo Stato, per applicare la legge 194/1978, ha impiegato e tutt’ora impiega somme rilevanti.
 
Il nostro Rapporto si conclude con una domanda che intende stimolare un dibattito onesto e franco. Le risorse a disposizione per garantire la salute dei cittadini sono limitate, lo abbiamo drammaticamente imparato durante la crisi pandemica. E la Sanità pubblica si trova spesso a fare scelte dolorose su come impiegarle se è vero che, come dice l’VIII Rapporto pubblicato dall’Osservatorio sulla Povertà Sanitaria, 7 milioni e 867mila persone non povere nel 2019 hanno dovuto sospendere o limitare almeno una volta la spesa necessaria per visite mediche e accertamenti periodici. Quando le risorse sono limitate è inevitabile definire delle priorità.
 
Mi sembra semplice buon senso includere nel dibattito sulla migliore utilizzazione dei soldi dei contribuenti per la Sanità pubblica anche le risorse che oggi vengono destinate all’applicazione della legge 194.
 
Benedetto Rocchi
Università di Firenze

01 giugno 2021
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