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Tagli alle Regioni e accorpamento delle Asl. Qual è la logica?

di Pietro Manzi

In parallelo alla manovra economica, che prevede un taglio di 4 miliardi ai loro bilanci, molte Regioni hanno deciso di accorpare Asl e ospedali. Se lo scopo è, come sembra, soprattutto quello di risparmiare sugli stipendi dei manager si farebbe un grave errore. Sia perché i risprami sarebbero ribili sia per la confusione che ne deriverebbe

12 GEN - Nel mese di ottobre 2014 il Presidente Renzi ha comunicato la necessità di applicare tagli alle Regioni, e a seguito ciò molte regioni hanno messo in atto procedure di risparmio anche in ambito sanitario. Già era iniziata la politica di accorpamento delle ASL (la Campania e l’Umbria avevano già provveduto)  la Sardegna sta provvedendo e la Toscana si avvia sulla stessa strada. In merito al dibattito recentemente avviatosi sul tema , sento il dovere di esprimere una necessaria puntualizzazione rispetto alla confusione che viene fatta tra “burocrazia” e governo tecnico della sanità.
Da alcune parti infatti viene esposta la necessità e l’opportunità di ridurre le spese della sanità attraverso l’eliminazione dei “lauti stipendi” dei dirigenti delle ASL e/o delle Aziende Ospedaliere.
 
La precisazione parte dalla definizione di burocrazia. Sebbene si possano ritrovare elementi significativi di amministrazione burocratica in epoche remote e all’interno di svariate civiltà (antico Egitto, Impero cinese, Persia e India, Impero romano e bizantino) nella sua forma più compiuta, la burocrazia (d’ora in poi solo “b”) è un prodotto del processo di formazione dello Stato, iniziato in Europa nel 16° sec. e costituisce la risposta all’esigenza del sovrano di fondare il proprio potere su un ceto di funzionari alle sue dirette dipendenze. Il termine b. fu coniato dall’economista francese Vincent de Gournay nella prima metà del 18° sec. proprio per stigmatizzare la potenza crescente dei funzionari pubblici nella vita politica e sociale, che configurava una vera e propria forma di «governo dei funzionari», fra l’altro del tutto inefficiente sul piano dell’amministrazione dello Stato. Negli usi successivi il termine ha in parte mantenuto questa originaria accezione negativa. Nello stesso tempo, tuttavia, la nozione di b. è diventata una categoria cruciale delle scienze storiche, politiche e sociali.
 
Secondo una delle teorie più autorevoli della b., elaborata da M. Weber nei primi decenni del Novecento e tuttora sostanzialmente insuperata, gli apparati della b. si distinguono dalle tradizionali forme di amministrazione del passato perché si fondano, almeno in linea di principio, su una rigorosa divisione del lavoro, sul sapere e sulle competenze, su gerarchie regolate dal merito e da precisi meccanismi di carriera e, ancora, su un complesso di norme scritte che tendono a vincolare il funzionario a una condotta tipicamente impersonale e formalistica. Poiché lo sviluppo e la diffusione della b. avevano riguardato non soltanto la sfera dell’amministrazione dello Stato, ma più in generale tutte le forme pubbliche e private di organizzazione amministrativa (partiti, sindacati, aziende ecc.), Weber parlò di processo irreversibile di burocratizzazione universale, che tendeva a imprigionare gli uomini in una rete di regole minuziose e a sottometterli alla potenza anonima, irresponsabile e ogni giorno più necessaria degli apparati burocratici. Ciò costituiva, a suo giudizio, un enorme pericolo per il futuro della libertà e della democrazia nel mondo contemporaneo: un pericolo che si sarebbe ulteriormente acuito con l’eventuale trionfo del socialismo, veicolo di una burocratizzazione integrale della politica, della società e della stessa economia.
 
Nel Novecento di fatto il processo di burocratizzazione ha conosciuto una straordinaria espansione, sia nei paesi socialisti fondati sull’economia pianificata e dunque sull’unificazione tra b. pubbliche e private in una b. unica, sia nei paesi capitalistici, per effetto innanzitutto delle politiche di welfare, che implicano un crescente intervento dello Stato nella vita quotidiana dei cittadini. A fronte di ciò sono in atto processi di ‘deburocratizzazione’ delle amministrazioni pubbliche e private, che rispondono alle esigenze di una società in continua trasformazione, che rende rapidamente obsolete le competenze e le specializzazioni della b. e si mostra sempre più insofferente ai vincoli posti dalle sue regole e dalle sue procedure. (Treccani.it)
 
Ma i Direttori generali, sanitari e amministrativi delle Asl non sono burocrati. Ciò esposto si compie un grave errore di mistificazione associando il termine di burocrazia alle figure del Direttore Generale, Direttore Sanitario e Direttore Amministrativo di una Azienda Sanitaria Locale, che sono dei tecnici e garantiscono il governo tecnico e sono posti dalla legge n.502/1992 a suprema garanzia degli interessi pubblici in quella parte di sanità che è loro affidata.
Con l’accorpamento delle ASL , in assenza di una più articolata, completa e complessa organizzazione, si verrebbero a risparmiare gli stipendi di questi tre dirigenti , in modo peraltro parziale in quanto provenendo gli stessi, quasi sempre, da altri ruoli dello stesso  Servizio Sanitario Nazionale si andrebbe a risparmiare solo la quota differenziale tra lo stipendio del Direttore di Struttura Complessa e la funzione superiore. Da notare altresì, che nelle Regioni soggette a piano di rientro ,  a causa delle decurtazioni effettuate , questa differenza in pratica non esiste essendo lo stipendio assolutamente sovrapponibile, se non addirittura inferiore.
 
La natura tecnica della “terna” dirigenziale è contenuta nella Legge n.502/1992 e vale la pena di ricordarla:
Il direttore generale è l'organo posto al vertice di un'azienda sanitaria locale o di un'azienda ospedaliera. Secondo l'art. 3 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 gli sono riservati tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell'azienda; adotta l'atto aziendale, che disciplina l'organizzazione e il funzionamento dell'ente; è responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture operative dell'azienda. È coadiuvato dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario, da lui nominati, che oltre ad assumere diretta responsabilità delle funzioni loro attribuite, concorrono, con proposte e pareri, alla formazione delle sue decisioni (è tenuto a motivare i provvedimenti assunti in difformità dal parere reso dal direttore sanitario, dal direttore amministrativo o dal consiglio dei sanitari).
Secondo l'art. 3-bis del D. Lgs. 502/1992 il direttore generale è nominato dalla giunta regionale tra coloro che possiedono un diploma di laurea ed esperienza almeno quinquennale di direzione tecnica o amministrativa in enti, aziende, strutture pubbliche o private di medie o grandi dimensioni, in posizione dirigenziale. Entro diciotto mesi dalla nomina deve produrre il certificato di frequenza di un apposito corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria.
 
Non esiste quindi un concorso pubblico per selezionare il candidato, ma la nomina avviene tramite un organismo politico.
Il Direttore Sanitario e il Direttore Amministrativo sono nominati dal Direttore Generale e debbono possedere i seguenti requisiti.
“7. … omissis …Il direttore sanitario è un medico,  che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. Il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza. Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per al-meno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione. Il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell'unità sanitaria locale.”
 
In definitiva quindi la ratio dell’accorpamento delle ASL trova una sua giustificazione nella misura in cui sia capace di abbattere quelle barriere ideologiche e/o amministrative, che finora hanno impedito la crescita del sistema sanitario in senso trasversale , ovvero in termini di strutturazione, implementazione e coordinamento di Dipartimenti di larghe dimensioni, che abbiano la capacità di omogeneizzare gli interventi sanitari e produrre, questa volta si, economie dettate dalla riorganizzazione dei servizi e dalla possibile eliminazione di inutili duplicati.
 
Se invece la riforma proposta si dovesse limitare alla semplice soppressione delle figure dei massimi dirigenti aziendali determinerebbe un effetto di decapitazione, determinando un effetto confusivo.
Ne consegue che il governo tecnico delle ASL deve essere comunque tutelato, a partire dallo svolgimento dei concorsi per la nomina dei Direttori di Presidio, troppo spesso dimenticati, a seguire dalla auspicabile istituzione della Scuola Superiore di Sanità Pubblica, in analogia all’esperienza francese: “L’Ecole des hautes Etudies de Santè Publique  est un établissement public qui exerce une double mission de formation et de recherche en santé publique et action sociale. Son ambition est de nourrir un dialogue fructueux entre deux cultures complémentaires: la santé publique et le management”.
 
Tale scuola in quella Nazione ha garantito la continuità e la competenza nella gestione della sanità, troppo spesso compromesse in Italia dalle eccessive ingerenze della politica.
 
Pietro Manzi
Direttore UOC Igiene e organizzazione dei servizi ospedalieri
Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

12 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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