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Intervista a Carnassale (FederSalus): “Ecco perchè non ci convincono”


30 MAG - Appena pubblicati, gli health claims hanno già suscitato le prime perplessità. Abbiamo chiesto a Massimiliano Carnassale, segretario di FederSalus, di spiegarci le principali, per provare a capire perché industria e comunità accademica abbiano criticato un lavoro che in linea teorica sembrerebbe più che condivisibile.
 
“È chiaro che le perplessità non riguardano l’idea di fornire al consumatore informazioni corrette e veritiere in sé”, ha specificato Carnassale, da noi contattato telefonicamente. “Da sempre si è cercato di promuovere indicazioni corrette verso gli utenti, tanto che addirittura negli anni Sessanta dello scorso secolo è stato redatto da Fao e Oms il Codex Alimentarius, un insieme di regole che vogliono proprio tutelare e assicurare la salute dei consumatori. Se le informazioni che vengono date ai consumatori devono essere chiare e scientificamente provate, allora è giusto stilare indicazioni precise per le piccole e medie imprese. Alla base dell’idea stessa degli health claims c’è dunque un’idea del tutto condivisibile: dare uno strumento all’industria per tutelare i consumatori. Quello che ci preoccupa non è questo, quanto più come questo sia stato portato avanti”.
Uno dei nodi cardine che ha suscitato perplessità, ad esempio, è la scelta di stabilire la fondatezza delle indicazioni tramite l’analisi di studi clinici. “La ricerca farmacologica si basa sui risultati di trial che hanno caratteristiche ben precise, e che però si riferiscono allo studio di farmaci, non di alimenti”, ha spiegato ancora il segretario di FederSalus. “Non siamo solo noi a dirlo: la stessa Fao e l’Oms spiegano come non sempre questo tipo di standard farmacologici siano applicabili all’analisi di alimenti o integratori”.
Ma il problema non è solo questo. Altra preoccupazione è infatti proprio nel merito delle indicazioni: “Uno dei claims recita ‘La betaina contribuisce al normale metabolismo dell’omocisteina’, un altro ‘Il molibdeno contribuisce al normale metabolismo degli amminoacidi solforati’. Siamo sicuri che sia questo tipo di informazione, per quanto corretta dal punto di vista scientifico che può aiutare il consumatore a scegliere?”, si è domandato Carnassale.
 
Per non parlare, infine, di altri problemi collegati all’analisi nutrizionale degli stessi alimenti cui vengono applicati i claims. “Ad oggi per difficoltà oggettive non esistono disposizioni che regolano la definizione di un alimento dal punto di vista nutrizionale, l’Efsa non le ha ancora stabilite”, ha spiegato ancora il segretario di FederSalus. “Tuttavia lo stesso ente stabilisce alcuni claims piuttosto forti, che si riferiscono alle sostanze contenute nell’alimento, ad esempio quello che recita ‘Il ferro contribuisce alla normale funzione cognitiva’. Ora pensiamo a una mamma che vuole comprare un alimento sano per il proprio bambino e legge questo particolare messaggio sulla confezione. Tratta in inganno dall’unico messaggio positivo presente sulla confezione potrebbe essere portata a comprare un alimento che ha al suo interno una qualche percentuale di ferro, ma che in realtà è sbilanciato dal punto di vista nutrizionale, magari perché contiene troppi zuccheri o troppi grassi come alcuni dei prodotti per la merenda in commercio”, ha concluso. “Queste sono alcune delle perplessità che il documento suscita. Alcune sono più specifiche, e magari relative a industria e comunità accademica, ma altre sono semplicemente dubbi che ci poniamo proprio mettendoci nei panni del consumatore”.

30 maggio 2012
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