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Stipsi cronica. Un paziente su 3 non è soddisfatto delle cure. Parte un sondaggio online


L'indagine lanciata dalla World Gastroenterology Organisation ha lo scopo di valutare l’atteggiamento dei professionisti nei confronti dei pazienti. Dai primi dati del sondaggio – ancora in corso – emerge che 8 medici su 10 vorrebbero consigli su come affrontare l’argomento.

09 NOV - Per chi ne soffre parlarne può essere difficile o imbarazzante, ma per ottenere una corretta diagnosi e dunque il trattamento di cui si ha bisogno è anche necessario: per aiutare i pazienti affetti da stipsi cronica è stato lanciato in occasione della United European Gastroenterology Week di Amsterdam (20 – 24 ottobre), “Time to talk Constipation”, un sondaggio promosso dalla World Gastroenterology Organisation (WGO) e realizzato da Shire PLC, rivolto agli specialisti di tutto il mondo che si occupano di stipsi cronica. Accedendo al sito http://talkconstipation.questionpro.com, gli specialisti possono dunque partecipare all’indagine, che è nata per valutare l'atteggiamento dei professionisti stessi nei confronti di questa patologia e dunque dei pazienti, con l’obiettivo di fornire gli strumenti per creare un rapporto di maggiore apertura  con questi ultimi.

Dalle risposte dei 50 specialisti che hanno partecipato finora al sondaggio (al quale possono tutt’ora prendere parte), emerge che solo un quarto delle pazienti di sesso femminile, la popolazione più colpita dal disturbo, è completamente soddisfatto del sollievo procurato dai trattamenti disponibili, tra i quali rientrano le fibre, i lassativi e i farmaci che stimolano i movimenti peristaltici dell’intestino. Ai primi posti tra i motivi di insoddisfazione vi sono la riduzione del gonfiore, la maggiore frequenza dei movimenti intestinali e la durezza delle feci. Inoltre, sebbene la maggioranza degli specialisti (79%) che hanno partecipato al sondaggio dichiara di non avere difficoltà nel parlare di abitudini intestinali con i propri pazienti, 8 su 10 (83%) gradirebbero ricevere suggerimenti su come affrontare questo argomento cruciale e spesso difficile.

La definizione cui si fa attualmente riferimento, quando si parla di stipsi cronica, una sottocategoria specifica di stipsi che riguarda circa il 10% della popolazione femminile italiana, caratterizzata dalla gravità dei sintomi e dal protrarsi del disturbo, è quella dei Criteri Diagnostici Internazionali denominati “Roma III” (Rome III Criteria for Functional Gastrointestinal Disorder), che considerano in generale il problema delle difficoltà evacuatorie del paziente. Secondo questi criteri, infatti, per la diagnosi di stipsi cronica funzionale devono essere soddisfatte due o più condizioni, presenti per almeno tre mesi e con esordio da almeno 6 mesi prima della diagnosi che, oltre alla frequenza delle evacuazioni settimanali, considerano l’intero spettro dei sintomi riferiti dal paziente, come la sensazione di evacuazione incompleta e quella di ostruzione ano-rettale.
 
La patologia incide negativamente sul ricorso alle risorse sanitarie e sulla produttività lavorativa dei pazienti e questo impatto aumenta progressivamente con l’aggravarsi dei sintomi Il rischio di ricorrere al servizio sanitario, infatti, aumenta dell’84% in persone con stipsi cronica severa rispetto ai pazienti che ne soffrono in grado lieve. In particolare, sono le visite diagnostiche ambulatoriali e quelle di pronto soccorso le prestazioni che risentono di più dell’impatto della malattia, con un aumento di rischio dell’82% e di oltre il 100% di volte rispettivamente. Considerando globalmente assenteismo e presenteismo, un paziente con stipsi cronica perde in media quasi il 25% delle ore lavorative settimanali. Anche in questo caso si tratta di un dato che aumenta con l’aggravarsi dei sintomi: sulla base di studi simili effettuati su altre patologie, i pazienti con un grado severo di stipsi cronica riportano una perdita globale di produttività simile a quella riscontrabile in patologie molto gravi, come depressione maggiore e spondilite anchilosante, mentre per un grado della patologia meno severo la perdita si attesta al di sotto di patologie meno gravi, come obesità e reflusso gastroesofageo.
 
Un intervento è dunque necessario, anche a giudicare dai risultati emersi da un’indagine LIRS, condotta a fine 2011 da Doxa Pharma con il supporto di Shire Italia, ha coinvolto 39 centri di gastroenterologia in tutta Italia e circa 900 pazienti: i risultati, presentati a marzo 2012, evidenziano che quasi il 50% del campione giudica negativamente il proprio stato di salute, 1 paziente su 3 non è soddisfatto delle attuali terapie disponibili e la malattia condiziona la salute fisica ed emotiva dei pazienti (4 le ore di lavoro perse ogni settimana per i casi più gravi).

09 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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