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Biotecnologie. In Italia ottima ricerca ma ancora pochi brevetti


L'intervento. Per Carlo Roccio, biologo e amministratore delegato della Clonit, un'azienda biotech italiana molto vivace e innovativa, occorre un New Deal per le biotecnologie. Con investimenti pubblici intelligenti a sostegno di un settore dove l'Italia ha molto da dire.

12 NOV - La crisi economica globale che si è presentata nel 2008, e che ancora oggi non è completamente superata, ha innescato un dibattito anch'esso globale, prima sulle cause della stessa (eccessiva deregulation finanziaria)  e poi sulle modalità per farvi fronte;  e al di là delle misure terapeutiche immediate, e di ulteriori misure restrittive sul debito pubblico dei vari Stati, non sono emerse regole comuni  per il rilancio economico .
Successivamente alla precedente crisi globale, avvenuta nel ’29 del secolo scorso, che fu per intensità e durata  paragonabile all’attuale, gli Stati Uniti d’America introdussero misure finanziarie di aiuto all’economia senza precedenti  che riuscirono ad invertire il circolo vizioso della speculazione, trasformandolo nel “New Deal” Americano.
Una delle misure introdotte che diede in prospettiva i migliori frutti, fu l’avvio di ingenti finanziamenti pubblici nel settore delle “tecnologie militari”; per decenni, e fino ai giorni nostri,  i finanziamenti pubblici allo sviluppo di  tecnologie nel  settore militare, hanno permesso all’industria Americana  di questo settore uno sviluppo considerevole.
Vorrei  ricordare che, l’invenzione del “radar”, della tecnologia “laser”, del telefono “cellulare/satellitare”, e infine della rete globale “internet” sono figlie “civili” delle tecnologie “militari” messe a punto usufruendo di  tali finanziamenti pubblici,  e sono a tutti evidenti quali siano state le ricadute per l’economia Americana.
 
Naturalmente non siamo cosi sprovveduti da credere che  a distanza di quasi un secolo, si possa ripetere lo stesso “modello di sviluppo”  nello stesso settore (quello militare). In Europa e in Italia  non sarebbe accettabile  sia per ragioni  etiche,  sia per ragioni di opportunità politiche. Siamo però confidenti che lo stesso  “modello di sviluppo” si possa proporre in Europa e ancora di più in Italia nel settore delle Biotecnologie.
A ben guardare le Biotecnologie accompagnano da sempre la storia dell’uomo, esse sono alla base dei processi attraverso i quali l’uomo abilis ha imparato a conservare il cibo, emancipandosi dall’essere  solo cacciatore e raccoglitore di bacche, radici o frutti.
I processi  fermentativi alla base della produzione dello yogurt e dei formaggi per conservare il latte,  o le fermentazioni alcooliche dei cereali o dell’uva per la produzione rispettivamente della birra e del vino sono alcune delle biotecnologie arcaiche che , attraverso conoscenze empiriche,  si sono tramandate per  millenni.
Tre sono le tappe attraverso  le quali le  moderne Biotecnologie hanno permeato prima le scienze mediche, e poi la vita quotidiana dei singoli individui: la scoperta della struttura degli acidi nucleici (DNA) nel 1953, ad opera di  James Watson e Francis Crick, successivamente , nel 1993 la messa a punto della metodica PCR (polimerase  chain reaction) ad opera di KB.Mullis, ha consentito lo sviluppo di metodi diagnostici sul DNA estremamente semplici e veloci che hanno portato nel 2000 alla terza tappa con la decodifica completa del Genoma Umano, dando avvio ad un enorme incremento delle conoscenze sulla struttura e organizzazione dei nostri geni.

Le Biotecnologie italiane sono già ora una solida realtà, oltre 300 aziende con circa 5.000 addetti  hanno generato  un fatturato nel 2008 di 6,8 miliardi di euro, investendo in ricerca e sviluppo il 28% del fatturato.  In dieci anni  siamo riusciti a colmare il divario che ci separava dalle Nazioni più avanzate, dimostrando di essere capaci di innovare e di raggiungere punte di eccellenza in alcuni settori particolari quali ad esempio l’oncologia molecolare.
La ricerca biotech Italiana raggiunge risultati di interesse internazionale, ma ancora troppo spesso gli ottimi risultati raggiunti non si trasformano in brevetti, e questi in prodotti, che producono occupazione e ricchezza per il Paese.
La maggior parte delle imprese Biotech (61%) sono concentrate nel settore della salute umana, farmaci, diagnostici e apparecchiature biomediche;  se pensassimo  di non considerare la spesa sanitaria italiana, che ammonta a circa 100 miliardi di euro l’anno, come semplice “voce in uscita del bilancio dello Stato”, ma come una “opportunità di investimento “in un settore considerato strategico, come il Biotech, potremmo ottenere effetti virtuosi.
Se si introducessero  semplici incentivi, ad  esempio maggiorazioni di punteggio nelle aggiudicazioni degli appalti  riservati alle società biotech che fanno ricerca e producono in Italia, farmaci, diagnostici e apparecchiature biomediche, avremmo un volume potenziale di fatturato per queste imprese di 10 miliardi di euro all’anno. Cifra che il Servizio sanitario nazionale spende annualmente per la fornitura di beni, e che potrebbe costituire un “volano”  formidabile di  interesse economico per queste aziende.
Inoltre, nella realizzazione dei nuovi Ospedali Policlinici Universitari, potrebbe diventare “norma” quanto previsto in Regione Piemonte per le “città della salute” di Novara e di Torino, dove accanto alle aree per l’assistenza al malato, alle aree per la didattica e la ricerca delle Facoltà di Medicina  sono presenti  aree per il Trasferimento Tecnologico alle start up, aiutandole a diventare vere e proprie imprese nel settore delle bioscienze.
L’Italia si distingue per significative presenze anche negli altri comparti, quelli dedicati alle biotecnologie per l’ambiente, l’agroalimentare,le applicazioni industriali, settori chiamati white e green biotech.
In questi settori c’è ancora moltissimo da fare, sia dal punto di vista della ricerca di base,  sia della ricerca applicata: personalmente credo sia opportuno e utile studiare come gli organismi viventi abbiano selezionato durante la loro evoluzione quei meccanismi metabolici atti ad  immagazzinare energia (fosforilasi ossidativa), oppure captare energia (fotosintesi clorofilliana), oppure la respirazione branchiale nei pesci, con lo scopo di trasferirle in tecnologie industriali utili al miglioramento della qualità della vita di tutti noi.

Dr. Carlo Roccio
A.D.  Clonit Srl                              
Membro Commissione Direttiva Assobiotec


 

12 novembre 2010
© Riproduzione riservata

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