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Speciale Asco. Le terapie che vanno diritte al bersaglio

di Maria Rita Montebelli

Quattro trial clinici, presentati al Congresso dell'American Society of Clinical Oncology, accendono la speranza di un trattamento per alcune delle forme più resistenti di tumore (ovaio, polmone, tiroide, leucemia linfatica cronica), che attualmente ne sono sprovviste.

01 GIU - Le recidive tumorali e la resistenza ai trattamenti sono tra le sfide più impegnative che gli oncologi si trovano ad affrontare. Ma la genomica sta dando un grande impulso al loro superamento, rivelando di giorno in giorno nuovi modi per colpire gli ingranaggi del tumore. Al congresso dell’ASCO in corso a Chicago sono stati presentati i risultati di alcuni trial su nuove terapie a target, destinate a pazienti che, al momento, non hanno alcuna alternativa terapeutica o a quelli che non potrebbero sopportare gli effetti collaterali delle terapie al momento disponibili, come nel caso degli anziani affetti da leucemia.

Tumore del polmone (NSCLC) in fase avanzata: i riusultati di una nuova terapia anti-angiogenetica.Lo studio REVEL, un trial di fase III che ha utilizzato un trattamento di seconda linea con ramucirumab (un anti-angiogenetico), in aggiunta al docetaxel, ha dimostrato un miglioramento di sopravvivenza nei pazienti con NSCLC in fase avanzata (IV stadio). La sopravvivenza globale (OS) media è stata di 10,5 mesi nel gruppo trattato con ramucirumab, contro 9,1 mesi del gruppo placebo. Il ramucirumab è un anticorpo monoclonale diretto contro recettore 2 del VEGF e al momento è autorizzato solo nel trattamento del tumore dello stomaco in fase avanzata. C’è una grave carenza di trattamenti di seconda linea per il NSCLC, anche perché praticamente tutti i pazienti presentano una recidiva dopo il trattamento iniziale. Le terapie di seconda linea attualmente approvate (docetaxel, erlotinib e pemetrexed) garantiscono un’OS di 7-9 mesi.

Leucemia linfatica cronica: terapie più efficaci e ‘gentili’ con  i pazienti più anziani.L’ibrutinib, valutato nello studio RESONATE, ritarda in maniera significativa la progressione ed estende la sopravvivenza nei pazienti con leucemia linfatica cronica resistente o recidivante, la forma più comune di leucemia nell’adulto. L’ibrutinib è un farmaco a somministrazione orale ed è il primo ad aver dimostrato un miglioramento della sopravvivenza, confrontato con la terapia standard, nella LLC resistente o recidivata. Vista la buona tollerabilità del trattamento, questo farmaco, approvato dall’FDA lo scorso febbraio, si propone come importante nuova opzione terapeutica, in particolare per gli anziani che non tollerano gli effetti collaterali della chemioterapia tradizionale.

Tumore della tiroide differenziato: la nuova carica dei TKI. Il lenvatinib, testato nello studio di fase III SELECT, ha prodotto elevati tassi di risposta e ritardato la progressione nei pazienti con cancro della tiroide differenziato in fase avanzata, resistente al radioiodio. Due pazienti su tre hanno risposto al nuovo farmaco e la progressione è risultata ritardata in media di 14,7 mesi, rispetto al placebo. Il lenvantinib è un inibitore delle tirosin chinasi (TKI) che, visti i risultati di questo studio, offre un’opportunità terapeutica a pazienti che fino ad un anno fa non ne avevano affatto. Ed è il secondo TKI, che si propone come terapia per questa indicazione, ma non è ancora stato approvato dalle autorità regolatorie. Già disponibile invece nella pratica clinica è il sorafenib, un altro TKI, approvato dall’FDA per questa popolazione di pazienti solo lo scorso novembre e che ha ricevuto proprio in questi giorni l’Ok anche dall’EMA. Il tumore differenziato della tiroide è la forma più comune di cancro della tiroide (85% dei casi), che in genere risponde bene alla terapia tradizionale (chirurgia e radioiodio); ma un 5-15% di pazienti sviluppa resistenza al radioiodio. Il levantinib, un TKI orale che blocca diversi target nella cellula tumorale (VEGFR1-3, FGFR 1-4, PDGFR-β, KIT e RET) è attualmente al vaglio, in studi di fase II e III, anche come trattamento potenziale per i tumori del fegato, polmone, rene e altri tumori solidi.

Cancro dell’ovaio: verso una nuova strategia di trattamento. Una nuova associazione di terapie a target, composta dal cediranib (un inibitore PARP – Poly ADP-Ribose Polymerase) e dall’olaparib (un anti-angiogenetico, inibitore del VEFGR), ha dimostrato di essere in grado di aumentare in maniera significativa (oltre 8 mesi) la sopravvivenza libera da progressione (PFS) nelle donne con recidiva di tumore ovarico, rispetto al trattamento con il solo olaparib. È la prima volta che questi due farmaci vengono utilizzati in associazione e, visti i risultati di questo studio, questa ‘accoppiata’ finora inedita di due farmaci entrambi a somministrazione orale, potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento del tumore dell’ovaio. “E’ particolarmente intrigante il fatto che le terapie utilizzate in questo studio siano entrambi in formulazione orale – sottolinea Percy Ivy, vice-direttore dell’Investigational Drug Branch del National Cancer Institute (NCI) – ciò significa che questo trattamento potrà essere utilizzato ovunque nel mondo, a patto che le pazienti possano essere tenute sotto controllo per la possibile disidratazione indotta dalla diarrea e per le eventuali crisi ipertensive, i due effetti collaterali più frequenti con queste terapie. Lo studio di fase II è stato finanziato dai NIH e dal National Cancer Institute, che stanno già lavorando al progetto di due studi di fase III destinati alle pazienti con tumore ovarico resistente alla terapia con platino o sensibili alla stessa terapia.

Maria Rita Montebelli

01 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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