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Statine. Scoperte nuove varianti genetiche che ne influenzano l’effetto

di Maria Rita Montebelli

Un team di ricercatori della Queen Mary University of London ha scoperto due nuove varianti genetiche che influenzano la risposta alle statine. In futuro il profilo genetico potrebbe essere utilizzato per scegliere la statina più efficace per ogni singolo paziente.

28 OTT - Un’imponente metanalisi farmacogenetica, appena pubblicata su Nature Communications e condotta su oltre 40 mila persone in trattamento con statine, ha consentito di individuare due nuove varianti genetiche, che influenzano il grado di riduzione del colesterolo LDL in risposta al trattamento con questi farmaci ipocolesterolemizzanti.

Le statine sono in grado di ridurre fino al 55% i livelli di colesterolo LDL, contribuendo così ad abbattere del 20-30% gli eventi cardiovascolari. Tuttavia la risposta a queste terapie può variare molto da persona a persona.

I ricercatori inglesi hanno esaminato dati provenienti da sei trial clinici randomizzati e dieci studi osservazionali, alla ricerca di varianti genetiche in grado di influenzare la risposta alle statine. Inoltre, in collaborazione con varie università, hanno validato i loro risultati su altri 22.318 individui, arrivando così a individuare due nuove varianti genetiche (SORT1/​CELSR2/​PSRC1 e SLCO1B1),  in grado di influenzare sensibilmente di quanto il colesterolo LDL si possa ridurre, grazie al trattamento con statine.

“Si tratta di una scoperta importante – sostiene il professor Mark Caulfield, primo autore dello studio, della Queen Mary University of London e della NIHR Biomedical Research Unit – tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche per capire quali possano essere le ricadute nella pratica clinica. Di certo è ancora presto per suggerire di sottoporre ad un test genetico i pazienti candidati al trattamento con statine. Dobbiamo arrivare prima ad avere un quadro più completo di tutte le varianti genetiche in grado di influenzare la risposta alle statine”.

L’effetto delle varianti genetiche individuate finora riesce a spiegare appena il 5% della variabilità di risposta interindividuale alle statine. Una delle varianti individuate da questo studio amplifica la risposta alle statine; l’altra la riduce, forse interferendo con i meccanismi di assorbimento delle statine da parte del fegato.

In passato uno studio di GWAS nel trial JUPITER aveva consentito di individuare tre loci - ABCG2 (rs2199936), LPA (rs10455872) e APOE (rs7412) – implicati nella percentuale di riduzione dell’LDL nei soggetti in trattamento con rosuvastatina. Negli studi CARDS e ASCOT, gli SNPs a livello di LPA (rs10455872) e APOE (rs445925 and rs4420638) sono stati associati alla risposta al trattamento con atorvastatina. Un altro GWAS condotto in tre trial sulle statine ha individuato uno SNP all’interno di CLMN (rs8014194), implicato nell’entità della riduzione del colesterolo LDL in risposta ad una statina. Insomma, le uniche varianti genetiche sempre associate alla variabilità di risposta delle statine sul colesterolo LDL in questi studi del passato, sono sempre state localizzate a livello o in stretta vicinanza di APOE e LPA.

Il lavoro pubblicato oggi su Nature Communications, realizzato dal consorzio GIST (Genomic Investigation of Statin Therapy), ha invece individuato due loci completamente diversi, SORT1/​CELSR2/PSRC1 e SLCO1B1, anch’essi implicati nella variabilità individuale di risposta alle statine.

“Le statine sono tra i farmaci più sicuri ed efficaci usati nella pratica clinica – afferma Michael Barnes, coautore dello studio, Queen Mary University of London e NIHR Biomedical Research Unit – Sebbene condividano tutte un obiettivo comune, alcune risultano tuttavia più efficaci di altre in determinate persone. Questo studio ha messo in luce l’esistenza di un network di geni che, interagendo tra di loro, possono influenzare individualmente o collettivamente il modo in cui le statine agiscono nell’organismo. In futuro, questa informazione potrebbe rivelarsi preziosa per aiutarci a scegliere la statina più efficace per ogni singolo paziente”.

Lo studio è stato finanziato da National Institute for Health Research, Wellcome Trust e MRC.
 
Maria Rita Montebelli

28 ottobre 2014
© Riproduzione riservata

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