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Colesterolo. Quando le statine non bastano. Dagli Usa nuove linee guida sulle terapie “non-statina”

di Maria Rita Montebelli

Nel 2013 le società americane di cardiologia hanno pubblicato delle linee guida, molto ‘chiacchierate’ per la verità, sul trattamento dell’ipercolesterolemia. In questi giorni arriva una sorta di addendum sulle evidenze scientifiche accumulate in questi ultimi anni, che prende in considerazione le terapie diverse dalle statine, dall’ezetimibe ai nuovi inibitori della PCKS9. E la loro posizione all’interno delle flow chart di trattamento

03 APR - Le società americane di cardiologia (American College of Cardiology e American Heart Association) pubblicano su questo numero di JACC, in concomitanza con la presentazione al congresso annuale dell’American College of Cardiology, un expert consensus sulle terapie anti-colesterolo, diverse dalle statine, nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare.
 
Questo nuovo documento rappresenta una guida clinica per medici e pazienti ed è un’integrazione rispetto a quanto contemplato nelle ‘Linee guida ACC/AHA per il Trattamento dell’Ipercolesterolemia per ridurre il Rischio Aterosclerotico Cardiovascolare negli Adulti’, pubblicate nel 2013.
 
Dopo il 2013 infatti l’FDA ha dato l’Ok a due inibitori della PCSK9 (proprotein convertase subtilisin/kexin9), alirocumab ed evolocumab, per l’impiego in alcune classi di pazienti. Le recenti pubblicazioni dei trial HPS2-THRIVE e IMPROVE-IT hanno inoltre fornito nuovi elementi di evidenza scientifica sull’utilità di associare alle statine altri farmaci, quali l’ezetimibe.
 
In particolare, gli esperti americani consigliano come prima terapia di add-on alla statina, nel caso di un mancato raggiungimento dei target terapeutici, l’ezetimibe al dosaggio di 10 mg/die. L’ezetimibe viene indicato come primo agente farmacologico da aggiungere alla statina (‘consider ezetimibe first’), per molti gruppi ad alto rischio, considerati nelle diverse flow chart.
Non viene invece raccomandato l’uso della niacina come terapia aggiuntiva non-statinica per le situazioni cliniche contemplate nel documento.
 
Confermando quanto già indicato nelle linee guida del 2013, il nuovo documento raccomanda tuttavia come primo intervento, nei soggetti con ipercolesterolemia, prima di ricorrere alla terapia farmacologica, la correzione dello stile di vita (dieta, attività fisica e fumo), seguito dall’aggiunta di una statina.
 
Vengono quindi forniti degli algoritmi per guidare il medico all’aggiunta di ulteriori terapie alle statine; i pazienti sono divisi in uno dei quattro gruppi per i quali è stata dimostrata l’utilità delle statine (pazienti con ASCVD clinica; pazienti con LDL ≥ 190 mg/dl, non dovuto a cause secondarie; pazienti di 40-75 anni, con diabete e LDL 70-189 mg/dl; pazienti di 40-75 anni senza diabete ma con LDL 70-189 mg/dl e rischio ASCVD a 10 anni ≥ 7,5%), già individuati nelle linee guida del 2013.
In tutti gli altri gruppi di pazienti, le linee guida suggeriscono di individualizzare, caso per caso, il trattamento.
 
Definire la soglia di LDL da raggiungere, sia in termini di riduzione percentuale, che di valori assoluti, al fine di calcolare i benefici netti derivanti dalla riduzione del rischio aterosclerotico cardiovascolare (ASCVD), è considerato un must per guidare il medico verso la scelta di aggiungere un ulteriore farmaco non-statina in selezionati gruppi di pazienti ad alto rischio. Il comitato delle linee guida sottolinea tuttavia che la decisione di aggiungere o meno un altro farmaco non deve scattare automaticamente, ma venir ponderata nel contesto più ampio dello stato clinico del paziente.
 
Ulteriori considerazioni da fare prima di aggiungere un altro farmaco alle statine comprendono la quantità di evidenze scientifiche disponibili in termini di safety e tollerabilità, le possibili interazioni farmacologiche, l’efficacia di un’ulteriore riduzione delle LDL rispetto al rischio di eventi aterosclerotici cardiovascolari, la spesa, il problema della ‘polypharmacy’, la via di somministrazione, la possibilità di mettere a rischio l’aderenza a terapie evidence-based e soprattutto l’opinione del paziente riguardo l’assunzione di un ulteriore farmaco.
 
“A differenza dei precedenti documenti di consenso - afferma James L. JanuzziJr., presidente della Task Force on Clinical Expert Consensus Documents dell’ACC – questo appena pubblicato contiene abbondanti informazioni di utilità pratica; l’ACC riconosce infatti l’importanza di fornire un importante supporto decisionale anche ai medici più indaffarati”.
 
Maria Rita Montebelli

03 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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