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Crisi ipertensive: inutile e costoso inviare il paziente in pronto soccorso

di Maria Rita Montebelli

Uno studio firmato da ricercatori della Cleveland Clinic ha seguito il decorso dei pazienti con una crisi ipertensiva diagnosticata in ambulatorio per valutare le differenze di outcome tra chi era stato trattato in ambulatorio e chi era stato inviato in pronto soccorso. Non sono state riscontrate differenze e il trattamento ambulatoriale è risultato altrettanto efficace e sicuro di quello del pronto soccorso che comporta quindi un inutile consumo di risorse

15 GIU - Cosa fare di fronte ad un paziente con una crisi ipertensiva? Trattarlo in ambulatorio o farlo ricoverare? E’ la domanda che ha ispirato un lavoro pubblicato su JAMA Internal Medicine da un gruppo di ricercatori della Cleveland Clinic. Ma è anche un dilemma che investe quotidianamente chi si occupa di ipertensione. E la risposta non è affatto scontata. La paura di fondo è che il paziente con un’urgenza ipertensiva (cioè con una pressione superiore a 180/110 mmHg) possa complicarsi con un danno d’organo. Quindi, mandarlo a casa, anche dopo aver ridotto i valori pressori con una terapia d’emergenza, può destare qualche inquietudine.
Va detto poi che, nonostante un’abbondanza di linee guida sul trattamento della pressione arteriosa, la gestione di un’emergenza/urgenza ipertensiva resta ancora una zona grigia.
Per tutti questi motivi non è infrequente trovare pazienti con la pressione alta, nella sala d’aspetto del pronto soccorso.
 
Krishna Pateldella Cleveland Clinic (USA) e colleghi sono andati dunque a valutare un’ampia casistica di pazienti che, dal 2008 al 2013, avevano presentato un’urgenza ipertensiva presso un ambulatorio della Cleveland Clinic. Su 2,2 milioni di visite ambulatoriali, gli autori ne hanno selezionate circa 560 mila (il 4,6%) che rispondevano ai criteri di ‘urgenza ipertensiva’. L’identikit di questi pazienti con crisi ipertensiva era: 58% donne, BMI di circa 31, sistolica media 182,5 mmHg e diastolica media 96,4 mmHg.
Un dato sorprendente dello studio è che, di questa notevole mole di pazienti, solo lo 0,7% (426) è stato prontamente inviato al pronto soccorso per risolvere la crisi ipertensiva. Tutti gli altri sono stati mandati a casa, dopo la gestione ambulatoriale del caso.
 
Andando a confrontare i 426 pazienti inviati in pronto soccorso con altri 852 pazienti inviati a casa dopo il trattamento ambulatoriale della crisi, gli autori non hanno rilevato alcuna differenza significativa nel tasso di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE) a distanza di una settimana, né di un mese, né di sei mesi.
 
Notevole è invece stato l’impegno economico generato dalla gestione delle crisi ipertensive presso il dipartimento d’emergenza. In particolare – ricordano gli autori – i 426 pazienti sono stati sottoposti a 748 test, dei quali solo il 5,5% è risultato alterato; sono state inoltre effettuate 60 TAC (49 TAC cranio e 11 del torace) tutte risultate normali. E sono risultati da considerare visto che, oltre allo spreco di risorse, hanno comportato un inutile esposizione dei pazienti alle radiazioni.
 
Tra quanti sono stati rinviati a casa, molti avevano ancora una pressione scarsamente controllata a distanza di un mese dalla crisi, ma non a sei mesi. E tra questi pazienti comunque molto bassa è stata la percentuale di ricoveri a una settimana.
 
Le urgenze ipertensive sono evenienze comuni nell’attività ambulatoriale. In assenza di sintomi, possibile spia di un danno a carico degli organi bersaglio dell’ipertensione, la maggior parte di questi pazienti – concludono gli autori dello studio – possono essere trattati in ambulatorio e quindi rimandati a casa, perché le complicanze cardiovascolari a breve termine sono rare. L’invio in pronto soccorso, oltre ad assorbire risorse, non dà risultati migliori della gestione ambulatoriale. Va tuttavia tenuto presente che i soggetti con un’urgenza ipertensiva sono ad elevato rischio di ipertensione scarsamente controllata fino a sei mesi dopo la crisi ipertensiva; per questo motivo bisognerebbe seguirli attentamente e intensificare il trattamento antipertensivo.
 
Maria Rita Montebelli

15 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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