Trial clinici. Dall’Ema l’invito a maggiore trasparenza e rapidità nella condivisione dei dati. Soprattutto in caso di incidente
di Maria Rita Montebelli
Guido Rasi e Sergio Bonini dell’Ema sul New England Journal of Medicine sottolineano l’importanza della trasparenza e della condivisione immediata dei dati relativi ai trial clinici. Soprattuto in caso di eventi come quello accaduto di recente in Francia con la morte di un volontario arruolato in un trial. Una necessità di salute pubblica che non dovrebbe ammettere eccezioni. Neppure nel caso degli studi first-in-human
04 NOV -
All’inizio dell’anno, un volontario sano che aveva assunto un inibitore dell’
idrolasidell’
ammide degli acidi grassi (FAAH), al dosaggio di 50 mg/die per 5 giorni consecutivi, nell’ambito di un trial clinico di fase 1 ‘
first-in-human’ è stato ricoverato all’ospedale di Rennes (Francia) per comparsa di disturbi neurologici e dell’andatura. Il malcapitato, nonostante tutte le cure ricevute, arrivava al decesso dopo pochi giorni, il 17 gennaio. Sempre nello stesso ospedale sono stati ricoverati altri 5 volontari che avevano preso parte al
trial, 4 con gli stessi sintomi neurologici.
Il
New England Journal of Medicine di questa settimana pubblica le considerazioni dei medici che hanno assistito questi pazienti, in forma però estremamente lacunosa e dunque speculativa, visto che due dei partecipanti non hanno espresso il consenso a rendere pubblici i loro dati, che non sono noti i risultati dell’autopsia del volontario deceduto e che non è disponibile la documentazione clinica relativa ad altri 84 volontari sani ai quali erano state somministrate dosi singole in concentrazione crescente (fino a 100 mg) o multiple (fino a 20 mg per 10 giorni) del nuovo farmaco.
In un editoriale di commento all’articolo di
Anne Kerbrat e colleghi dell’Ospedale universitario di Rennes,
Guido Rasi e Sergio Bonini dell’EMA (
European Medicines Agency) prendono lo spunto per un commento generale sulla conduzione dei
trial clinici in Europa, astenendosi dall’entrare nel merito di questo caso specifico, sul quale è attualmente in corso un’indagine della magistratura.
“Idealmente – scrivono gli autori dell’editoriale - i
trial clinici e le regole alla loro base dovrebbero andare incontro ad un’evoluzione continua e avvalersi delle esperienze raccolte attraverso le ricerche cliniche, in particolare quando un
trial è gravato da gravi eventi avversi”. Come visto, ad oggi purtroppo le informazioni disponibili per il
trial in questione sono del tutto inadeguate. L’EMA, in attesa dell’implementazione della nuova
European Clinical Trial Regulation, si sta adoperando per promuovere la condivisione dei dati e della totale trasparenza degli studi clinici. Iniziative però che trovano un’importante eccezione proprio in questi studi cosiddetti ‘
first-in-human’, i cui dati e protocolli vengono resi noti solo molto tempo dopo la fine dei
trial.
Rasi e Bonini auspicano invece che anche in quest’ambito, interessi commerciali e
privacy individuale trovino un loro giusto equilibrio con gli interessi di salute pubblica, così da rendere immediatamente disponibili i dati, nel caso in cui dal
trial ci scappi il morto, come è successo a Rennes.
Queste lezioni dovrebbero portare a mettere in atto strategie che rendano più sicuri i processi di sviluppo di un farmaco. E comunque in EMA è in atto una revisione (su aspetti clinici e non) delle attuali linee guida, che terrà conto degli aspetti critici legati a questo tragico
trial.
Secondo gli autori, i
trial clinici rappresentano comunque ancora il modo migliore per fornire le evidenze necessarie all’approvazione di un farmaco e al suo uso in clinica. I
trial di fase 1 di solito sono sicuri, come dimostra il fatto che sono nel corso di due studi sono stati registrati eventi avversi molto gravi a carico di alcuni volontari su un totale di oltre 14.700 studi condotti finora in Europa dal 2005 (3.100 dei quali del tipo ‘first-in-human), comprendenti oltre 305mila partecipanti.
L’ovvia speranza è che con la revisione delle linee guida EMA, le maglie della sicurezza di questi
trial diventino ancora più serrate per minimizzare i rischi dei partecipanti e per fare in modo che gli studi ‘
first-in-human’ vengano condotti in tutti gli stati membri UE in maniera trasparente e sicura. Per il bene di tutti.
Maria Rita Montebelli
04 novembre 2016
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