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Farmaceutica. “Sul payback non ci siamo tirati indietro: in 4 anni ripianati oltre 250 milioni di euro”. Intervista a de Cicco (Roche)

di Ester Maragò

La multinazionale farmaceutica, prima tra tutte le Aziende, è quella che ha restituito di più: “Per dare un segnale di buona volontà e sostenere il Paese”. Ma il Presidente e AD di Roche Spa non nasconde le sue preoccupazioni sul clima di incertezza politica del Paese: “Non abbiamo una nuova governance e soprattutto manca una cabina di regia. Il 2018 si presenta come un anno di stallo drammatico”.

30 MAG - Il clima di grande instabilità politica che perdura ormai da mesi, preoccupa e non poco l’Industria farmaceutica italiana. Nonostante il bilancio in positivo del 2017 che la porta in Europa ad essere seconda solo alla Germania, teme di veder vanificati gli sforzi compiuti. “La nostra sfida, e quelle di tutte le Aziende del farmaco è cercare di pianificare a tre anni. Questo significa investimento e occupazione. Non riuscire ad avere una visione a tre anni diventa un esercizio difficile se non impossibile per chi ha compiti di responsabilità. Diventa perciò difficoltoso pianificare il futuro e cercare di attirare investimenti nel nostro Paese” ha sottolineato in questa intervista a Quotidiano Sanità, Maurizio de Cicco, Presidente e AD di Roche Spa. Molti i temi toccati, a partire dal payback: “Abbiamo deciso di chiudere la partita dimostrando che anche l’Italia è in grado di esprimere delle certezze. Per questo abbiamo risposto ai quattro anni di sforamento ripianando oltre 250 milioni di euro”. E ora auspica che “Aifa tenga conto delle Aziende che hanno messo la parola fine proprio per andare avanti. Fermo restando che molte Aziende hanno ragione, alla fine un segnale bisogna darlo altrimenti il Paese è bloccato”.
 
Dottor de Cicco, l’Italia sta attraversando un momento particolarmente delicato. Nell’incertezza evolutiva degli scenari politici, sappiamo comunque quali sono le intenzioni dei protagonisti di questa nuova legislatura. Nel programma del contratto Lega-M5S, per quanto riguarda il capitolo sanità, tra le tante proposte, si parla di una maggiore autonomia alle regioni e anche di una revisione della governance del farmaco per recuperare risorse. Quali sono le sue valutazioni?
Non è un momento facile. Tutt’altro. L’industria farmaceutica italiana ha chiuso il 2017 consapevole di essere stata comunque un motore di crescita per il Paese. Veniamo infatti da un periodo di “relativa tranquillità”. Con il ministro Lorenzin c’è stata un’indiscutibile apertura verso un confronto costruttivo, nonostante la mina vagante payback e la conseguente determinazione dei tetti della distribuzione diretta, sicuramente sottostimati. Ma ora ci scontriamo con un clima di grande incertezza: non abbiamo una nuova governance e soprattutto manca una cabina di regia. Non vedo interlocutori e decisori con cui confrontarsi, sebbene la Commissione Tecnico-Scientifica e il Comitato Prezzi e Rimborso portino avanti un’attività ordinaria. Ma dall’altra parte, assistiamo ad una spinta verso il controllo della salute da parte delle Regioni. Non dimentichiamo che Lombardia, Veneto Emilia Romagna, tre realtà trainanti nel mercato interno, hanno firmato con il Governo pre accordi per un maggiore autonomia.
 
Tirando le somme?
Il 2018 si presenta come un anno di stallo drammatico. Diventa perciò difficoltoso pianificare il futuro e cercare di attirare investimenti nel nostro Paese. Insomma, per una multinazionale come la nostra, spiegare questi meccanismi a casa madre è veramente complesso. Né possiamo far finta di nulla, sarebbe da incoscienti. Credo che vada fatta una riflessione profonda su questo impasse, per il bene del Paese. L’industria farmaceutica italiana è cresciuta nella produzione e nell’export, con importanti ricadute positive sul fronte occupazionale. In Europa siamo secondi solo alla Germania, Paese produttore leader nell’Ue, ma abbiamo tutte le carte in regola per superarla. Ritengo quindi che questo enorme sforzo vada riconosciuto. La nostra sfida, e quelle di tutte le Aziende del farmaco è cercare di pianificare a tre anni. Questo significa investimento e occupazione. Non riuscire ad avere una visione a tre anni diventa un esercizio difficile se non impossibile per chi ha compiti di responsabilità.
 
Parliamo del “fardello” payback. Il 2017 si è chiuso con un mancato equilibrio tra tetti programmati e spesa reale. La “diretta” sfonda con un rosso di 1,7 miliardi. Tant’è che le aziende farmaceutiche sono state nuovamente chiamate a ripianare l’eccedenza dell’ospedaliera con un payback di circa 870 milioni. Qual è lo stato dell’arte?
Come ho già detto, il payback è una vera e propria mina vagante. Mi spiego, il problema è che il sistema sta ancora scontando un peccato originario, quello del payback 2013-2015. Una vicenda che non si è ancora completamente chiusa: ci sono stati errori di calcolo, non tutti i dati regionali collimavano e di conseguenza non tutte le Aziende si sono sentite di ripianare quanto richiesto. Si è così creato un buco di circa oltre 500 milioni che si è trascinato nel tempo. Aver vincolato il 2016 alla chiusura del pregresso ha poi creato uno scenario variegato: c’è chi ha ripianato tutto, chi parzialmente e chi nulla. Roche, ha deciso di chiudere la partita dimostrando che anche l’Italia è in grado di esprimere delle certezze. Per rimborsare il payback 2013-2015 abbiamo pagato160 milioni di euro ai quali sommare ulteriori 90 milioni di euro per il 2016. Quattro anni di sforamento in cui la nostra Azienda ha ripianato oltre 250 milioni di euro, proprio per dare un segnale di buona volontà e sostenere il Paese. Possiamo dirlo: Roche, prima tra tutte, è quella che ha restituito di più.
 
Cosa si augura quindi?
Che non si faccia di tutta un’erba un fascio e quindi che Aifa tenga conto delle Aziende che hanno messo la parola fine proprio per andare avanti. Fermo restando che molte Aziende hanno ragione, alla fine un segnale bisogna darlo altrimenti il Paese è bloccato.
 
Quali sono le soluzioni alternative?
Abbiamo una convenzionata che si è mantenuta sotto il tetto di spesa, con un risparmio per le Regioni di 350 milioni. Se avessimo messo questi soldi a disposizione della diretta certamente le cifre da pagare sarebbero state minori. In sostanza se i tetti e i fondi per l’innovazione si “fossero parlati” certamente il pay back sarebbe stato più basso. Non sarebbe stato vissuto come forma di aggiustamento del sistema farmaceutico, ma come un’eccezione e non come una normale procedura. E se non interveniamo sul sistema, ogni anno le cifre del payback saranno sempre più alte. Soprattutto alla luce delle terapie innovative arrivate e in arrivo. Terapie rivoluzionarie che costano.
 
Per favorire la sostenibilità c’è tutta la partita dei biosimilari. Il nuovo position paper Aifa ha spazzato via ogni indugio sul loro utilizzo. Cosa ne pensa?
Chiariamo subito una cosa, noi siamo perfettamente consapevoli di quanto questi farmaci siano un’importante fonte di saving, e che i risparmi ottenuti servano anche per sostenere l’innovazione nelle Regioni. Quindi, ben vengano. Però spazziamo via il mito sul loro scarso impiego nel nostro Paese, perché ci sono dati eloquenti che indicano l’Italia come uno degli Stati europei dove vengono più utilizzati. Non siamo quindi dei conservatori. Ciò detto, ritengo che la scelta debba rimanere in capo al medico, Aifa è della medesima opinione, ma la centralità del professionista sanitario deve essere rispettata anche attraverso la creazione delle migliori condizioni, affinché possa operare le proprie scelte, nell’interesse dei pazienti, senza pressioni, dirette o indirette.
 
Sicuramente i biosimilari vengono considerati anche come un ottimo “grimaldello” per calmierare i prezzi…
Anche su questo bisogna dare la giusta informazione. Ben tre anni fa, quando ancora non c’erano i biosimilari dei nostri farmaci con brevetto scaduto ricontrattammo il prezzo con Aifa tagliando la spesa di 60 milioni. Quando poi sono arrivati i biosimilari, Aifa ha operato un ulteriore taglio del 10%. Un’operazione servita solo a settare il prezzo del biosimilare ad un costo ancora più basso. A questo aggiungiamo che, grazie ai meccanismi del pay for performance e del risk sharing, abbiamo dato ulteriori 40 milioni di euro. A conti fatti, direi che siamo molto attenti ai problemi di sostenibilità. In ogni caso credi sia giusto che venga considerato quanto portiamo in termini di innovazione.
 
Ultima domanda. Chi sarà il prossimo presidente di Farmindustria?
Considerando questo clima di grande incertezza, mi piacerebbe se l’Assemblea, che si riunirà tra meno di un mese, decidesse secondo una linea di continuità, favorendo chi ha portato esperienza e risultati. Questo è il mio auspicio…per lo meno per i prossimi due anni”.
 
Ester Maragò
 

30 maggio 2018
© Riproduzione riservata

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