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Sulla non retroattività della legge Gelli-Bianco

di Fernanda Fraioli

La Corte dei Conti ha ribadito che – anche alla luce di una lettura costituzionalmente orientata – la disciplina introdotta con la legge n. 24 del 2017 costituisce un corpus unico ed articolato che deve trovare complessiva attuazione proprio perché contemplante disposizioni di carattere innovativo rispetto alla previgente normativa

16 OTT -

Una delle Sezioni d’appello della Corte di conti, in occasione dell’eccezione sollevata in merito dalla difesa delle parti convenute, è tornata sull’applicabilità degli artt. 9 e 13 della legge n. 24/2017 (legge Gelli-Bianco) in termini retroattivi.

È appena il caso di ricordare che l’art. 13 impone alle strutture sanitarie di comunicare, entro quarantacinque giorni, all'esercente la professione sanitaria l’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato con invito a prendervi parte, precludendo l'ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa in caso di omissione, tardività o incompletezza delle comunicazioni; mentre secondo il disposto dell’art. 9 della citata legge, se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l'azione di rivalsa nei suoi confronti può essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale e, a pena di decadenza, entro un anno dall'avvenuto pagamento.

Nella fattispecie specifica – di danno indiretto da malpractice medica – il giudice contabile ha ritenuto non meritevole di accoglimento questa richiesta della parte in quanto l’evento data 15 settembre 2010, ovvero in epoca molto antecedente all’entrata in vigore della succitata legge n. 24/2017.


Hanno militato a favore di tale decisione, sia il disposto dell’art. 11 delle preleggi – secondo il quale la legge non ha effetto che per l'avvenire, per cui la sua retroattività deve essere espressamente prevista – sia alcune pronunce del giudice delle leggi (Corte Cost., sentenze n. 170/2013, n. 103/2013, n. 271/2011 e n. 69/2014) le quali hanno statuito che l’eventuale efficacia retroattiva di una legge, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale salvo che per la materia penale, deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e non contrastare con altri valori o interessi costituzionalmente protetti sussistendo, quindi, “un limite nel principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, il mancato rispetto del quale si risolve in irragionevolezza” .

Conseguentemente, stante l’assenza di un’espressa previsione legislativa in tal senso per la disciplina dettata dalla legge n. 24/2017, ad essa non può riconoscersi carattere retroattivo.

La pronuncia in commento, ad onor del vero, non è nuova per la Sezione d’appello che l’ha adottata avendo già in precedenza avuto modo di esprimersi in tal senso con altra sentenza (Sez. I appello n. 262/2018) ove si legge che laddove le condotte illecite causative di danno erariale si sono verificate “ben prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco non può essere riconosciuta efficacia retroattiva alla nuova disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli esercenti le professioni sanitarie, quale introdotta dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 ed in particolare all’art. 13, che sancisce l’inammissibilità dell’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa nell’ipotesi di mancato coinvolgimento del medico, autore dell’asserito errore, nel giudizio civile introdotto dal terzo danneggiato ovvero nelle trattative stragiudiziali”.

Tanto perché è ormai orientamento consolidato della giurisprudenza contabile (Sez. I, n. 536/2017 e n. 14/2019; Sez. II, n. 224/2021, n. 388/2021, Sez. Piemonte, n. 15/2023 e n. 20/2023) che la legge n. 24/2017 “disegna compiutamente un nuovo sistema di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie e ha, pertanto, natura sostanziale, di talché le disposizioni di natura processuale, pure in essa contenute, non possono che leggersi in stretta ed indispensabile connessione con il complesso del nuovo regime sostanziale di responsabilità, del quale rappresentano mero corollario non essendone ipotizzabile un’applicazione avulsa dall’intera vigenza del nuovo sistema”.

Ma non solo.

Anche la Cassazione è del medesimo avviso avendo escluso – con sentenza n. 28994/2019 – efficacia retroattiva alla legge n. 24/2017 chiarendo che, non solo non vi è alcuna declaratoria di retroattività nel testo legislativo, ma costituisce “indice inequivocabilmente contrario alla retroattività la circostanza che un siffatto intervento legislativo verrebbe ad interferire comunque con il potere ordinariamente riservato al giudice di interpretare i fatti e qualificarli giuridicamente, venendo così inammissibilmente ad incidere, seppur indirettamente, sui singoli processi in corso, con patente lesione dell'affidamento di chi ha intrapreso un'azione giudiziaria sulla base di regole sostanziali certe”.

A fronte di tale granitica posizione giurisprudenziale condivisa, a nulla è valso quanto ha cercato di opporre la difesa dell’appellante – ovvero che il parere del Comitato Gestione sinistri aziendali, la stipula dell’accordo stragiudiziale, la conseguente delibera ed i mandati di pagamento siano intervenuti quando oramai la legge n. 24/2017 era in vigore – poiché il fatto illecito generatore di danno erariale, oggetto dell’odierno giudizio, si è verificato quando tale normativa non era ancora vigente.

Oltre a doversi considerare che, comunque, non tutti questi atti erano successivi all’entrata in vigore della legge n. 24/2017, dal momento che il procedimento penale veniva avviato nel 2010 e, in data 22 maggio 2015, veniva notificato il decreto di citazione del responsabile civile nell’ambito del predetto procedimento penale.

La parte appellante ha, altresì, invocato anche la giurisprudenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, in tema di introduzione di nuovi termini decadenziali di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento previsti dall’art. 32 della l. n. 183/2020, ove si discuteva, non di responsabilità da fatto illecito, ma “solo dell'assoggettamento di un diritto, già acquisito, ad un termine di decadenza per il suo esercizio” (Cass., n. 14632/2020); prevedendosi, comunque, in sede di prima applicazione un ampio arco temporale prima che la normativa trovasse attuazione.

Il collegio contabile d’appello ha ritenuto il richiamo assolutamente inconferente tanto da non ravvisare motivi di censura del percorso motivazionale reso dal Giudice di primo grado che, in conformità alla consolidata giurisprudenza, ha escluso l’applicazione della predetta disciplina a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore basandosi, oltre che sul tenore letterale della norma che non prevede alcuna efficacia retroattiva della stessa, su ragioni sostanziali in quanto ne deriverebbe una ingiustificata sterilizzazione di tutte le azioni risarcitorie per le quali le aziende sanitarie non abbiano seguito, in assoluta buona fede, una procedura all’epoca non prevista né richiesta da previsioni di legge o regolamentari.

Come pure non è stata ritenuta ipotizzabile la violazione del principio del favor rei, pure propugnata dalla difesa in quanto esso attiene esclusivamente all’ambito penalistico, non estensibile alla responsabilità amministrativo-contabile.

Anche questa non è comunque una novità assoluta, posto che già in passato (con la notoria sentenza “Rigolio c. Italia” del 13 maggio 2014), la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva affermato la non equiparabilità della responsabilità per danno erariale a quella penale, confermando la natura risarcitoria della responsabilità azionata dinanzi alla giurisdizione contabile.

Conseguentemente, tutte queste considerazioni hanno condotto alla dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 9 e 13 della L. n. 24/2017 sollevata in via di subordine, sempre da parte del medico appellante, per violazione degli articoli 3 e 42 della Costituzione, degli articoli 1 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e degli articoli 7, 17 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per la mancata previsione di un regime intertemporale per fatti illeciti verificatisi prima dell’entrata in vigore delle norme della predetta legge n. 24/2017, ma relativi a vicende procedimentali o processuali non ancora esaurite, proprio come nel caso di specie.

Il Collegio non ha ritenuto di sollevarla davanti alla Corte costituzionale in quanto ha valutato che la lamentata assenza di una disciplina transitoria trovi piena ragione nell’esercizio del potere discrezionale spettante al legislatore il quale, qualora avesse ritenuto necessario regolamentare anche le fattispecie illecite verificatesi in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge o quelle non ancora esaurite per l’eventuale intervento di atti consequenziali al fatto illecito, lo avrebbe espressamente fatto, proprio come avvenuto nella materia dei licenziamenti richiamata dall’appellante con l’introduzione, ad opera dell’art. 2, co. 54, del D.L. n. 225/2010, del co. 1 bis all’art. 32 della legge n. 183/2010, che differiva al 31 dicembre 2011 l’efficacia del termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento.

Né, infine, ha ravvisato alcuna disparità di trattamento per violazione dell’art. 3 della Costituzione, in virtù dell’applicazione della novella recata dalla legge, n. 24/2017 soltanto a fatti avvenuti successivamente all’entrata in vigore della legge, trattandosi di vicende verificatesi in epoche differenti e diversamente disciplinate per espressa volontà legislativa.

Altrimenti opinando, ha ritenuto il Collegio, si finirebbe per alterare la disciplina giuridica sostanziale vigente nel momento in cui si è perfezionato l’evento generatore della responsabilità amministrativa con la definitiva, quanto abnorme conseguenza di paralizzare ogni possibile azione risarcitoria a tutela del patrimonio pubblico per tutti i fatti antecedenti al 1 aprile 2017, come, peraltro, chiaramente sentenziato in precedenza da altra Sezione d’appello (Sez. II, n. 210/2020).

È stato, così ribadito che – anche alla luce di una lettura costituzionalmente orientata – la disciplina introdotta con la legge n. 24 del 2017 costituisce un corpus unico ed articolato che deve trovare complessiva attuazione proprio perché contemplante disposizioni di carattere innovativo rispetto alla previgente normativa.

Fernanda Fraioli
Consigliere della Corte dei conti



16 ottobre 2023
© Riproduzione riservata


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