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Libro bianco sui bambini. Uno su tre mangia troppo e male. E i genitori subiscono


"Piccoli tiranni" in cucina: così i pediatri italiani nel rapporto sulla salute dei bambini. Sovvrappeso il 34% dei piccoli. E poi c'è l'allarme nascite (- 74% negli ultimi 140 anni). Resta infine un grave gap assistenziale tra Nord e Sud e in Calabria la mortalità infantile è tre volte più alta che a Trento.

30 GEN - I bambini italiani, pur se gravati come i loro genitori da molti chili di troppo, da sedentarietà e da pessime abitudini a tavola, riescono ancora a cavarsela e le loro condizioni di salute sono complessivamente buone, anche grazie a una rete di protezione familiare che è una tipica tradizione “made in Italy” e che spesso supplisce alle reti di servizi sociali ancora carenti e disomogenee lungo lo Stivale. È questo il quadro emerso nel corso della presentazione, stamane, del primo Libro Bianco “La salute dei bambini”, pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane in collaborazione con la Società italiana di pediatria (Sip).
 

Niente di buono sul fronte delle abitudini alimentari che, anzi, sono in peggioramento con molti problemi di bilancia, in particolare al Sud. Il 22,9% dei bambini di 8-9 anni è risultato in sovrappeso e l’11,1% in condizioni di obesità. “Oggi, purtroppo a tavola comanda il bambino - ha spiegato Alberto Ugazio, coordinatore del Dipartimento di Medicina Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e presidente della Sip - non c’è dubbio che oggi i genitori non sono più in grado di indicare ai figli le cose giuste e sbagliate a tavola, o non hanno tempo o non sono preparati per farlo”. Così i bambini prendono spazio e si comportano come piccoli tiranni: “Una delle abitudini che il pediatra nota di più oggi – ha raccontato Ugazio – è che i genitori chiedono al bambino anche molto piccolo cosa vuol mangiare, ma il bambino non ha gli strumenti per decidere per il proprio bene”. C’è un insieme di fattori sociologici e psicologici familiari che convergono verso questo e i cambiamenti della struttura familiare hanno influito moltissimo. "Questi - ha proseguito il pediatra - sono tutti elementi che favoriscono una alimentazione sregolata a cui si deve sommare anche una scarsa attività fisica all'aperto da parte dei bimbi". 
 
Un altro dei più gravi problemi segnalati nel rapporto è che l’Italia rischia di rimanere un Paese di “nonni senza nipoti”, tanto sono bassi natalità e ricambio generazionale. Basti pensare che dal 1871 al 2009 la natalità si è quasi dimezzata (-74,25%) e attualmente si assesta al 9,5‰, cioè nascono 9,5 bebè ogni 1000 abitanti, contro, solo per fare qualche esempio, 12,8‰ della Francia, 10,8‰ della Spagna, 12‰ della Svezia e 12,8‰ del Regno Unito. 
Numeri preoccupanti, al punto da dire che “mai in nessun altro Paese del mondo si è avuto un tale abbassamento dei tassi di fecondità e natalità in così breve tempo”, come spiegato da Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma. Tale fenomeno, come sottolineato nel testo, è stato senza dubbio prodotto e aggravato nel corso degli anni da una grave carenza di politiche a supporto della famiglia che hanno reso l’Italia un Paese "non a misura di bambino" e con politiche del welfare non orientate né ai bisogni dell’infanzia né nell’incentivare le giovani coppie a metter su famiglia. 
 
 
Dal Libro Bianco è però emerso chiaramente l’incremento delle nascite da cittadini stranieri, soprattutto a partire dall’anno 2003. Le regioni del Nord in particolare sono quelle con la più elevata incidenza di nati da almeno un genitore straniero: l’Emilia-Romagna (madre 25%; padre 21,7%), il Veneto (madre 24,4%; padre 21,6%) e la Lombardia (madre 23,2%; padre 20,6%) sono quelle con i tassi più elevati. Al contrario nel Mezzogiorno la quota di nati con almeno un genitore straniero risulta non solo inferiore al dato nazionale, ma estremamente contenuta. 
 
Ma a preoccupare non è soltanto il misero tasso di natalità registrato. Tra le criticità riscontrate nel rapporto si evidenzia anche “la profonda disomogeneità dei servizi assistenziali nelle diverse regioni che si traduce in opportunità di salute diverse. In altri termini, essere bambino nel Sud d’Italia non è egualmente facile che esserlo nel Nord-Est del Paese. A dimostrazione di tutto questo il range di variabilità dei tassi di mortalità infantile regionali che, nel triennio 2006-2008, è oscillato da 1,60 casi per 1.000 della PA di Trento a 4,82 casi per 1.000 della Calabria. 
 
 
Disomogenea appare anche l’assistenza ospedaliera in pediatria, manca, in particolare in alcune zone, una idonea programmazione degli interventi assistenziali e la capacità di creare un filtro che parta dal pediatra per indirizzare al meglio il bambino verso il percorso assistenziale che più risponde ai suoi bisogni, evitando dunque tutte quelle ospedalizzazioni inutili. 
Fortunatamente oggi i bimbi italiani possono ancora fare affidamento su una fitta rete di pediatri territoriali (il numero di Pediatri di Libera Scelta a livello nazionale nel periodo 2001-2008 è aumentato del 6,3%, passando da 7.199 a 7.649); ma non è remoto il rischio che, già a partire dal 2015, i pediatri disponibili per l’assistenza primaria ai bimbi italiani diminuiranno in modo drastico in quanto una grande quota di questi andrà in pensione e, poiché l’accesso alle scuole di specializzazione prevede il numero chiuso, non sarà possibile assicurare il turn over. Stando ai risultati di una recente indagine della Società Italiana di Pediatria (Sip), la progressiva riduzione di pediatri, già in atto dal 2010, porterà dagli attuali 15 mila professionisti ai 12 mila nel 2020, che scenderanno a quota 8000 nel 2025. 
 
Tutto questo in realtà non è stato visto "necessariamente come un grave problema" da parte del presidente della Sip, Alberto Ugazio. “La strutturazione attuale è ormai obsoleta – ha spiegato – in Usa con la riforma Obama si sono create le ‘pediatric home’, strutture capaci di garantire una continuità assistenziale ed anche una multidisciplinarità che oggi noi non abbiamo”. “In queste strutture territoriali, sotto il lavoro di coordinamento del pediatra – ha concluso Ugazio – lavorano ad esempio anche i dietisti. Si tratta di un modello interessante che sta prendendo piede anche in Spagna”.


30 gennaio 2012
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