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Sciopero ginecologi. "Ecco perché non ce la facciamo più". Intervista a Gigli (Fesmed)


Martedì 12 febbraio stop a 1.100 interventi programmati. Vogliamo garanzie per poter lavorare al meglio in strutture sicure e moderne. Per noi medici, ma soprattutto per le nostre assistite. E poi vogliamo nuove norme di legge per il contenzioso medico legale e tariffe controllate per le polizze assicurative.

11 FEB - Martedì 12 febbraio i ginecologi italiani faranno, come categoria, il loro primo sciopero. A sentirli la situazione è ormai insostenibile. Accordi non rispettati per mettere in sicurezza la rete dei punti nascita e, soprattutto, un contenzioso medico legale ormai insostenibile, sul piano professionale e su quello economico. 
Ne abbiamo parlato con il presidente della Fesmed, Carmine Gigli, al quale abbiamo chiesto di spiegarci nel dettaglio modalità e ragioni di questa protesta.
 
Presidente Gigli, perché questo sciopero? 
Le ragioni sono due e sono strettamente collegate. Vogliamo garanzie per poter lavorare al meglio in strutture sicure e moderne, e questo per noi medici, ma soprattutto per le nostre assistite. E poi vogliamo nuove norme di legge per il contenzioso medico legale e tariffe controllate per le polizze assicurative.
 
Andiamo per ordine. Cosa c’è che non va nei punti nascita italiani? 
Forse in pochi ricordano, visto che sono passati già più di due anni, che nel dicembre del 2010 Stato e Regioni concordarono un Piano straordinario di riassetto dei punti nascita che prevedeva precise indicazioni per la loro qualità e messa in sicurezza. Dalla chiusura di quelli troppo piccoli, alla guardia ginecologica e pediatrica attiva h24, ad un numero sufficiente di ostetriche nei reparti e alla predisposizione di sale operatorie vicino alle sale parto. Ebbene, da allora, non è stato fatto nulla. E in molte regioni si va avanti ancora con la pronta disponibilità e gli straordinari.
 
Che conseguenze crea questo ritardo?
È evidente che se le strutture non garantiscono degli standard adeguati il rischio ricade tutto sul professionista, senza considerare che se non sono presenti medici mancano anche i controlli e vengono meno la tempestività degli interventi e la sicurezza verso i pazienti. Ma oltre a ciò c’è poi il problema dei tagli della spending review e quello degli alti costi assicurativi per i ginecologi. Tutti aspetti che non fanno altro che alimentare il fenomeno della medicina difensiva.
 
Veniamo quindi al contenzioso medico legale. Ma non pensate che il cittadino abbia il diritto ad ottenere risarcimenti se il medico sbaglia…
Nessuno discute questo diritto. Ci mancherebbe. Ma siamo sicuri che le cose siano così semplici?
 
Ce lo spieghi.
In primo luogo la medicina ha in sé la possibilità del “non successo” di quello che si fa. La medicina non è infallibile. E oggi si aprono contenziosi comunque, a prescindere da cosa sia realmente accaduto. Quella persona assistita ha avuto un problema? Intanto denuncio medico e ospedale, poi si vedrà. E in quel “poi si vedrà” c’è tutto il dramma di un professionista che deve affrontare da solo un calvario di anni di sospetti che poi, lo dicono i dati delle Procure, si risolvono con un 98,8% di assoluzioni o archiviazioni dei procedimenti penali ma non di quelli civili.
 
E allora?
Allora anche in Italia, come ad esempio hanno fatto in Francia alcuni anni fa, dobbiamo prevedere un’‘alea medica’, cioè quel margine di rischio inevitabile in ogni atto medico, che deve essere considerata e protetta in sede giudiziaria. Ma non basta. Attualmente gli ospedali dovrebbero essere assicurati e il medico si dovrebbe assicurare solo per la colpa grave. In realtà, a causa dei tagli, molte aziende non hanno rinnovato le polizze (il cui costo medio varia tra i 3 e i 5 mln di euro per azienda) e in alcuni casi hanno usato ‘l’escamotage’ dell’autoassicurazione. Il problema di questo metodo è che vengono messe a budget cifre modeste per il risarcimento dei danni, che possono bastare per piccole entità, ma se accade una disgrazia in sala parto (i cui risarcimenti possono superare i 4 mln di euro) allora le cifre non sono sufficienti, le aziende diventano insolventi e il medico viene chiamato a pagare per tutti. Non si può lavorare in questo modo. È un po’ come se si condannassero gli ingegneri di una casa automobilistica per gli incidenti stradali. E non è finita qui, perché i problemi ci sono anche nei rapporti tra i professionisti e le assicurazioni.
 
In che senso? 
Se un ginecologo si vuole assicurare, accade che le compagnie o non stipulano le polizze o propongono premi elevatissimi che possono arrivare fino a 30mila euro l’anno. Cifre spropositate e che non si possono nemmeno scaricare dalle tasse. Pensiamo per esempio ad un giovane professionista che entra nel mondo del lavoro (dopo almeno 12 anni di studi), è impensabile che possa avere le risorse per pagare certi premi. Infatti, stanno scendendo bruscamente le iscrizioni per alcune specializzazioni. E mi chiedo poi cosa succederà quando il 13 agosto di quest’anno scatterà l’obbligo di assicurazione per i professionisti.
 
Con la legge Balduzzi è cambiato qualcosa?
Le nuove norme sono insufficienti. E poi manca ancora il previsto decreto presidenziale sul nuovo Fondo assicurativo per il quale mi risulta siano ancora in alto mare.
 
Cosa chiedete quindi al nuovo Governo?
In primis chiediamo che vengano messi in sicurezza i punti nascita su tutto il territorio nazionale proprio come disciplinato dall’accordo Stato-Regioni del 2010 e poi di risolvere la questione del contenzioso medico legale. Quest’aspetto è decisivo perché in questi anni di vuoto normativo il fenomeno ha visto crescere il numero di una serie di soggetti (avvocati, periti medico legali, etc) che vivono proprio di questo. Ma la situazione è insostenibile ed è sempre più forte nella categoria la paura dell’assistere i cittadini. Ecco perché riteniamo indispensabile approntare una riforma completa.
 
Con quali modalità si svolgerà lo sciopero del 12 febbraio?
 
Non vogliamo che le donne subiscano danni per cui sarà garantita la continuità delle prestazioni indispensabili ai sensi di quanto previsto all’articolo 1 della Legge 146/90 e negli Accordi sui servizi pubblici essenziali in caso di sciopero della dirigenza medica e veterinaria del SSN. Detto ciò, non verrà invece dato corso alle attività programmate e questo si stima che porterà ad un totale di circa 1.100 interventi nei reparti di ostetricia e ginecologia che dovranno essere rinviati. Fatte salve le urgenze indifferibili, che saranno comunque garantite, lo stop riguarderà anche l’attività dei consultori familiari e di tutti gli ambulatori ostetrici del territorio, dove non verranno effettuati esami clinici, visite specialistiche ed ecografie. Lo stesso giorno faremo anche delle conferenze in tutti i capoluoghi regionali mentre a Palermo si svolgerà la manifestazione nazionale da cui rinnoveremo il nostro appello alla politica e alle istituzioni.
 
Luciano Fassari
 

11 febbraio 2013
© Riproduzione riservata

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