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Stili di vita, salute, benessere, abitudini lavorative. Il 93% degli operatori di Pronto soccorso che ha subito violenze subisce effetti. Ma 9 lavoratori su 10 non denunciano


Si fuma e mangia di più, aumentano i disturbi del sonno, l’esaurimento emotivo, si modificano le relazioni sociali, cala la performance sul lavoro e molto altro ancora. Lo rivela uno studio curato dalla D.ssa Marina Cannavò su oltre 300 operatori sanitari del DEA e del SPDC dell’Azienda Universitaria Policlinico Umberto I  che svolgono la loro attività a contatto con i pazienti. LO STUDIO

02 NOV - Si fuma e mangia di più, aumentano i disturbi del sonno, l’esaurimento emotivo, si modificano le relazioni sociali, cala la performance sul lavoro e molto altro ancora. Questi sono solo alcuni degli effetti che provocano le aggressioni sugli operatori sanitari che le subiscono secondo quanto emerge da uno studio dalla D.ssa Marina Cannavò, presentato nei giorni scorsi in un Convegno alla Camera dei deputati, su oltre 300 operatori sanitari del DEA e del SPDC dell’Azienda Universitaria Policlinico Umberto I  che svolgono la loro attività a contatto con i pazienti.
 
Nello studio si rileva come ben il 93% riferisce conseguenze dalle aggressioni. Conseguenze che per il 51% impattano sugli stili di vita come l’aumento dell’uso di tabacco o di assunzione di cibo o disturbo del sonno. Ma pure sull’emotività con sensazioni d’irritazione, rabbia, senso d’impotenza, delusione.
 
Ma gli effetti ci sono anche sul benessere e sulla salute dove il 60% riferisce una riduzione del benessere psichico e fisico (come per esempio depressione, esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ipertensione, disturbi gastrointestinali).
 
Ma le violenze hanno effetti anche sulle abitudini lavorative per il 54% degli intervistati. Subentra infatti demotivazione, riduzione delle performance, assenze dal lavoro.
 
In generale poi lo studio evidenzia come il 96% degli operatori ha assistito ad almeno un episodio di violenza e l’87% ne ha subito almeno uno.
 
Nel 33% dei casi le aggressioni arrivano dai parenti, il 17% dai pazienti e il 28% da parenti e paziente insieme.
 
Le problematiche dell’aggressore sono nel maggior parte dei casi multiple (Disturbi psicologici e abuso di droghe, eccessiva attesa, aspettative frustrate dei pazienti.
 
Nel 58% dei casi la violenza è scatenata da più fattori organizzativi, tipo aspettative deluse dei pazienti e/o parenti nei confronti dell’organizzazione, carenza di personale disponibile, difficoltà di comunicazione e/o collaborazione tra operatori e pazienti.
 
Nel 68% dei casi esse derivano poi da molteplici fattori ambientali come la non corrispondenza della qualità organizzativa e strutturale degli ambienti alle aspettative dei pazienti e/o parenti, Tempi di attesa, Mancanza di informazioni sulle modalità di fornitura delle prestazioni in emergenza, Accesso senza restrizione di visitatori e Affollamento del reparto.
 
Ma la ricerca ha indagato anche sulla percezione che hanno gli operatori sulle violenze prima che si verifichino. Il 50% degli operatori è riuscito a riconoscere i primi segnali di violenza e il 43% è riuscito a fermarla. Il 9% non è riuscito a vedere i segnali e l’8% non è riuscito a bloccarla
 
In ogni caso il 56% non segnala e l’89% non denuncia le aggressioni.
 
L.F.

02 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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