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L’applicazione del concetto di Ebm alla salute ambientale

di Tiziano Costantini

07 OTT - Gentile Direttore,
trent’anni dopo la pubblicazione delle “User’s Guide to the Medical Literature”, il convegno dell’Associazione Alessandro Liberati è stata l’occasione per ripensare al valore aggiunto della Evidence-based Medicine (EBM) come strumento di pensiero critico nella ricerca biomedica, ai modi per favorire la sostenibilità di un sistema sanitario universalistico e a cosa deve migliorare nella produzione e utilizzo delle prove.

Alessandro Liberati è stato un pioniere dell’EBM, ma negli ultimi anni il concetto dell’evidence-based è salito alla ribalta anche in campo di salute ambientale, e proprio di questo ha parlato sul palco del congresso di Bologna, il dott. Massimo Stafoggia, dirigente statistico del DEP Lazio, che ha fatto anche parte del gruppo dell’OMS che ha contribuito alla redazione delle nuove linee guida della qualità dell’aria. Il suo intervento è stato atto a riformulare proprio il concetto di EBM, mettendo in parallelo l’evidence-based medicine con l’evidence-based environmental health (EBEH), evidenziandone le prospettive differenti ma anche gli obiettivi e i processi comuni.

In una pubblicazione su BMJ, datata 1996, Sackett et al. definivano l’EBM come “uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze attuali nel prendere decisioni sulla cura dei singoli pazienti”.


Su UK Environmental Health Research Network Barratt et al. nel 2013 etichettavano l’EBEH come “politiche e pratiche di salute ambientale supportate dalle migliori evidenze disponibili, tenendo conto delle preferenze dei cittadini e del nostro giudizio professionale”.

È partendo da queste due definizioni che si possono prendere in esame differenze e analogie tra le due “EB”. Esistono infatti delle differenze concettuali tra le due, legate al tipo di effetto atteso, alla caratterizzazione dell’esposizione, al tipo di popolazioni indagate e alla plausibilità biologica del meccanismo di azione. Ancor più rilevante però è il paradigma comune, ovvero la necessità di fornire risposte semplici in ambiti complessi, il dovere di tener conto del contesto cui l’evidenza si riferisce o l’intervento si applica, la necessità di definire regole decisionali trasparenti sugli interventi proposti. Ma, più importante di tutte, è il focus dato alla sintesi e interpretazione delle evidenze scientifiche.

Per far comprendere meglio l’applicazione dell’EB all’epidemiologia ambientale, Stafoggia ha portato l’esempio di due casi studio. Il primo ci mostra come le evidenze scientifiche provenienti da studi osservazionali siano state sintetizzate per giungere alla revisione delle linee guida operata dall’OMS nel 2021. I cambiamenti operati hanno infatti permesso di passare da revisioni “narrative” basate sul giudizio di un pool di esperti ma prive di protocolli standardizzati per la conduzione delle revisioni o per lo sviluppo delle linee guida, all’inserimento di novità importanti tra cui la definizione di un processo rigoroso di raccolta e sintesi di nuove evidenze, a partire dalla formulazione del quesito, per poi comprendere la conduzione di nuove revisioni sistematiche, la valutazione della qualità delle prove e lo sviluppo delle raccomandazioni finali che tengano conto anche di importanti fattori di contesto. 
Dal 2016, l’OMS si è servita del GRADE per la classificazione degli studi e la valutazione della loro qualità, tuttavia nell’ambito della revisione delle linee guida sugli effetti dell’inquinamento atmosferico è stato fatto un grosso sforzo per tener conto delle inerenti differenze tra gli studi tipici dell’epidemiologia clinica e quelli di epidemiologia ambientale, innalzando il livello iniziale degli studi di coorte ed esplicitando le cautele interpretative nell’applicazione del Risk of Bias, nel downgrade per inconsistency, e nel publication bias, quando spiegazioni alternative erano disponibili.

Un secondo esempio portato da Stafoggia riguarda le iniziative volte a sintetizzare le evidenze per fornire raccomandazioni di sanità pubblica, in materia di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

L’IPCC (Panel inter-governativo sui cambiamenti climatici) ha da sempre svolto un ruolo di raccolta e sintesi delle evidenze, producendo rapporti periodici, e in modo analogo anche l’OMS ha redatto rapporti sul tema, a partire dal post 2003.

A livello nazionale, questo si è tradotto nell’implementazione del Piano Nazionale di Prevenzione degli effetti del caldo sulla salute, finanziato dal MinSal e coordinato dal DEP Lazio, in cui la sintesi delle evidenze sugli effetti avversi degli eventi climatici estremi è funzionale alla tutela della salute della popolazione.

La rilevanza per la salute dei temi ambientali è ormai sotto gli occhi di tutti e finalmente sono state anche investite risorse, sia per la ricerca che per la promozione di interventi di sanità pubblica. La strada tracciata per una corretta e adeguata applicazione del concetto di EBM alla sanità ambientale sembra quella giusta, ma la speranza è che si arrivi presto a un tempo in cui le evidenze sulla salute ambientale siano accessibili a tutti i professionisti del settore e a coloro interessati dalle loro decisioni, che si plasmino le politiche e le pratiche della salute ambientale a tutti i livelli, e che le organizzazioni e i singoli professionisti della salute pubblica sostengano e indirizzino le attività di ricerca verso le lacune e le giuste priorità uscendo dalla propria comfort zone, costruendo legami più forti con altri professionisti del settore, con i ricercatori e con la società in generale, a beneficio di tutti.

Tiziano Costantini

Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio

07 ottobre 2022
© Riproduzione riservata

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