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Il legislatore affronti la “questione medica” nella sua complessità

di Pasquale Giuseppe Macrì

05 MAR - Gentile direttore,
proprio su Quotidiano Sanità, lo scorso 1 marzo, Ivan Cavicchi ha annunciato la prossima pubblicazione di un suo pamphlet sulla "questione medica" ovvero sulla ineluttabilità di quel fenomeno che lascia agire indisturbati processi di obsolescenza programmata delle professioni sanitarie ed in particolare di quella medica.

Con grande lucidità, il filosofo della medicina, denuncia da tempo, all'attenzione di tutti i medici, la necessità, ora di divenuta urgenza indifferibile, di prendere atto della crisi sociale sociale della professione e di intraprendere, altrettanto indifferibili, percorsi di rinnovamento, volti a proporre e quindi a stipulare un nuovo "patto sociale" con i cittadini.

Nell'articolo anticipatorio di Cavicchi ben si descrive la “complessità” della problematica laddove, nella nuova prospettazione pattizia, occorre procedere all'arduo tentativo di armonizzazione tra i fondanti etici e giuridici della disciplina medica, i diritti costituzionali dei cittadini, la sostenibilità del sistema sanitario pubblico, la funzione della sanità privata, l'individuazione e del ruolo dei decisori, tra l'indefettibile principio dell'autodeterminazione in ambito sanitario, la sovranità popolare che si esprime nell'interesse collettivo e la politica che deve gestire le regole del sistema e assicurarne il finanziamento.

Tale complessità, come correttamente osserva Cavicchi, non viene minimamente attinta dalla questione della depenalizzazione dell'atto medico, ipotesi che trova le proprie ragioni nella legittima paura del medico e nella sua, attuale, situazione di debolezza sociale.

Fino agli anni 80 del secolo scorso, quando il contesto sociale riconosceva al medico il ruolo, oggi francamente improponibile, di dominus nella relazione di cura, la “questione giudiziaria” non si poneva né si ipotizzava. Essa origina dal caso del chirurgo fiorentino che venne condannato in sede penale e radiato dal proprio Ordine professionale, per aver offeso il diritto di autodeterminazione di una propria paziente.

Dobbiamo ricordare questo momento come momento emblematico della crisi medica. L'affermazione del diritto all'autodeterminazione del paziente e contestualmente lo sviluppo della medicina all'interno di un sistema organizzato in senso amministrativo e sottoforma di servizio pubblico, hanno costretto il medico ad azionare non solo condotte di medicina difensiva ma ad arroccarsi in rivendicazioni di posizioni sociali spesso inconciliabili non solo con il progresso civico e segnatamente con quello proprio della professione.

Lo straordinario fermento culturale che ha portato all'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978, non è arrivato ad intuire l'esigenza che, dentro le nuove strutture, non poteva essere allocato un medico con uno statuto professionale di stampo ottocentesco e di natura liberistica. Occorreva fin da allora procedere ad una rinnovazione del ruolo sociale del medico.

Giova comunque, ad una corretta e costruttiva riflessione, rilevare come la questione medica non costituisca un fenomeno italiano e neppure europeo.

Rappresenterebbe, pertanto, un limite ricercare le cause profonde della crisi esclusivamente tra le vicende mediche e sanitarie nazionali.

Pubblicità della medicina e complessità dello sviluppo tecnico e scientifico costituiscono momenti importanti della riflessione. Gli Stati occidentali richiedono alla sanità servizi efficaci, all'interno dei quali il medico dovrà iscrivere il proprio ruolo nell'ambito di tutela non solo della salute ma di tutti i diritti fondamentali ad essa connessi. Diritti che le carte costituzionali e i codici deontologici ed etici garantiscono a tutti noi. Ecco quindi che assume forza e rilievo l'intuizione di Ivan Cavicchi di spostare l'attenzione sociale della questione medica dall'ambito giudiziario a quello deontologico-professionale.

Sarebbe veramente riduttivo pensare che un medico, privato del rilevante gravame giudiziario, troverebbe oggi nuova accoglienza in ambito sociale e migliore accettazione.

A tal proposito, e sviluppando ulteriormente la teoria Deontologica, ritengo sommessamente, che sia doveroso ripensare non solo un nuovo codice deontologico antologico ma una nuova ristrutturazione della Scienza Deontologica che sappia elaborare e adattare i principi fondanti della Medicina alle sempre diverse prospettazioni specifiche che lo sviluppo scientifico propone all’attenzione dei professionisti e dei cittadini. A tal proposito la Medicina Legale deve irrobustire la propria ricerca scientifica in tale ambito, producendo sempre nuovi spunti dottrinari da fornire alla collettività medica e sociale.

Aspettiamo tutti con impazienza di conoscere le conclusioni della commissione Nordio-Ippolito e soprattutto attendiamo di verificare la risposta delle legislatore ai suggerimenti della commissione

Quello che invero ci auguriamo è che prima e dopo il termine dei lavori della commissione e degli interventi del legislatore, si decida di affrontare la “questione medica” nella sua complessità e con spirito realmente rigeneratore.

Pasquale Giuseppe Macrì
Direttore Centro Rischio Clinico Regione Toscana

05 marzo 2024
© Riproduzione riservata

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