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È l’obesità la peste del XXI secolo


Per gli esperti riuniti al Congresso Nazionale di Endocrinologia l’obesità è un fenomeno “epidemico” paragonabile per velocità di diffusione a una malattia infettiva incontrollata.

20 MAG - I numeri, innanzitutto. “Già nel 2006 (dati Istat), in Italia, la popolazione adulta obesa era pari al 10,2%, cui si aggiungeva il 35% di quella sovrappeso. Il grido di allarme era ed è soprattutto per l’obesità in età pediatrica, tenendo presente che le evidenze scientifiche riconoscono alla patologia “giovanile” una forte capacità predittiva dello sviluppo in età adulta. Solo negli anni 1999-2000 la quota di ragazzi tra i 6 e i 17 anni in eccesso ponderale era pari al 24,1%, pari a circa 1 milione e 700 mila individui”.
Bastano questi dati, illustrati da Roberto Vettor, ordinario di medicina interna all’Università degli studi di Padova e presidente della Società italiana dell’obesità nel corso del Congresso Nazionale di Endocrinologia, a dare della misura del fenomeno obesità. Si tratta di “uno dei maggiori problemi di salute del secolo sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. L’Italia si pone tra i primi Paesi in Europa per numero di soggetti coinvolti”, ha aggiunto Vettor che ha messo in guardia da un rischio di banalizzazione della malattia.
“Non possiamo considerare l’obesità un banale problema estetico favorendo così il proliferare di terapie e trattamenti clinici spesso inadeguati e il più delle volte somministrati da figure professionali prive delle giuste competenze. La patologia costituisce un serio fattore di rischio per mortalità e morbilità e a essa si associano di frequente altre patologie, come diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemia e osteoartrosi. Per quanto riguarda le neoplasie - ha aggiunto - recenti studi hanno dimostrato un aumento del rischio nel paziente obeso soprattutto per endometrio, mammella, prostata e colon. Questo scenario pandemico deve indirizzare gli sforzi verso una prevenzione efficace, senza la quale ogni mezzo terapeutico risulterebbe vano anche se impiegato su vasta scala”.
Dal congresso è giunta una conferma dell’efficacia della chirurgia bariatrica. “È stato dimostrato che il calo ponderale conseguente a trattamenti di chirurgia bariatrica contribuisce a ridurre il numero di infarti del miocardio, a ottenere una remissione del diabete di tipo 2 e a diminuire il numero di malattie neoplastiche nel sesso femminile”. La chirurgia bariatrica è tuttavia da considerarsi una terapia dell’obesità di secondo livello, da valutare solo dopo il fallimento del trattamento medico e solo nei casi di obesità grave.
“Inoltre - ha concluso Vettor - il supporto psicologico e nutrizionale sono fondamentali nella gestione del paziente sottoposto a intervento di chirurgia bariatrica, anche perché spesso è necessaria una cura integrativa a base di vitamine e oligoelementi per scongiurare eventuali deficit alimentari”. 

20 maggio 2011
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