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Distrofia muscolare. Cellule staminali geneticamente modificate per rigenerare i tessuti


È una ricerca italiana del San Raffaele ad aprire la strada per la cura di distrofie muscolari (compresa quella di Duchenne): modificando staminali pluripotenti si possono ripristinare le funzionalità dei muscoli nei topi malati. Lo studio pubblicato su Science Translational Medicine.

29 GIU - Un aiuto per i malati di distrofia muscolare potrebbe arrivare da una ricerca sulle staminali pluripotenti.  Una ricerca pubblicata oggi su Science Translational Medicine, condotta da un team dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha infatti dimostrato come un particolare tipo di queste cellule – se modificate geneticamente – sia in grado di rigenerare i tessuti e ripristinare le funzionalità dei muscoli nei pazienti affetti da distrofia.
 
Dopo che si è decantata a lungo l’utilità delle staminali in ricerca medica, da qualche anno si è cominciato a lavorare anche con loro versioni geneticamente modificate, proprio per aiutare nel trattamento delle patologie che arrivano da alterazioni del Dna. Le iPSC (dall'inglese Induced Pluripotent Stem Cells), staminali pluripotenti analoghe a quelle embrionali ma create in laboratorio da normali cellule somatiche, sono al centro anche di questo studio italiano: i ricercatori le hanno ricreate a partire da fibroblasti (cellule dell’epidermide) e mioblasti (cellule muscolari) di pazienti con distrofia dei cingoli da deficit di a-sarcoglicano (LGM2D), e poi indotte a differenziarsi in mesoangioblasti. Queste ultime sono particolari staminali, normalmente associate ai vasi sanguigni, in grado di rigenerare il tessuto muscolare danneggiato e di ripristinare la sua funzionalità e risultano in misura ridotta nei pazienti affetti da questa patologia. Le cellule sono state dunque modificate geneticamente con un vettore virale che esprime il gene umano per l’a-sarcoglicano, gene che se mutato causa la distrofia dei cingoli di tipo LGM2D, e successivamente trapiantate in topi modello per la patologia. 
Nell’organismo dei topi i mesoangioblasti sono stati in grado di colonizzare il tessuto muscolare dando luogo alla formazione di fibre che esprimevano l’a-sarcoglicano umano. Inoltre, test di valutazione della funzionalità muscolare hanno evidenziato un miglioramento nei topi trapiantati con simili cellule derivate dalle iPSC murine rispetto a quelli non trattati. I risultati ottenuti sono molto incoraggianti e indicano l'efficacia di questa nuova strategia cellulare in un modello animale. Infine, i ricercatori hanno mostrato come la stessa strategia possa essere applicata anche alla distrofia muscolare di Duchenne, utilizzando in questo caso un cromosoma artificiale umano per la correzione genetica delle cellule.
  
La distrofia muscolare di Duchenne, rara patologia che porta alla degenerazione muscolare in un bambino maschio su 3.500, è dovuta a una mutazione nel gene della distrofina, proteina con ruolo strutturale e regolatorio nella cellula muscolare. Nell’età adulta, la degenerazione muscolare determina una grave compromissione del muscolo cardiaco, del diaframma e dei muscoli intercostali fino a rendere necessaria l'assistenza respiratoria. Attualmente non esiste una cura specifica ma, un trattamento clinico multidisciplinare e la presa in carico garantita attraverso la preparazione delle famiglie, hanno consentito di migliorare le condizioni generali e raddoppiare le aspettative di vita. In Italia sono oltre 5.000 i pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne/Becker.
“Questo risultato rappresenta un passo importante per la terapia cellulare basata su trapianto di tipo autologo, ovvero con cellule del paziente stesso senza bisogno di un donatore, e pone le basi per un nuovo approccio che potrebbe essere applicato anche nella distrofia di Duchenne/Becker”, ha dichiarato Filippo Buccella, presidente di Parent Project Onlus, associazione di genitori impegnata nel finanziamento della ricerca scientifica e nell’elaborazione di programmi socio-sanitari mirati a sostenere le persone affette dalla distrofia di Duchenne e Becker e le loro famiglie. “Bisogna ricordare, però, che si tratta di risultati ancora preliminari e ci vorrà del tempo prima che si possa parlare di una futura applicazione sull’uomo.”

29 giugno 2012
© Riproduzione riservata

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