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Verso le reti cliniche: una nuova governance regionale e un nuovo statuto per le Aziende Sanitarie

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

Un sistema a rete in cui gli attori, tutti gli attori preposti, fanno la loro parte senza dimenticare il cittadino e le specificità del contesto locale e territoriale.
Un sistema che fondato su competenze decisionali definite non lascia spazio a scelte autarchiche poichè il sistema decisionale pur snello richiede un’interlocuzione puntuale, programmata e deliberativa dei diversi livelli del sistema stesso

10 DIC - In un nostro precedente articolo abbiamo sostenuto come l’attuale modello di governance del sistema sanitario, incentrato sulle aziende sanitarie di ispirazione “manageriale” di quasi mercato, non abbia prodotto i risultati sperati. Ora intendiamo evidenziare come non sia immaginabile un processo concreto di continuità degli interventi fra Ospedale e Servizi Territoriali in una logica condivisa e partecipata, senza mettere mano all’attuale e superata governance delle Aziende Sanitarie Locali, per come si è andata configurando in questi decenni di operatività. Ripensamento che ovviamente deve avvenire di pari passo con una nuova governance del SSN che riveda e ridisegni le funzioni e i rapporti fra Stato Regioni ed Enti locali (Province e Comuni).
 
Qui vogliamo discutere l’urgenza, in attesa di nuovi assetti del SSN, di un nuovo managerialismo territoriale che si basa non tanto su poteri e procedure accentrate e gerarchiche, ma su un modello gestionale orizzontale a rete, integrato, responsabile e condiviso.
 
La governamentalità che si è concretizzata in molte Aziende Sanitarie Locali, in nome di un aziendalismo ormai superato dalla storia, tipicamente top-down e in non pochi casi anche di tipo autoritaria si è dimostrata uno dei principali ostacoli alla costituzione di reti assistenziali integrate. Reti il cui buon funzionamento richiedono orizzontalità, policentrismo, partecipazione. Una presenza di pochi nodi (gli Hub specialistici a complessità crescente dislocati in ambiti regionale di diversa giurisdizione) e molti punti molecolari di connessione (i medici di medicina e gli specialisti ambulatoriali operanti all’interno del territorio della singola azienda).
 
La scelta frequente di un managerialismo di maniera ha assegnato di fatto un forte potere al Direttore generale; potere ben superiore a quello di un Presidente di regione o di un Sindaco i quali sono chiamati a rispondere alla Giunta e al Consiglio. Tale deriva ha mandando in secondo piano il “governo dei processi assistenziali e delle reti professionali”.
 
Oggi è maturo il tempo di un profondo cambiamento finalizzato a dare avvio a una filiera decisionale e operativa che rimetta al centro concetti e pratiche troppo frequentemente oggetto di mera retorica quale: l’integrazione, i collegamenti funzionali, i percorsi di cura.
 
Un sistema complesso come un Azienda Sanitaria Locale richiede forme di governo condivise nelle scelte e nelle responsabilità ai diversi livelli. Gestioni più o meno monocratiche sono alla base di molti fallimenti operativi e interlocuzioni strumentali con gli altri livelli di governo del SSN: le Regioni, gli enti locali e le altre Aziende confinanti che spesso insistono sui medesimi territori. In un puzzle istituzionale in cui le varie tessere non coincidono tra loro.
 
Le stesse gestioni monocratiche producono poi uno scollamento operativo anche all’interno della medesima Azienda con inevitabili conseguenze negative: scarsa collaborazione inter organizzativa e clima aziendale non collaborativo che si riverbera non solo sul personale ma anche sull’interazione personale-cittadini e quindi in ultima istanza sulla qualità e l’efficacia degli interventi.
 
Dall’economia di scala alla reticolarità policentrica delle relazioni
Le ASL hanno rappresentato nel nostro ordinamento il tentativo di ridurre la complessità assistenziale alla gestione autarchica di un territorio con la formalizzazione di una medicina amministrata e altamente burocratizzata; un modello operativo che nel tempo ha mostrato la sua inefficienza sia in termini di controllo della spesa che di risultati di salute ottenuti.
 
Altrettanto inadeguata la soluzione adottata dal decisore politico che ha puntato esclusivamente ad economie di scala riducendo il numero delle ASL e ampliandone il territorio di competenza. Politiche che non hanno migliorato la qualità dell’assistenza e che hanno invece ulteriormente rafforzato l’autoreferenzialità di queste organizzazioni complesse.
 
Crediamo che un sistema sanitario moderno, capace di cogliere i cambiamenti e le richieste dei cittadini e del suo territorio, di confrontarsi dinamicamente con la complessità, debba fondarsi sull’implementazione di una governance reticolare anche a geometria variabile ma che sia capace di ridisegnare il proprio modello organizzativo e di funzionamento creando un sistema integrato di hub a diversa intensità assistenziale (le strutture di primo e secondo livello) fortemente interconnesso con servizi e strutture decentrate ma non periferizzati. Un modello organizzativo che punta: alla rigenerazione del capitale culturale; alla valorizzazione della risorsa umana come volano per la creazione di valore aggiunto; all’implementazione tecnologica e alla diffusione connettività informatica in ogni punto della rete.
 
Obiettivo di questa complessa reingegnerizzazione, lo sviluppo di un sistema reticolare, integrato e policentrico basato su relazioni cliniche culturalmente declinate in relazione ai singoli contesti, e orientate all’implementazione concreta, di una ed efficace cultura della salute.
 
Le reti cliniche nel documento di modifica del DM 70 sugli standard ospedalieri
Nonostante imprecisioni e non poche dimenticanze, la bozza di modifica del DM 70, resa nota da QS e poi disconosciuta dal Ministro della salute per le critiche sollevate rappresenta un significativo punto di svolta per una rivisitazione del nostro sistema sanitario.
 
Nel documento, infatti, si disegna un sistema d’intervento che ha il suo punto di forza nella istituzionalizzazione di nove reti cliniche che, pur con alcune significative omissioni (la più evidente quella dei servizi di allergologia e immunologia clinica), coprono la stragrande maggioranza delle patologie che presentano una maggiore prevalenza e/o e richiedono un forte impegno assistenziale.
 
Nel citato documento “Le reti cliniche rappresentano una modalità organizzativa per la gestione coordinata dell’intera filiera assistenziale di specifiche patologie o servizi nell’ambito di bacini di popolazione e di diffusione delle specialità. La rete clinica è basata su un sistema di strette relazioni tra centri (nodi) organizzati secondo il modello Hub and spoke“. Inoltre si precisa che nella definizione delle reti deve essere prevista l’integrazione delle attività per acuti e post acuti con l’attività territoriale…
 
Le reti dunque puntano nel concreto a realizzare quella connessione tra i diversi momenti della cura (promozione della salute, cura, riabilitazione e prevenzione delle cronicità) e i diversi soggetti responsabili del trattamento che meglio potrebbero operare in un sistema a governance condivisa e responsabile ai diversi livelli.
 
Le reti definite nel documento coprono, quasi completamente le patologie meritorie di essere trattate in modo integrato e distribuito, così emerge dall’elenco contenuto nella prima formulazione del DM di modifica:
1) reti tempo dipendenti (emergenza-urgenza, cardiologica, ictus, traumatologica, punti nascita)
2) reti mediche specialistiche (malattie infettive e risposta ad emergenza epidemica);
3) reti oncologiche (oncoematologia e tumori rari)
4) reti pediatrica;
5) reti delle patologie neurodegenerative
5) rete trapiantologica;
6) rete dei servizi di diagnosi e cura;
7) rete terapia del dolore
8) rete malattie rare
9) rete riabilitazione e degenza
 
Il ruolo della regione nell’implementazione delle reti
E’ del tutto evidente come l’implementazione di tali reti richieda un’accorta e decisa regia di livello regionale con il coinvolgimento delle ASL per quanto di loro competenza e in quanto presidio competente.
 
Nelle reti cliniche non potranno essere i singoli territorio, le singole Aziende, in totale autonomia a decidere quali siano i servizi da potenziare ma le scelte dovranno essere fatte, pur in modo condiviso dal livello regionale, per una razionale e adeguata distribuzione che però risponda alle caratteristiche e specificità di un dato territorio.
 
E’ dunque a livello regionale, che si deve istituire una nuova struttura decisionale per l’implementazione delle reti affiancata da un “comitato di indirizzo”; un organismo partecipato e rappresentativo delle diverse realtà territoriali a cui affidare obbiettivi di processo (l’implementazione della rete) e di risultato (la valutazione dei risultati in termini di outcome sanitari).
 
A capo della rete dovrà essere nominato un coordinatore (selezionato in base a specifici requisiti) mentre a far parte del comitato di indirizzo dovranno essere chiamati: rappresentanti degli enti locali, tecnici di nomina delle diverse aziende sanitarie e ospedaliere, associazioni professionali e/o società scientifiche, rappresentanze sindacali e associazioni di tutela dei pazienti e dei cittadini con pari potere decisionale e con procedure e modalità definite in uno specifico regolamento.
 
L’obiettivo di tale sistema, in accordo con quanto delineato in sede di Agenas, è quello della pianificazione e la successiva implementazione nell’intero territorio regionale di tutti gli elementi materiali e immateriali che costituiscono la rete: le strutture a diversa intensità assistenziale da istituire; la loro corretta allocazione nei diversi ambiti territoriali, la definizione delle dotazioni strumentali e organiche necessarie per il corretto funzionamento dei nodi della rete e infine la definizione dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) indispensabili per realizzare una concreta presa in carico basata sull’integrazione tra professionisti e diversi momenti assistenziali.
 
Tra le reti devono inoltre essere ricomprese quelle previste dal PNRR in relazione alla pianificazione delle nuove case della comunità, degli ospedali di comunità e delle centrali distrettuali per la presa in carico di pazienti necessitanti di cure domiciliari o il supporto della telemedicina.
 
Il superamento del modello privatistico e un nuovo statuto di azienda sanitaria
Il modello di azienda sanitaria ad impronta privatistica delineato nel D. Lgs 502/92 e successive modificazioni e integrazioni deve essere profondamente rivisto; sia per quanto riguarda l’attribuzione all’azienda sanitaria medesima di autonomia imprenditoriale con l’adozione di un atto aziendale di diritto privato, che ne disciplina l’organizzazione ed il funzionamento; sia per quanto riguarda la concessione al direttore generale di titolarità esclusiva in tema di poteri di gestione e di rappresentanza dell'unità sanitaria locale.
 
L’azienda sanitaria deve tornare ad essere un ente strumentale della regione in cui il direttore generale si deve avvalere nel suo preposto operato di organismi collegiali come potrebbe esserlo un “comitato di indirizzo dell’Azienda sanitaria” costituito dagli enti locali, rappresentanti dei lavoratori e delle associazioni di tutela dei pazienti e dei cittadini (gli azionisti “sociali) che annualmente esprimono una valutazione sul funzionamento della Azienda e dell’operato del suo management con la possibilità di ricorre in sede regionale in caso di conflitto.
 
Ovviamente la responsabilità dell’attuazione delle direttive definite in sede regionale e della corretta gestione dell’azienda resta in capo al Direttore generale, che ne risponde al comitato di indirizzo.
 
La costituzione delle reti cliniche in ogni ambito territoriale dovrebbe essere obbiettivo primario per tutto il periodo di vigenza del PNRR. L’implementazione delle reti cliniche nei diversi territori potrebbe essere realizzata mediante un documento di programmazione (ex atto aziendale) approvato dal comitato di indirizzo. Resta di competenza della regione l’individuazione della collocazione delle strutture di terzo livello che costituiranno il punto di riferimento per diversi ambiti territoriali o per l’intera rete regionale.
 
Conclusioni
La costruzione di reti cliniche e la strutturazione di un sistema sanitario capace di recepire e implementare le novità del PNRR necessità di un sistema decentrato ma allo stesso tempo saldamente orientato e monitorato dal livello centrale.
 
Una sistema che si interconnette fortemente fra ambiti territoriali locali, livelli regionali e livello statale non solo sul piano teorico ma concretamente con vincoli sistematici di verifica e di valutazione.
 
Un sistema a rete in cui gli attori, tutti gli attori preposti, fanno la loro parte senza dimenticare il cittadino e le specificità del contesto locale e territoriale.
Un sistema che fondato su competenze decisionali definite non lascia spazio a scelte autarchiche poichè il sistema decisionale pur snello richiede un’interlocuzione puntuale, programmata e deliberativa dei diversi livelli del sistema stesso.
 
Particolare rilevanza avrà la comunicazione, le sue modalità e i suoi strumenti ma fondamentali saranno gli strumenti e gli indicatori di valutazione compreso il confronto con gli stakeholder.
 
Fra le molte cose che il COVID 19 ci ha insegnato vi è quello del principio che nessuno si salva da solo.
Ciò non vale solo per i cittadini ma in particolare modo per coloro che sono chiamati a livello istituzionale ad assumere decisioni pubbliche e collettive di vitale importanza come la salute.
 
 
Roberto Polillo, Mara Tognetti

10 dicembre 2021
© Riproduzione riservata


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