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Dossier Istat: in Italia spesa sanitaria più bassa, ma più alto numero medici


È quanto risulta dall’indagine ‘Noi Italia’, il dossier Istat che attraverso 100 statistiche disegna un quadro della situazione del Paese. In Italia la spesa sanitaria pubblica ammonta a oltre 110 miliardi di euro (7,3 per cento del Pil) ed è molto inferiore rispetto a quella di altri Paesi europei come Francia e Germania. Il numero dei medici è invece tra i più alti: quasi 410 ogni centomila abitanti.

19 GEN - In Italia la spesa sanitaria pubblica è più bassa rispetto a quella di altri importanti Paesi europei, la mortalità e' causata soprattutto dai tumori, mentre l'incidenza delle malattie cardiocircolatorie è tra le più basse d'Europa. Sono questi i risultati del dossier ‘Noi Italia’ realizzato dall’Istat.
Nello specifico la spesa pubblica in Italia ammonta a oltre 110 miliardi di euro (7,3 per cento del Pil) e supera i 1.800 euro annui per abitante. Se si considera il confronto europeo, a fronte dei circa 2.200 dollari per abitante in parità di potere d’acquisto spesi in Italia nel 2008, poco più della spesa sostenuta dalla Spagna, il Regno Unito destina quasi 2.600 dollari, mentre la Francia e la Germania sfiorano i 2.900 dollari pro capite. Il livello di spesa più basso si registra, invece, per la Polonia (876 dollari pro capite).
Tornando all'Italia, al di sopra del valore medio nazionale si colloca la ripartizione del Centro (1.881 euro pro capite), mentre per il Mezzogiorno la spesa è pari a 1.753 euro. La provincia autonoma di Bolzano registra la spesa pro capite più elevata (2.362 euro), seguita dal Molise (2.051 euro) e dalla Valle d’Aosta (2.047 euro). Il dato è più contenuto nelle Marche (1.691 euro), in Veneto (1.705 euro) e in Sicilia (1.712 euro). Su base nazionale, il 36,8% dei 1.800 euro annui per abitante di spesa sanitaria pubblica è destinato a servizi in regime di convenzione, mentre oltre la metà (56,8%) riguarda la fornitura di servizi erogati direttamente. Si ha una quota più elevata di spesa per servizi in regime di convenzione per il Lazio (43,8%), la Lombardia (42,7 %), la Campania e la Puglia (entrambe 41,0 %).

Le famiglie hanno contribuito di tasca propria
alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 21,3%. La spesa sanitaria delle famiglie ha rappresentato l'1,9% del Pil nazionale ammontando a 1.178 euro per nucleo familiare. Il dato è stato leggermente più alto nel Mezzogiorno (2,0 %) rispetto al Centro-Nord (1,8 %). Le regioni in cui la quota è risultata più elevata (superiore ai due punti percentuali di Pil) sono Calabria, Molise, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Puglia e Piemonte.
Per quel che invece riguarda il numero di personale medico, il nostro è risultato tra i Paesi con il maggior numero di camici bianchi in strutture sanitarie pubbliche e private sul totale della popolazione residente. Sono circa 247 mila, quasi 410 ogni centomila abitanti. 
L’offerta di personale medico è stata pari a 390,5 nel Nord-est, 417,2 nel Nord-ovest, 444,2 nel Centro e 395,4 nel Mezzogiorno. Nel Nord, soltanto la Liguria, con 806 medici ogni centomila abitanti, e l’Emilia-Romagna, con 509, hanno presentato un’offerta superiore a quella media nazionale. Nel Centro, il Lazio, con 513,6 medici ogni centomila abitanti, è stata la regione con il valore più alto. Infine, nel Mezzogiorno, con esclusione della Sicilia (495,2) e dell’Abruzzo (424,0), tutte le regioni hanno prodotto valori inferiori alla media nazionale.

Tra il 2002 e il 2007, in tutte le regioni si è verificata una convergenza dell'offerta di posti letto ospedalieri per abitante verso la media nazionale, scesa da 4,3 a 3,7 posti letto ogni mille abitanti. Valori che hanno evidenziato come l'Italia sia stata tra i Paesi con l'offerta di posti letto più bassa. Solo il Molise ha superato i 5 posti letto ogni mille abitanti. Nello stesso periodo, anche il numero di strutture ospedaliere si è ridotto da 1.286 a 1.197.

La mobilità ospedaliera fra regioni è un fenomeno che resta rilevante: nel 2008, le regioni sono state interessate da circa 650 mila ricoveri ospedalieri di pazienti non residenti (immigrazione ospedaliera) e da oltre 570 mila ricoveri effettuati dai pazienti in una regione diversa da quella di residenza (emigrazione ospedaliera). Uno dei motivi alla base della mobilità ospedaliera è la vicinanza geografica, che ha interessato soprattutto le regioni più piccole; Basilicata, Valle d’Aosta, Molise e la provincia autonoma di Trento. Il valore contenuto della provincia autonoma di Bolzano (4,5 per cento) si può spiegare con l'emigrazione verso i Paesi esteri confinanti. Oltre a queste realtà territoriali, le regioni con un flusso di emigrazione piuttosto consistente rispetto ai ricoveri effettuati dai propri residenti sono state la Calabria (16,1) e l’Abruzzo (14,2).
I tumori e le malattie del sistema circolatorio, più frequenti nelle età avanzate, rappresentano le principali cause di ricovero sia in Italia, sia nel resto dell'Europa. Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia si colloca al dodicesimo posto per quanto riguarda i ricoveri ordinari per malattie del sistema circolatorio e al diciassettesimo per quelli per i tumori. Nel 2008, l’ospedalizzazione per tumori ha presentato una variabilità regionale piuttosto bassa. I tassi di dimissione ospedaliera sono stati mediamente più elevati al Centro e, in particolare, nel Lazio con 1.459 dimissioni ogni centomila residenti. A seguire il Nord-est, con un tasso pari a 1.482 in Emilia-Romagna e 1.453 in Friuli-Venezia Giulia. Allo stesso modo, anche l’ospedalizzazione in regime ordinario per malattie del sistema circolatorio non ha presentato un’elevata variabilità regionale, tuttavia i tassi sono risultati mediamente più elevati nel Mezzogiorno.
Il Molise ha fatto registrare il tasso più elevato d’Italia con 2.946 dimissioni ogni centomila residenti, seguito dall’Abruzzo (2.651), dalle Marche (2.637) e dalla Calabria (2.613). Per quanto riguarda i decessi legati alle malattie del sistema circolatorio, queste permangono la principale causa di morte in quasi tutti i paesi dell'Ue. L’Italia, con 17,9 decessi ogni diecimila abitanti si è collocata al quart’ultimo posto nell’Ue dove, nel 2008, la media è stata di 22,7.
Dall’analisi della geografia della mortalità è emerso uno svantaggio delle province del Mezzogiorno, soprattutto della Campania, che insieme a quelle di Sicilia e Calabria sono risultate particolarmente penalizzate: Caserta, Napoli, Enna, Siracusa, Caltanissetta e Catania si sono attestate su valori tra il 27% e il 33% superiori rispetto alla media italiana, pari a 32,6 decessi per diecimila abitanti. I livelli più bassi si sono avuti nelle province di Ravenna, Ogliastra, Cagliari e Firenze, dove i tassi di mortalità si collocano al di sotto dei 27,5 decessi per diecimila abitanti.
Il livello italiano della mortalità per tumori è risultato al di sotto del valore medio europeo disponibile per il 2008 (16,4 contro 17,3 decessi per diecimila abitanti). ll Mezzogiorno ha fatto registrare tassi standardizzati più contenuti rispetto al Centro-Nord (rispettivamente 24,7 e 27,4 decessi per diecimila abitanti), configurando un differenziale territoriale opposto a quello della mortalità per malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni, tuttavia, si è potuto osservare un avvicinamento dei valori per le aree considerate. Nel contesto del Mezzogiorno, un’eccezione è stata rappresentata dalle province di Napoli (29,3), Nuoro (28,4), Carbonia-Iglesias e Sassari (27,8), Caserta (27,7), dove il tasso standardizzato di mortalità per tumori nel 2007 è stat superiore a quello medio italiano (26,6 per diecimila abitanti). La provincia con il tasso di mortalità più basso è risultata Vibo Valentia (20,1); all’opposto, il valore più elevato si è avuto a Bergamo (31,5). Si segnala, inoltre, che quasi tutte le province dove si trovano i maggiori nuclei urbani del Centro-Nord sono state caratterizzate da tassi di mortalità superiori alla media nazionale: tra queste, Milano (28,7), Roma (27,7), Genova (27,4) e Torino (27,0).
Ancora largamente diffusi i cattivi stili di vita: fumo, alcol e obesità. In Italia, nel 2009, con riferimento agli over 14, i fumatori hanno rappresentato il 23,0% e i consumatori di alcol a rischio il 16,1% della popolazione; le persone obese – in aumento negli ultimi dieci anni – hanno rappresentato il 10,3% della popolazione adulta. La percentuale di fumatori sul complesso della popolazione di 15 anni e oltre è rimasta abbastanza contenuta (23,0). Il consumo di alcol a rischio e l’obesità hanno fatto emergere situazioni contrapposte a livello territoriale. Confrontando le regioni del Centro-Nord con quelle del Mezzogiorno, nel 2009 nelle prime è stata più alta la quota di consumatori di alcol (17,7 contro 13,1) e più bassa quella di persone obese (9,7 contro 11,3). Le percentuali più elevate di adulti obesi si sono registrate in Molise (14,4), Abruzzo (12,8), Calabria ed Emilia-Romagna (12,0 per entrambe), mentre l’eccessivo consumo di alcol ha interessato la Valle d’Aosta (25,7), il Molise (23,3) e Bolzano (22,0).
Per i fumatori, infine, la quota più alta è stata rilevata nel Centro (24,3) mentre è in calo nel Mezzogiorno (22,3).
 


19 gennaio 2011
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