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La vita oltre il virus

di Grazia Labate

Affrontare il difficile compito di domare l’epidemia e resistere in questa lunga quarantena, sarà complicato, difficile, stressante. Stringere un patto di solidarietà tra cittadini e comunità scientifica tra cittadini e il nostro sistema di protezione della salute è fondamentale sennò non ne usciremo

30 MAR - L'opportunità di cambiare, si presenta adesso, nel momento in cui i cittadini sono più inclini - forse anche solo per la paura del momento - a cercare informazioni serie, rilasciate dalla comunità scientifica e non dai soliti social o dal gossip dei blog fra quattro amici.
Ora più che mai, occorre una maggiore vicinanza tra la scienza, la ricerca, l’epidemiologia, la medicina dei territori e l’intera comunità.
 
Affrontare il difficile compito di domare l’epidemia e resistere in questa lunga quarantena, sarà complicato, difficile, stressante.
Stringere un patto di solidarietà tra cittadini e comunità scientifica tra cittadini e il nostro sistema di protezione della salute è fondamentale sennò non ne usciremo.
 
Oggi più che mai dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo tutti di fronte a sfide comuni, di fronte alle quali non si vince da soli, da soli si perde o si soccombe.
 
Le persone vivono più a lungo e hanno meno figli. Le persone migrano all’interno del proprio Paese e tra Paesi, le città diventano sempre più grandi, i sistemi sanitari devono far fronte a costi crescenti, l’assistenza primaria è debole e carente di servizi di prevenzione.
Le malattie infettive, rimangono una sfida da tenere sotto controllo sempre, perché i virus sono mutanti. Gli organismi antibiotico resistenti stanno riemergendo. Le malattie croniche dominano il carico di malattia. I nuovi scenari a cui devono far fronte i sistemi sanitari sono il preludio della “tempesta perfetta”.
 
La «tempesta perfetta» è un’espressione che descrive un evento in cui una rara combinazione di circostanze peggiorerà drasticamente una situazione. L’espressione è anche utilizzata per descrivere un fenomeno reale che accade in presenza di una combinazione di circostanze producendo un evento di straordinaria entità.
 
Transizione demografica ed epidemiologica sono i tratti caratterizzanti della sfida descritta nella “Tempesta perfetta” che è anche il libro che Walter Ricciardi, Vincenzo Atella, Claudio Cricelli e Federico Serra hanno scritto nel 2015, per dare l’allarme sui sistemi sanitari e sulla necessità di cambiare rotta all’alba del terzo millennio.
 
Un’oggettiva e sistematica analisi, della storia e delle prospettive del nostro sistema salute: i trend demografici e sanitari, le colpe di chi ha ‘guidato’ o è stato ‘a bordo’ della nave, gli allarmi lanciati e rimasti inascoltati per anni, le principali carenze strutturali e qualitative.
 
A rileggerlo oggi, capiamo che ci avevano detto chiaramente che non c'era tempo da perdere, che scarseggiavano alcuni servizi, che aumentavano le disuguaglianze, che si cominciava a gridare "Uomo in mare!" per scarsezza di personale e risorse economiche, perché farmaci e tecnologie sanitarie erano sempre più costose, che certo viviamo più a lungo, ma certo non sempre in buona salute.
 
Le campagne estenuanti per la vaccinazione ogni anno contro l’influenza la dicono tutta per gli anziani a rischio, per il personale a contatto con il pubblico; il ritardo nelle ASL dell’arrivo dei vaccini e da queste verso i medici di medicina generale. La copertura vaccinale tra gli over 65 (per i quali la vaccinazione è offerta gratuitamente e somministrata prevalentemente dal medico di famiglia) nella scorsa stagione 2018-2019 ha raggiunto il 53%, più o meno lo stesso dato dell’anno precedente.
 
Come mai si è passati dal 68,3% del 2005-2006 ad una graduale riduzione che ci allontana sempre di più dagli obiettivi del piano di copertura vaccinale? Probabilmente dipende dal grado di fiducia nel vaccino come strumento di prevenzione, a fronte di tutte le notizie mistificanti e delle campagne No Vax di questi anni.
 
La verità è che siamo ancora lontani dagli obiettivi di copertura. Gli obiettivi di copertura, per tutti i gruppi target, secondo l’OMS sono il 75% come obiettivo minimo perseguibile ed il 95% come obiettivo ottimale, ricorda Italo Francesco Angelillo, presidente della Società Italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (SItI).
 
Anche per l'influenza, come per la maggior parte delle malattie prevenibili con vaccino, ottenere elevate coperture vaccinali permette di contenere la circolazione dei microrganismi responsabili e, di conseguenza, garantisce una protezione anche ai non vaccinati. È necessaria perciò una maggiore comprensione delle strategie per aumentare e sostenere i livelli di immunizzazione.
 
Ora poi che è arrivato lui, COVID 19 questo piccolo invisibile e terribile sconosciuto, che Ilaria Capua definisce “opportunista e scippatore” ha provocato pandemia e morti da bollettino di guerra, siamo tutti attoniti impauriti e non vediamo domani.
 
Fortunatamente la buona salute di un Paese è lenta sia a costruirsi, così come a deteriorarsi. Ci sono quindi ancora ampi margini per riportare il nostro Servizio Sanitario Nazionale in acque tranquille, e permettere a tutti noi di avere fiducia nel nostro sistema di protezione della salute. Pur con le resistenze iniziali, si percepisce un netto cambiamento nel modo in cui i cittadini mi appaiono più attenti nell’ascoltare l'opinione di esperti e a rispettarne la competenza.
 
La gente comincia ad avere più fame di informazioni scientifiche, vuole saperne di più, vuole conoscere lo stato delle cose, sembra quasi disposta a imparare i rudimenti del linguaggio della epidemiologia per andare capire i dati stessi. Infatti, medici, scienziati, esperti di vaccini, matematici e fisici, statistici, chiamati a creare modelli, sono diventati in questi giorni popolari perché quei dati diffusi alle 18 di ogni giorno, anche se fin’ora
terribili, sono diventati molto più attesi dello spread della famosa grande crisi del 2008.
 
Nonostante tutto, anche se continuano a girare false notizie e pareri negazionisti sui social, è anche vero che in questo momento c’è obiettivamente meno spazio per gli scettici.
Piuttosto, si registra l’aumento di segnalazioni non confermate di medicinali efficaci, (come l’antivirale Avigan che salverebbe i giapponesi), o che più vitamina D e C rafforzerebbero il sistema immunitaria, ma è già cosa diversa dal sostenere la pericolosità dei vaccini o che la terra sia piatta.
 
Meno gossip, più informazione. La disinformazione non arriva soltanto dai social: come riportato dal Centro di monitoraggio Newsguard della disinformazione relativa al Coronavirus, anche i media sono talvolta fonte di notizie false o forvianti. È stato notato, d'altro canto, che gli articoli di maggiore interesse sono quelli scritti da esperti o che riportano dati e interviste a ricercatori.
 
Si moltiplicano poi le iniziative di enti come l’ISS, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che per informare e sensibilizzare i cittadini, ha lanciato proprio nei giorni scorsi uno spazio chiamato “Il Cnr risponde” - accessibile dal portale o dai suoi canali social – dove vengono pubblicate delle pillole-video di due minuti, in cui i ricercatori introducono al pubblico i principali argomenti di attualità. per aiutare i cittadini a non farsi disorientare da fake news. I ricercatori hanno unito le loro competenze e la loro esperienza, per dare il via alla ricerca sul Coronavirus a livello nazionale, ed internazionale come testimonia anche il recentissimo accordo con MIUR, Regione Lazio e Istituto Spallanzani per mettere insieme le forze verso la messa a punto di un vaccino.
 
In questo periodo di emergenza, grazie alla straordinaria sensibilità degli ospedali pediatrici Bambino Gesù di Roma, Meyer di Firenze e Gaslini di Genova, un progetto inizialmente nato a sostegno dei familiari dei bambini ricoverati si è trasformato nel progetto “I più piccoli per i più grandi”, che sosterrà gli studi di terapie innovative sul Coronavirus del CNR, attraverso una raccolta fondi coordinata dall’Organizzazione Non-Profit B Solidale Onlus”.
 
Si è aperto un dibattito, sul perché ci siamo trovati con le prime vie sguarnite, di fronte all’insorgenza dell’epidemia in Lombardia in primis poi in Veneto, Emilia Romagna e più in generale nell’intero paese. Partecipo volentieri a tenermi aggiornata e alla discussione sul Blog Sanità messo in piedi tempestivamente da Cesare Cislaghi, cui partecipano molti esperti di epidemiologia e sanità pubblica, molti dei quali ho imparato a conoscere e ad apprezzare per serietà ed abnegazione, nei molti anni di impegno istituzionale nella sanità e poi professionale a livello di studio e ricerca dei sistemi sanitari comparati.
 
Tutti impegnati ad analizzare modelli ufficiali e modellistica nei vari territori per comprendere meglio e dentro i dati l’andamento di questa curva epidemica che ci fa tremare ogni giorno, nonostante timidi segnali di contenimento.
 
Oggi 757 nuovi casi, meno di ieri, speriamo di vederli ancora scendere in settimana. Il modello messo a punto da Cesare Cislaghi, mi conforta e però mi dice anche come andrebbe messa mano alle modalità e ai criteri con cui si raccolgono dati, a come potrebbe essere fruttuoso avere dati sulle cause di morte, più articolati, per uscire dalla diatriba con coronavirus e per coronavirus, insomma come occorre ampliare e mettere a punto seriamente un sistema di rilevazione dell’andamento epidemiologico per dare corso ad una nuova stagione programmatrice della prevenzione e dell’assistenza di base nel nostro paese, senza le quali transizione epidemiologica e risposta assistenziale potrebbero rivelarsi del tutto inefficaci per la tenuta del sistema di fronte a recrudescenze o nuove epidemie che in futuro comun que si potrebbero verificare. Molte domande ci siamo posti sul perchè in Lombardia solo il 40% delle persone infette sono state isolate in casa, mentre in Veneto ed in Emilia Romagna tra il 65 e il 70%.
 
Basta questo dato per far cogliere la differenza fra sistemi sanitari: uno centrato sugli ospedali, gli altri più sulla sanità territoriale. È evidente che se non c’è una rete di medici di famiglia e altri servizi territoriali pronti all’emergenza, i positivi vengono spediti in ospedale, contribuendo a ulteriori infezioni, all’intasamento delle terapie intensive e a una mortalità maggiore.
 
Perché ci sono differenze regionali così marcate di fronte allo stesso virus? Non ci dovrebbero essere criteri uniformi di assistenza in Italia?
Lungi da me aprire polemiche politiche, mi interessa capire per il dopo, per cosa deve cambiare, perché nella mente e nel cuore di tutti noi, non si potrà cancellare facilmente l’immagine di quei camion militari con il loro carico di morte.
 
Che è successo nella Regione più ricca d’italia? Quella che contribuisce maggiormente alla ricchezza nazionale prodotta, quella più europea, quella dell’Expò, quella dei giardini verticali. Quella che ai miei tempi, con il ministro Veronesi, fronteggiò “mucca pazza”, con un Grande dirigente come Vittorio Carreri alla prevenzione di Regione Lombardia, che aveva precedentemente costruito 15 Dipartimenti di prevenzione, che tenevano insieme igiene pubblica, prevenzione negli ambienti di lavoro, alimenti, sicurezza nutrizionale, prevenzione nelle comunità e veterinaria (tre nella sola Milano), che oggi sono diventate otto agenzie, di cui una sola per tutta l’area metropolitana milanese di 3,5 milioni di abitanti!
 
Da 15 siamo passati a 3 laboratori di sanità pubblica (PMIP). In Lombardia la sanità pubblica e la prevenzione sono state fiaccate, l’assistenza sul territorio disarticolata. Credo che questo abbia un peso su quello che sta accadendo oggi.
Perché è importante seguire i malati sul territorio.
In fondo la Lombardia ha ospedali di eccellenza, normalmente cura gente che arriva da tutta Italia, mentre ora le tocca mandare malati di Covid-19 in altre regioni.
 
La sanità non è solo medicina. È assistenza, attenzione ai determinanti sociali e ambientali dei diversi luoghi. La sanità territoriale è fondamentale e si deve garantire la massima tempestività di informazione dei casi sospetti e positivi in modo da garantire con altrettanta tempestività, l’isolamento domiciliare e il suo controllo, e il controllo dei contatti stretti con immediati supporti ai medici di medicina generale, l’appropriato ricovero ospedaliero le allerte e le indicazioni ai Dipartimenti di Prevenzione.
 
I MMG non sono stati sufficientemente supportati e i dipartimenti di prevenzione hanno avuto estensioni territoriali enormi, come quello di Milano. Una significativa destrutturazione e impoverimento del settore non ha consentito di rispondere adeguatamente. A questo si aggiunge il fatto che l’epidemia, alla quale non eravamo preparati, ha lasciato sul campo molti medici e operatori sanitari. La concentrazione dei ricoveri in ospedale con medici insufficientemente dotati di dispositivi di protezione ha diffuso il contagio.
 
Se si vanno a guardare I dati dell’istituto Superiore di Sanità relativi al 13 marzo scorso ci dicono che in Italia su 19.941 casi positivi ben 1.674 pari al 8,4% erano personale sanitario. In Regione Lombardia su un totale (sempre al 13 marzo) di 9.820 casi ben 1.089 (11%) erano sanitari. La rapida avanzata dei casi ha messo sotto stress il sistema.
Il Dipartimento di prevenzione di Milano (competente anche per Lodi) ha avuto molti dei suoi collaboratori contagiati, ricoverati e in quarantena con riduzione della sua operatività già ridotta nell’ultimo decennio.
 
Ora per carità si deve guardare in avanti e si deve pensare seriamente a mettere in campo modalità operative, strumenti di comunicazione alla popolazione, strumenti di sorveglianza, per come istruirci al dopo picco, al come dare a tutti, personale, strutture, territorio, strumenti, linee guida e comportamentali, perché non sarà facile in assenza di efficaci terapie e di un vaccino nel quale tutti speriamo, ma che sappiamo che non prima di 18 mesi forse vedrà la luce, convivere con COVID 19.
 
L’esperienza in questo caso ci deve innanzitutto insegnare che nulla potrà tornare come prima, che occorre davvero cambiare paradigma sulla politica sanitaria del paese, perché sennò quelli che abbiamo chiamato eroi ed eroine che abbiamo ringraziato e continuiamo a ringraziare, che hanno messo a repentaglio la loro vita per noi, non faranno il bis per la nostra incapacità di provvedere in tempo ai problemi che Coronavirus ha scoperchiato di colpo, ma che da tempo in molti abbiamo sollevato in questo paese.
 
Per civismo e senso di appartenenza alla comunità siamo in tanti a donarvi le nostra competenza in assolutà oblatività sempre che scienza e politica non vogliano più distaccarsi. La vita va avanti oltre “l’opportunista e scippatore” Coronavirus.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

30 marzo 2020
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