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La storia di Charlie. Lenzi (Pd): “I genitori hanno diritto di inseguire una speranza”


“Con una legge come quella sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, in discussione alla Camera, i genitori del piccolo Charlie avrebbero potuto avere la libertà di lottare”. É il pensiero della capogruppo Pd in Commissione Affari sociali. Ieri, i genitori del neonato affetto dalla sindrome di deperimento mitocondriale, attraverso facebook, avevano annunciato che mancava un solo giorno alla morte del loro bambino. La madre, Connie Yates, ha successivamente fatto sapere, sempre attraverso Facebook, che i medici avrebbero deciso di aspettare ancora qualche ora prima di procedere.

30 GIU - “Noi crediamo che anche ai genitori di Charlie doveva essere garantita la possibilità di lottare, infatti la legge in discussione alla Camera sulle Dat, le dichiarazioni anticipate di trattamento, garantisce questa libertà e, allo stesso tempo, tutela la salute del minore”. Lo ha detto Donata Lenzi, capogruppo Pd alla Commissione Affari sociali di Montecitorio, commentanto il caso del piccolo Charlie affetto da una patologia genetica rara.
 
Nei giorni scorsi, la Corte di Strasburgo, concordando con i medici londinesi, si  era pronunciata in modo favorevole alla possibilità di staccare la spina, per evitare ulteriori inutili sofferenze. Ieri i genitori di Charlie, attraverso un post pubblicato su Facebook, avevano fatto sapere che al loro piccolo restavano solo altre 24 ore di vita.
 
La fine tragica del piccolo Charlie e la disperazione dei giovani genitori ci toccano nel cuore. Sappiamo - ha continuato Lenzi - che la loro era una speranza estrema, un ultimo tentativo ma perchè negarlo quando non c'è nulla da perdere e si agisce a proprie spese?. Certamente va stigmatizzato un aspetto: utilizzare questa drammatica vicenda per sparare sull'Europa, non ha senso. La decisione è stata presa in base alle leggi del Regno Unito e da tribunali del Regno Unito in tre gradi di giudizio La Corte Europea ha solo dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la legislazione britannica adeguata. Il problema dunque - ha concluso - è nella giurisdizione inglese”.
 

30 giugno 2017
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