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Ddl Lorenzin. Sperimentazioni cliniche. Cochrane Italia: " Attenti a non semplificare troppo"


Semplificare procedure e iter va bene ma è una strada scivolosa "se utilizzata per formulare in maniera meno rigorosa disegno e svolgimento degli studi clinici". Perplessità anche sulla partecipazione alle ricerche delle aziende sanitarie pubbliche: "Si rischia perdita oggettività nelle valutazioni". 

05 AGO - Un giudizio con più ombre che luci quello fornitoci dall’Associazione Alessandro Liberati-Network Italiano Cochrane in merito all’articolo 1 del Ddl Lorenzin che, approvato il 26 luglio dal Consiglio dei ministri, delega al Governo il riassetto e la riforma della normativa che regola la sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano.
 
 
“Nel decreto – evidenziano Laura Amato, Roberto D’Amico e il presidente Luca De Fiore -  , viene da subito sottolineata la necessità della coerenza con le disposizioni internazionali sulla materia e si sollecita, inoltre, la definizione dei requisiti dei centri autorizzati alla sperimentazione. A nostro avviso, la definizione di questi 'centri' dovrebbe includere anche quello di 'rete' al fine di coinvolgere, come peraltro auspicato nel decreto stesso, i MMG e i pediatri di libera scelta”.
 
“Dal testo – ci spiegano i tre esponenti dell’Associazione - del DDL traspare certamente un'attenzione diversa per la sperimentazione, soprattutto considerando che si sollecita una specifica formazione del personale sanitario e vi è un importante richiamo al collegamento tra attività di ricerca e acquisizione di crediti formativi. Potrebbe questa essere l’occasione per un sostanziale ripensamento  e rilancio su basi diverse  del Programma nazionale di Educazione continua”.
 
“Un punto che ci sembra critico – specificano i membri del Nic -  è quello relativo alla partecipazione alle sperimentazioni delle Aziende sanitarie pubbliche, che, oltretutto, in  un altro punto del Decreto, parrebbero dover essere valutate anche sulla base di tali attività di ricerca. Viene spontaneo chiedersi come possano essere definiti i criteri di giudizio dei "risultati" della ricerca; difficile credere, per esempio, che un output solo apparentemente oggettivo come il numero di pubblicazioni su riviste indicizzate possa di per sé costituire un parametro affidabile”.
 
Altro dubbio riguarda poi il reale significato della parola semplificazione. “Una parola chiave ricorrente nel testo del decreto è ‘semplificazione’; termine sicuramente apprezzabile - quando, per esempio, utile a favorire la ricerca indipendente - ma potenzialmente scivoloso se utilizzato per formulare in maniera meno rigorosa disegno e svolgimento degli studi clinici. Come scrive Giuseppe Traversa sulla rivista Ricerca & Pratica, riprendendo gli argomenti sollevati da Sobrero e Bruzzi in un articolo uscito sul Journal of Clinical Oncology, l'asticella della ricerca va alzata, non abbassata. Se vogliamo, nel DDL manca l'indirizzo a realizzare una ricerca sempre più utile, cioè tale da produrre risultati clinicamente rilevanti per esiti di reale interesse per il malato e non solo ‘statisticamente significativi’. Semplificare, d'accordo, ma per incentivare e promuovere la buona ricerca garantendo al contempo la assoluta trasparenza all'intero processo di raccolta, controllo di qualità, analisi e pubblicazione dei dati”.
“Non si può non osservare – specificano Amato, D’Amico e De Fiore infine - come il DDL sia sostanzialmente centrato sulla ricerca sperimentale, dalla Fase I alla IV. Dei quasi due milioni di articoli scientifici pubblicati ogni anno nel mondo, non più di una cinquantina sono realmente in grado di cambiare i comportamenti clinici del medico e, quindi, di promettere migliore salute per il malato. Sarebbe auspicabile favorire anche la ricerca che permette di riassumere i risultati degli studi di buona qualità già conclusi e troppe volte non applicati nel setting quotidiano dell'assistenza sanitaria. In definitiva, è bene che in Italia si torni ad affrontare il complesso tema della Ricerca in maniera non episodica. Potrebbe essere un passo verso una nuova Governance che non soltanto indirizzi la Sanità pubblica - aziende sanitarie, IRCCS, università - ad una ricerca per il bene comune, ma solleciti anche l'industria a cooperare ad una ricerca utile e migliore per il servizio sanitario nazionale”.

05 agosto 2013
© Riproduzione riservata

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