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Spending review sanitaria. Parte dei risparmi vadano al personale. Tartassato e penalizzato da troppo tempo

di Roberto Polillo

Il SSN rimane un campo organizzativo fondamentalmente labour intense in cui nessun tipo di meccanizzazione potrà sostituire il lavoro umano. Anche per questo bisogna restituire potere d’acquisto reale al personale sanitario che ha visto un netto peggioramento delle proprie condizioni di vita

19 MAR - L’intervista del Ministro Lorenzin al quotidiano Repubblica in cui si afferma che i risparmi realizzabili in sanità (ben superiori ai 3 miliardi in tre anni e da lei stessa in altre occasioni indicati nella cifra stupefacente di 10 miliardi) saranno utilizzati per infrastrutture, tecnologie e risorse umane è una notizia importante per tutti colori che ritengono fondamentale il potenziamento del nostro SSN.
 
Sullo stesso tono le affermazioni di Cottarelli (il cui lavoro ritengo assolutamente prezioso) laddove ri-afferma la sostenibilità del SSN (in barba a tutti i catastrofisti che puntano alla privatizzazione del nostro sistema di welfare) e la convinzione che grandi risparmi possano essere realizzati attraverso l’applicazione dei costi standard e altre misure di razionalizzazione della spesa .
 
Quanto già avvenuto con la estensione delle piattaforme CONSIP all’acquisto di beni  e servizi nella PA (un risparmio pari a circa 6 miliardi in un anno) la dice lunga su quante risorse potrebbero essere recuperate (senza ulteriori compressioni sui servizi) in sanità  solo applicando correttamente le regole del mercato concorrenziale  nell’acquisto delle forniture. Anche in questo settore l’estensione di centrali uniche regionali potrebbe tagliare costi impropri  frutto di quella commistione tra politica e impresa che avvelena da sempre la vita del nostro paese.
 
Tra le misure che il Ministro Lorenzin ha previsto insieme alle Regioni un ruolo importante gioca l’abbattimento dei ricoveri impropri da cui si potrebbero risparmiare 900 milioni annui. Una misura,  questa, che però implica una profonda revisione dei nostri modelli assistenziali. E’ infatti ampiamente dimostrato che tra le cause del ricorso improprio all’ospedale le principali sono lo scarso sviluppo della medicina d’iniziativa (attraverso la quale è possibile contrastare le fasi  di riacutizzazione delle malattie croniche) e la carente disponibilità di strutture a complessità assistenziale intermedia  e di RSA dove trasferire i pazienti che non hanno più necessità di permanere in strutture ospedaliere ad elevata complessità. Per realizzare tali misure è dunque indispensabile mettere in chiaro, in sede di scrittura del Patto per la Salute, che l’adeguamento dei SSR  rappresenta un obbligo per tutte le regioni, nessuna esclusa, a meno di non incorrere in penalizzazioni che, a mio giudizio, dovrebbero rientrare tra gli elementi costitutivi di  una nuovo sistema di relazioni tra Stato centrale e Enti territoriali.
 
Rimane poi il problema sulle risorse umane. E qui  serve  altrettanta chiarezza. Il SSN rimane un campo organizzativo fondamentalmente labour intense in cui nessun tipo di meccanizzazione potrà sostituire il lavoro umano. E i dati in nostro possesso ci parlano di spaventose carenze sia per quanto riguarda il personale infermieristico e sia per quanto  riguarda il personale medico con un deficit stimato di 23.000 unità nell’arco dei prossimi anni. Deficit che inevitabilmente si tradurrà in ulteriore riduzione  della qualità del servizio reso.  Serve dunque una nuova politica che vada in due direzioni di marcia. Da un lato re-integrare le dotazioni organiche laddove ce ne sia necessità anche dopo avere realizzato le dovute ottimizzazioni. Dall’altro restituire potere d’acquisto reale al personale che ha visto un netto peggioramento delle proprie condizioni di vita. E questo per due motivi: blocco dei contratti e eccessivo carico impositivo.
 
Su questo ultimo punto credo che la situazione abbia ormai toccato il fondo. Un livello di tassazione fuori ogni misura non riguarda solo il salario ordinario  ma anche la libera professione,  ivi compresa  quella in cui il professionista lavora per conto della propria azienda prestando la propria opera professionale in strutture non convenzionate con il SSN. In questo ultimo caso siamo addirittura ben oltre il 60%, un livello che non è più compatibile con una Repubblica  fondata sul lavoro. Eppure questo tema sembra non interessare nessuno, sindacati compresi che della riduzione  del carico fiscale (a partire almeno dalle quote legate alla libera professione istituzionale)  dovrebbero fare la madre di tutte le battaglie, specie in una condizione come la nostra in cui vige un blocco dei contratti da oltre 5 anni e in cui la scellerata riforma del Titolo V ha dato agli enti locali la facoltà di aumentare senza limiti i tributi locali per coprire le inefficienze della classe politica a cui ne è affidata la direzione.
 
Forse parte delle risorse che il Ministro Lorenzin è sicura di reperire dovrebbero essere utilizzate anche per risolvere questi problemi che non sembrano più secondari e che sono una ingiustizia se si considera il fondamentale contributo che il personale del SSN dà al mantenimento di tutto l’apparato statale dalla sanità ai trasporti alla scuola. Perché dunque non iniziare a parlare di decontribuzione laddove il lavoro del medico porti effettivi vantaggi economici alla propria ASL? Che senso ha mantenere quella serie di balzelli crescenti che sono andati aumentando a dismisura negli ultimi anni, grazie anche alle ultime incursioni del Ministro Balduzzi? Capisco che esistono nel Paese fasce di assoluta sofferenza su cui vanno concentrati gli sforzi della politica, ma è altrettanto giusto che laddove possibile anche i medici recuperino parte del loro salario che la crisi  e la inadeguatezza della politica ha sottratto loro.
 
Roberto Polillo 

19 marzo 2014
© Riproduzione riservata

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