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Titolo V. La riforma Renzi non basta. Serve un’Agenzia “terza” autorevole con poteri di supervisione e intervento

di Fabrizio Gianfrate

Per superrare la la legislazione concorrente in sanità serve di più. Bisogna affidare ad un organismo terzo, una sorta di vera Agenzia o Authority, poteri superiori di supervisione e intervento continuativi sull’intero processo di programmazione, gestione e controllo nella produzione di prestazioni e servizi sanitari sul territorio

02 APR - Le variazioni proposte al Titolo V in materia di legislazione concorrente dovrebbero derivare da un’analisi accurata dei risultati sulla sanità a 13 anni dal referendum del 2001. In questo periodo l’assistenza sanitaria in Italia è migliorata o peggiorata? A che prezzo?
La qualità generale dell’assistenza dal 2001 a oggi non è sostanzialmente migliorata, con peggioramenti evidenti in alcune aree geografiche e in alcuni settori di assistenza (pronto soccorso, continuità ospedale-territorio, innovazione tecnologica, ecc.).
 
L’equità è altresì peggiorata con le discriminanti per reddito e per territorio che si sono amplificate: le liste d’attesa allungatesi mediamente di circa il 25%, la spesa privata cresciuta di oltre il 30%, inclusi ticket e intramoenia, in aumento le migrazioni sanitarie verso il nord per i DRG più complessi, allarmante il numero di chi rinuncia a curarsi per le barriere all’accesso (finanziarie e organizzative).
 
La spesa SSN dal 2001 al 2013 ha generato un disavanzo netto di circa 45 miliardi, pur essendo cresciuto il finanziamento di circa il 4% annuo, per un totale di circa 35 miliardi, e pur avendo aumentato i tributi regionali, alcune Regioni fino al 300%, record EU.
Il debito esistente complessivo delle Regioni è stimato in circa 130 miliardi, come noto molto pesante in alcune di esse, gravato da oneri sia finanziari (mutui e derivati per 60 miliardi) sia commerciali (fornitori per 50 miliardi + 20 contabilizzati come “di vecchia data”).
 
Debito ancora in crescita in molte Regioni per il reiterato deficit di bilancio annuale (seppure ridotto grazie all’effetto dei piani di rientro imposti dal livello “centrale”) nella maggior parte delle Regioni (si stima che solo 5 dovrebbero chiudere il bilancio 2014 non in perdita).
La spesa privata è arrivata a circa 30 miliardi, oltre metà per prestazioni già dispensate dal SSN.
La Corte dei Conti indica ormai costantemente la sanità al primo posto tra le aree a maggiore presenza di corruzione e malaffare.
 
Un bilancio, quindi, a 13 anni dalla prima modifica del Titolo V indubitabilmente negativo: qualità che non cresce, equità che peggiora, debiti e tassazione all’insù, spesa privata iniqua, alto tasso di illegalità. In sintesi grande inefficienza, per colpa o dolo, in particolare in alcune Regioni.
 
Quali possibili modifiche, allora, da una revisione della legislazione concorrente? Oggi le leve d’intervento correttivo sono quasi tutte in capo alla Regione stessa, in una sorta di autocontrollo/autocertificazione.
I poteri in merito dello Stato centrale verso le Regioni, dal 2001 a oggi, sono prevalentemente “ex post”: la leva finanziaria, con l’erogazione dei fondi del FSN solo se i conti regionali o i piani di rientro seguono quanto concordato, e quella commissariale quando gli accordi previsti non sono rispettati.
 
Entrambe sono leve manovrabili, però, a danno già fatto e spesso hanno limitato potere effettivo: difficile, in ultima analisi, negare i fondi anche alla più renitente delle Regioni “affamandone” la sanità a ulteriore discapito dei suoi cittadini, mentre il commissario e/o i sub-commissari sono non di rado nominati tra gli esponenti di vertice della regione stessa, chiamando a risolvere il problema coloro che spesso l’hanno generato o, nella migliore delle ipotesi, non sono stati in grado di risolverlo.
 
Occorre quindi, in un’ipotesi di revisione della legislazione concorrente tra Stato e Regioni in capo al Titolo V, affidare allo Stato centrale, ad un organismo terzo di grande autorevolezza e autorità, una sorta di vera Agenzia o Authority (es.: un’Agenas molto potenziata quali-quantitativamente o una sorta di AIFA per la sanità), poteri superiori di supervisione e intervento continuativi sull’intero processo di programmazione, gestione e controllo nella produzione di prestazioni e servizi sanitari sul territorio. Una sorta di monitoraggio e intervento costante, un “controllo qualità” continuo, incluso il livello di competenza e formazione manageriale dei manager apicali di ASL/AO, che consenta allo Stato centrale, attraverso pochi ma cruciali indicatori (facilmente individuabili) anche di confronto (benchmark), d’identificare malfunzionamenti, distorsioni e inefficienze e intervenire correttivamente prima che il danno si verifichi o comunque quando ancora la sua entità è limitata.
 
Si tratterebbe di una supervisione attiva e gerarchica dello Stato su Regioni/ASL/AO in netta controtendenza rispetto alla progressiva autonomia delle Regioni e da queste, mi rendo conto, presumibilmente all’apparenza poco gradita. Pur tuttavia sarebbe, invece, da interpretare in un’ottica collaborativa e cooperativa, non concorrenziale, dato che i benefici ricadrebbero tutti e solo sulla qualità della sanità della Regione stessa e quindi sui suoi Amministratori.
Un pragmatico aggiustamento all’autonomia, valore di per sé grandemente positivo, ma da far crescere in un contesto di piena maturità e responsabilità istituzionale e civica che, purtroppo, nel loro insieme, pur con tutti i distinguo del caso, molte Regioni, numeri e dati di cui sopra alla mano dal 2001 a oggi, non hanno dimostrato ancora di avere.
 
Fabrizio Gianfrate
Economista Sanitario

02 aprile 2014
© Riproduzione riservata

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