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Piano sangue: “L’Italia a una svolta epocale”


Il direttore del Centro nazionale sangue, Giuliano Grazzini, intervistato da Quotidiano Sanità, definisce così il pacchetto di provvedimenti approvato in conferenza Stato-Regioni. Un vero e proprio “Piano sangue” che comprende il documento di Programmazione del fabbisogno e dell’autosufficienza per l’anno 2010 e un Accordo sui Requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici e sul Modello per le visite di verifica dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolta del sangue e degli emocomponenti.

18 DIC - Intervista a  Giuliano Grazzini, direttore del Centro nazionale sangue
 
Direttore, la Stato-Regioni ha dato il via libera a un vero e proprio "Piano sangue". Qual è la sua opinione sui provvedimenti approvati?
La Programmazione dell'autosufficienza viene redatta ogni anno ed è una fotografia importante della situazione del Paese per quanto riguarda il settore "sangue", ma la grande novità è l'Accordo sui requisiti minimi dei servizi di trasfusione e raccolta. Un accordo di importanza epocale, che permetterà all’Italia di fare importanti passi avanti in termini di qualità, consentendo al nostro Paese di raggiungere i livelli dei maggiori Paesi europei in un settore dove, fino a poco tempo fa, si registravano ancora forti criticità.
L’Accordo, infatti, definisce i nuovi requisiti di qualità strutturali, organizzativi e tecnologici dei servizi trasfusionali e delle unità raccolta del sangue adeguandoli ai parametri stabiliti da tre importanti direttive europee emanate tra il 2003 e il 2007, anche tenuto conto della libera circolazione dei pazienti. Questo perché se un cittadino acquista un farmaco in Francia o in Polonia, il farmaco sarà uguale, ma lo stesso non si può dire se quel cittadino si reca nei centri trasfusionali e di raccolta sangue di un Paese rispetto ad un altro. Questi servizi in Europa sono ancora molto diversificati, anche in termini di livelli di sicurezza. Le direttive europee nascono per equiparare questi livelli ai migliori esempi europei, e l’Accordo firmato in Stato-Regioni è parte di questo percorso, iniziato in Italia dal 2007.
 
Qual è stata finora la maggiore criticità del sistema italiano?
I servizi di trasfusione e raccolta sangue nel nostro Paese esistono da molti anni e complessivamente garantiscono un buon livello di qualità e sicurezza. Devono però fare quei passi in avanti in termini di crescita e sviluppo. Soprattutto creando un efficace sistema di rete e innalzando i livelli di qualità delle strutture, dell’organizzazione e delle tecnologie, appunto. L’Italia sta facendo un grande sforzo in questo senso, e l’Accordo Stato-Regioni è una tappa importantissima verso questo obiettivo.
 
Quali sono i punti più qualificanti contenuti nell’Accordo?
Sicuramente l’introduzione di requisiti organizzativi più stringenti ed efficienti di quelli attuali. In particolare per quanto riguarda la gestione delle procedure, come quella della manipolazione del sangue e della sua validazione. E poi l’introduzione di criteri di sicurezza ancora più accurati e l’utilizzo di tecnologie ancora più avanzate di quelle che oggi si trovano in alcuni centri. C’è complessivamente una forte apertura a tutte le innovazioni, anche quelle che riguardano, ad esempio, le cellule staminali.
Un aspetto essenziale è che nell’era del federalismo e dell’autonomia regionale, tutte le Regioni abbiano condiviso questo percorso, approvando il dettato europeo che prevede che ogni 2 anni tutti i servizi trasfusionali e di raccolta sangue di Italia vengano sottoposti a valutazioni e verifiche effettive, svolte da apposite commissioni regionali supportate dall’organismo centrale, cioè dal Centro nazionale sangue, che si occuperà della formazione tecnica di queste commissioni.
Non c’è alcuna intenzione di creare un sistema poliziesco, ma sicuramente c’è l’intenzione di individuare le criticità e i punti deboli per mettere in campo le azioni necessarie a sanarli e migliorare.
È un percorso molto impegnativo, ma virtuosissimo, che punta a garantire la qualità e la sicurezza dei cittadini. Anche nella convinzione che un sistema che funziona sia anche un input alla donazione di sangue da parte della popolazione.
 
La carenza di sangue è un allarme lanciato costantemente. L’Italia non riesce a garantire il fabbisogno?
Attualmente le difficoltà maggiori si registrano in Sardegna, Sicilia e Lazio. Per la Sardegna questo dipende dall’alto numero di malati di talassemia, che richiede continuo utilizzo di unità di sangue. La Sicilia, negli ultimi anni, ha compiuto grandi passi avanti e forse, entro un anno, riuscirà ad essere autosufficiente.
Difficoltà permangono invece nel Lazio. L'organizzazione dei servizi in una città popolosa e complessa come Roma sicuramente non è facile, sicuramente, però, il Lazio potrebbe fare molto di più per colmare questo gap. Con il nuovo Accordo, questo dovrà necessariamente accadere. Abbiamo comunque ricevuto segnali positivi e la volontà sembra esserci.
In tutta Italia abbiamo assistito a una maturazione sistemica veramente forte negli ultimi anni e questo ci dà motivo di essere ottimisti riguardo all’attuazione dell’Accordo. Il sistema si sta veramente avviando a una svolta epocale e questo ci è stato riconosciuto anche dalla Commissione Europea.
 
Quale sarà il prossimo passo?
L’emanazione di Linee guida per l’accreditamento che saranno sviluppate da un Tavolo tecnico nazionale coordinato dal Centro nazionale sangue e al quale siederanno le Regioni, le Società scientifiche di settore e le associazioni dei donatori, che sono un tassello importantissimo dell’intero sistema e che hanno partecipato in prima persona a tutto questo percorso.
Sarà un documento molto tecnico, scientifico e gestionale, che mirerà a presidiare la qualità, la standardizzazione e razionalizzazione delle attività.
 
Quando sarà pronto?
L’auspicio è di vederlo pubblicato entro il prossimo mese di marzo.
 
Quali potrebbero essere gli ostacoli di questo percorso di qualificazione?
La carenza di risorse. Finché si parla di adeguamenti organizzativi, infatti, si può pensare che sia sufficiente orientare i comportamenti. Già quando si parla di adeguamento tecnologico, occorrono investimenti, anche se si può pensare a qualche risparmio nelle scelte di aggiornamento delle strumentazioni. Quando si parla di strutture, le risorse che servono sono consistenti e reperirle potrebbe non essere semplice.
 
L.C.


18 dicembre 2010
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