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Senato. De Filippo su acufene, assunzione zuccheri e idoneità attività agonistica per stranieri


Promuovere la ricerca sulle cause dell'acufene al fine di valutarne l'eventuale inserimento nei Lea. Sul consumo di zuccheri, si deve evitare di demonizzare un singolo nutriente che, se inserito senza abusi in un regime nutrizionale sano, può essere assunto senza causare danni. Per gli atleti tesserati in altri Paesi valgono le norme che regolano l’idoneità nel Paese di provenienza.

30 APR - Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, è intervenuto questa mattina in commissione Igiene e Sanità del Senato per rispondere a due interrogazioni. La prima, presentata da Domenico Scilipoti Isgrò (Fi) riguardava le iniziative intraprese per l'individuazione di terapie con cui trattare l'acufene.

De Filippo ha premesso che l’acufene è un problema otologico assai frequente. Studi condotti negli ultimi due lustri in Paesi europei, quali la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato come, mediamente, circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente abbia sofferto di acufene almeno una volta nella vita. Per quanto riguarda l’Italia, a seguito di una serie di studi risulterebbe che nel nostro Paese vi sia una prevalenza di tale problema otologico pari a circa il 15 per cento.

Fa quindi presente che l’acufene consiste in sensazioni acustiche endogene, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altro, percepiti in una o in entrambe le orecchie o nella testa. Tale disturbo può incidere sulla qualità della vita di chi ne soffre soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente. La ricerca clinica ha chiaramente dimostrato come, in una alta percentuale dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia sia parte integrante.

Riferisce che la causa dell’acufene non è chiara, nella maggioranza dei casi. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di "neuroimaging", che permettono di osservare l’attivazione delle aree del cervello deputate all’elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione dell’eziologia della patologia in questione.I centri di ricerca che studiano le basi biologiche dell'acufene in Italia, distribuiti sull'intero territorio nazionale, hanno prodotto negli ultimi anni risultati rilevanti per la comprensione e la potenziale cura di questa patologia. Ad esempio, è stato dimostrato come alterazioni della connessione tra diverse aree del sistema nervoso centrale, quali la corteccia e il talamo, possano essere alla base dell'acufene in pazienti normoacustici. Altri studi hanno identificato potenziali fattori di rischio per l'insorgenza di questa patologia, quali l'ipertensione, l'indice di massa corporea, il fumo e l'ipercolesterolemia.

Il Ministero della salute ritiene che, al fine di valutare quali iniziative adottare per gestire i problemi sanitari legati all’acufene e considerata la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo, occorre effettuare un attento studio dello stato dell’arte delle conoscenze di base e cliniche, ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura disponibile e l’esame delle scoperte scientifiche più recenti. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l’Istituto superiore di sanità, per promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all’acufene presso Istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.

Tali iniziative - soggiunge il Sottosegretario - sono necessarie ai fini della valutazione dell'eventuale inserimento dell’acufene nei livelli essenziali di assistenza, ai sensi del decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche, come malattia cronica invalidante: occorre sviluppare una serie di approfondimenti, legati, ad esempio, all'accertamento del quadro nosologico non unicamente basato sull'autovalutazione da parte del paziente stesso.Attualmente, non è possibile prevedere l’inserimento dell’acufene tra le malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, poiché esso non costituisce una vera e propria malattia, ma è un sintomo con diversi livelli di gravità, determinato da patologie vascolari (fistole del collo, tumori carotidei, aneurismi intracranici o meningei, patologie dei grossi vasi del collo) o, più frequentemente, associato a patologie audiologiche, vestibolari, neurologiche, autoimmuni, cerebrovascolari, dismetaboliche ed ematologiche. Inoltre, la condizione in questione non sembra rispondere ai criteri di inclusione previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità, invalidità ed onerosità del relativo trattamento) e sarebbe difficoltosa l’individuazione delle prestazioni erogabili in esenzione (appropriate per il monitoraggio della patologia e la prevenzione di aggravamenti e complicanze).

In conclusione, il Sottosegretario ha ricordato che i pazienti affetti da acufene sono tutelati dal Servizio sanitario nazionale attraverso i livelli essenziali di assistenza e che gran parte delle condizioni che determinano l’acufene sono già comprese tra le malattie previste dal decreto ministeriale n. 329 del 1999, per le quali sussiste l’esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
 

E' stata poi la volta dell'interrogazione di cui è prima firmataria Nerina Dirindin (Pd), in merito alle iniziative per prevenire, in conformità alle indicazioni della Organizzazione mondiale della sanità (OMS), gli effetti nocivi per la salute di bambini e adulti legati ad un'eccessiva assunzione di zuccheri.

De Filippo ha premesso che le Linee guida sull’assunzione di zucchero della OMS affrontano, in particolare, il problema dell’insorgenza di obesità e di carie negli adulti e nei bambini. Viene raccomandata una riduzione dell’assunzione di zucchero durante tutto il corso della vita, si suggerisce che tale assunzione non sia superiore al 10 per cento del totale introito calorico; si suggerisce, altresì, una ulteriore riduzione sotto il 5 per cento, al fine di ridurre il rischio di carie dentale.

Riferisce quindi che, a parere del Ministero della salute, le raccomandazioni incluse nelle richiamate Linee guida appaiono eccessivamente restrittive, soprattutto allorché propongono una riduzione del consumo di zuccheri semplici al di sotto del 5 per cento. In proposito, si deve tener conto che lo zucchero costituisce un nutriente essenziale e che, come tutti gli altri, va assunto in quantità adeguate, anche se non eccessive; la riduzione dal 10 per cento al 5 per cento della quota di calorie da zuccheri semplici, rappresenta un obiettivo ambizioso del cui beneficio non vi sono evidenze scientifiche, oltre ad interferire sulla tradizione alimentare del nostro Paese. Peraltro, la riduzione al 5 per cento degli zuccheri semplici senza una concomitante contrazione dell’apporto energetico totale e, soprattutto, della quota di carboidrati totali (pasta, pane), non apporta alcun beneficio relativamente al rischio di malattie croniche non trasmissibili.

Fa presente che, accanto agli aspetti negativi, documentati nella letteratura scientifica, è comunque opportuno considerare anche le funzioni che gli zuccheri svolgono nell’organismo, rappresentando la più comune fonte di energia degli organismi viventi: dal loro utilizzo l’organismo ricava la maggior parte dell'energia necessaria per le sue funzioni. Una dieta equilibrata fornisce un buon apporto di zuccheri, che viene utilizzato sia come fonte di energia immediata che come riserva, immagazzinandoli nel fegato.

Soggiunge che le disposizioni comunitarie relative alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (Regolamento (UE) n. 1169/2011) indicano un consumo di riferimento di carboidrati pari a 260 grammi di cui zuccheri 90 grammi (circa il 19 per cento dell’apporto energetico totale), su una dieta di 2.000 kcal. L'European food safety authority (EFSA) ha emanato una Opinion (2011) in cui stabilisce la necessità di circa 130 grammi di carboidrati al giorno, inseriti in una dieta bilanciata, per coprire il fabbisogno energetico del cervello.

Rileva che l’approccio di effettuare un’analisi della letteratura scientifica orientato a citazioni bibliografiche volte ad identificare responsabilità a carico di un unico nutriente, rende debole la validità del documento dell’OMS. La probabilità dell’insorgenza delle patologie croniche – in primo luogo l’obesità – dipende infatti, dal punto di vista nutrizionale, da un ampio insieme di macronutrienti, che include non solo gli zuccheri, ma anche i grassi saturi, i grassi "trans" e l’eccessiva assunzione di sale, nonché da una molteplicità di fattori, che possono esser contrastati con adeguati stili di vita. Le citate Linee guida OMS fanno riferimento agli zuccheri aggiunti, ai quali sono attribuite dirette responsabilità per l’insorgenza di carie dentali. In proposito, le "Linee guida per una sana e corretta alimentazione" (INRAN 2003), suggeriscono che a determinare quest’ultima situazione sarebbero non solo le quantità, ma anche le modalità di consumo degli zuccheri. E’ vero che la fermentazione degli zuccheri nel cavo orale determina l’inizio della lesione cariosa, ma è altrettanto vero che per il verificarsi di quest’ultimo evento è necessaria una permanenza del cibo nel cavo orale abbastanza lunga, tale da determinare l’attacco al dente. Pertanto, oltre che da una limitazione nel consumo di zuccheri, il rischio di carie viene ridotto da una opportuna e sollecita igiene orale, specialmente se accompagnata da adeguati apporti di fluoro e di calcio. E’ molto improbabile che l’assunzione di zuccheri causi carie allorché i denti vengano correttamente e regolarmente spazzolati; quindi, ove si attui un’adeguata igiene orale, il suggerimento di assumere livelli particolarmente bassi di zucchero appare eccessivo. Anche l’insorgenza di obesità è legata ad una serie di comportamenti e stili di vita errati, che sfociano in un bilancio sfavorevole del rapporto introito/consumo calorico, ed autorevoli studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche, dimostrano che gli zuccheri liberi non aumentano il rischio di obesità se vanno a sostituire, in maniera isocalorica, altri nutrienti. Anche in questo caso l’obesità va ascritta ad una serie di fattori che incidono sul bilancio calorico, e non solo all’assunzione di zuccheri semplici.

D’altronde, soggiunge il Sottosegretario, per la raccomandazione di una riduzione sotto il livello del 5 per cento, suggerita per la prevenzione della carie, la stessa Organizzazione mondiale della sanità ricorda che si tratta di raccomandazione "condizionale", in quanto vi è grande incertezza scientifica e si reputa necessario un ulteriore dibattito scientifico, prima di adottare tale raccomandazione.

Fa inoltre presente che resta ferma, da parte del Ministero della salute, la piena condivisione del messaggio laddove è teso a raccomandare una riduzione graduale, complessiva ed equilibrata dell’assunzione calorica e dei diversi componenti della dieta, in linea con la tradizione mediterranea, che il Ministero della salute intende sostenere, anche durante l’ormai imminente Expo 2015.

In proposito, ricorda che, per il raggiungimento dell’obiettivo di una riduzione dello zucchero, occorre valutare e monitorare i consumi, agire attraverso l’informazione e, soprattutto, la sensibilizzazione a partire dalle famiglie sulla necessità di limitare il consumo di alimenti e bevande ricche di zuccheri semplici. Da alcuni anni il Ministero della salute ha avviato un processo finalizzato al miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti, in collaborazione con le Associazioni che rappresentano i vari settori produttivi, avendo come "target" i nutrienti più critici, tra i quali gli zuccheri. Un tale approccio sul piano dell’alimentazione va, inoltre, accompagnato anche dall’adozione di stili di vita salutari, che puntano sull’attività fisica e sulla lotta agli altri fattori di rischio riconosciuti per l’insorgenza delle malattie croniche non trasmissibili. Il Ministero della salute ritiene che la riduzione degli zuccheri deve essere ottenuta principalmente con attività di educazione alimentare, estesa alle varie fasce d’età della popolazione, che permetta di comprendere l’importanza di una alimentazione moderata e variata, associata a una costante attività fisica.

Rileva che è fondamentale il concetto di "multifattorialità", evitando di demonizzare un singolo nutriente che, se inserito senza abusi in un regime nutrizionale sano, può essere assunto senza causare danni: infatti, non esistono cibi buoni o cattivi ma solo diete buone o cattive. Pertanto, il Ministro della salute ha comunicato al Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, dottoressa Chan, nel corso di un incontro a margine della seconda conferenza internazionale sulla nutrizione di Roma (novembre 2014), la contrarietà all’inclusione, in questa revisione delle Linee guida, della raccomandazione di ridurre il consumo di zuccheri al 5 per cento, o meno, dell’introito calorico totale.
Da ultimo, comunica che nella delegazione italiana accreditata all’OMS come in molte altre delegazioni partecipanti, erano presenti due esperti in negoziati internazionali, e non in materia di salute, data la natura diversificata e tecnica delle materie trattate.
 

Il sottosegretario risponde, infine, all'interrogazione presentata da Vittorio Fravezzi (Gruppo Autonomie), sull'accertamento dell'idoneità all'attività sportiva agonistica per gli stranieri che intendano partecipare ad eventi sportivi in Italia.

De Filippo osserva che l’obbligo di certificazione per stabilire l’idoneità fisica per la pratica dell’attività sportiva agonistica e non agonistica in Italia è disciplinato rispettivamente dal decreto ministeriale 18 febbraio 1982 e dal decreto ministeriale 24 aprile 2013. A tal proposito, evidenzia, per i profili di competenza del Ministero della salute, che tali decreti sono stati emanati proprio per garantire una maggior tutela della salute per coloro che praticano tali attività sportive, segnalando che l’Italia è tra i primi Stati europei ad aver disciplinato la materia in esame.

Per quanto riguarda le disposizioni che regolano l’idoneità alla pratica sportiva agonistica, a cui fa riferimento l’interrogazione, fa presente che queste sono state approvate dalle Federazioni sportive nazionali, che sono anche parte attiva nell’individuazione della qualificazione agonistica insieme agli enti sportivi riconosciuti.

Soggiunge che tali disposizioni, riferite alla idoneità agonistica, sono valide sul territorio nazionale e si applicano ai sensi del decreto ministeriale 18 febbraio 1982 agli atleti tesserati alle Federazioni sportive nazio­nali e alle Discipline associate agli Enti di promozione sportiva rico­nosciuti dal CONI; in estrema sintesi, dette disposizioni non sono rivolte agli atleti stranieri, anche quando partecipano a competizioni internazionali che si svolgono in Italia. Ne consegue, pertanto, che per gli atleti tesserati in altri Paesi valgono le norme che regolano l’idoneità nel Paese di provenienza. In particolare, per le gare agonistiche, è prevista la partecipazione soltanto per i tesserati FIDAL (Federazione italiana atletica leggera), o Enti di promozione sportiva, o Enti internazionali affiliati alla Federazione internazionale di atletica leggera (IAAF), nonché per i tesserati "run card" che, comunque, sono tenuti al rispetto dei regolamenti sportivi della FIDAL.

In conclusione, il Sottosegretario ricorda che presso il Ministero della salute è stato istituito il Gruppo di lavoro in medicina dello sport, con il compito di approfondire, al fine di fornire chiarimenti, tutta la tematica collegata alla disciplina dello sport. 

30 aprile 2015
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