Malattie rare. “Prioritario ridurre la variabilità dei servizi offerti ai pazienti”. La proposta di documento conclusivo presentata da Paola Binetti in Affari Sociali
Il testo elaborato dal deputato di Area Popolare osserva che “Ci sono degli aspetti strutturali dei servizi offerti che sono suscettibili di “specifiche azioni di miglioramento, fattibili nell'immediato, a cominciare dall'istituzione del Comitato Nazionale, previsto dal Piano nazionale delle malattie rare, ma non ancora attivo”.
17 LUG - I Centri di riferimento, la ricerca scientifica in Italia, il ruolo delle associazioni dei pazienti e le prestazioni di diagnostica e cura. Questi i principali aspetti trattati nella proposta di documento conclusivo presentata da
Paola Binetti (Area Popolare) in Commissione Affari Sociali nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle malattie rare. Il testo non è stato votato in quanto ha ricevuto osservazioni e proposte di modifica da parte di
Pierpaolo Vargiu (Scelta Civica),
Anna Margherita Miotto (Pd) e da
Maria Amato (Pd). Rappresenta comunque una struttura di partenza su cui lavorare.
Il documento in primis contestualizza
il quadro di riferimento, osservando che Il Piano nazionale per le malattie rare 2013-2016, “varato in Italia con un certo ritardo rispetto all'analogo Piano europeo del 2009, è già un buon risultato”. Ma, rispetto alle successive revisioni del Piano europeo, “in alcuni passaggi si nota un gap evidente rispetto allo sviluppo delle conoscenze scientifiche, all'evoluzione degli assetti normativi e alla nuova consapevolezza maturata dai pazienti e dalle associazioni che li rappresentano e che ne difendono i diritti”.
E proprio
sul piano dei diritti, sottolinea Binetti, le richieste dei pazienti “si fanno sempre più incalzanti e meno disposte alla rassegnazione nei confronti di un sistema burocratico troppo spesso lento e farraginoso; forti della loro rete europea di collegamento e strettamente collegati tra di loro nella rete nazionale di UNIAMO, condividono in tempo reale informazioni rilevanti per la loro qualità di vita e si pongono come interlocutori sempre più esperti e determinati nel dialogo con le istituzioni”. Nel complesso è quindi nata in tempi brevi una Learning Organization che trasforma le informazioni in formazione a tutto campo, per formulare richieste puntuali e pretenderne il soddisfacimento.
La Rete nazionale delle malattie rare, tra le prime difficoltà da affrontare mostra una certa fatica “ di costruire un linguaggio comune, con definizioni chiare dei termini che si utilizzano e quindi con una interpretazione univoca delle decisioni che si assumono”. Basta pensare, evidenzia il documento, “alla definizione di Centro di riferimento, essenziale anche nei prossimi mesi per partecipare a pieno titolo alle formazione degli ERN: ad esempio, cosa si intende rispetto al concetto di presidio accreditato, previsto dal decreto ministeriale n. 279 del 2001, a che cosa deve essere dedicato, quale deve essere la sua organizzazione interna, quali legami deve avere con le reti esterne, come la rete territoriale dei servizi”.
L'assistenza ai malati rari richiede “una serie molto complessa e articolata di interventi, che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero Sistema Sanitario Nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere realmente soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono in parte dalla complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche patologie presentate dai pazienti e dalla molteplicità dei soggetti coinvolti per fornire loro un servizio adeguato; in parte dalla obiettiva diversità dei sistemi sanitari regionali soprattutto sotto il profilo della qualità; in parte, infine, da elementi strutturali, alcuni dei quali potrebbero essere fin da ora oggetto di azioni positive di miglioramento”.
Altro nodo cruciale riguarda
i Centri di riferimento per le malattie rare. “Come sottolineato anche dal responsabile del progetto Orphanet – ricorda Binetti - è opinione condivisa che un Centro di riferimento debba essere costituito da più unità operative e questo fatto implica non solo una riflessione importate sulla sua organizzazione interna ma anche una modalità ben più articolata per rilevare la loro presenza sul territorio: quanti e quali sono e poter quindi validare la loro attività. Se è vero infatti che un Centro di riferimento è formato da più Unità operative, è altrettanto vero che una unità operativa può far parte di più Centri di riferimento”.
Una unità operativa di genetica, ad esempio, “proprio per la sua specifica competenza scientifica e funzionale, può far parte di più Centri di riferimento con cui mantiene stretti rapporti di collaborazione”. Comunque non avrebbe senso “moltiplicare unità operative molto avanzate che necessitano di competenze altamente specialistiche e dotazioni tecnologiche particolarmente sofisticate; è molto più utile rafforzare con politiche opportune, anche di natura economica, questi nodi di eccellenza della rete, in cui la diagnostica può essere fatta in tempi molto più brevi e in modi molto più sicuri, facendo giungere ai vari Centri i risultati ottenuti”. I Centri, in compenso, “dovrebbero essere in grado di fornire al malato risposte integrate ed omnicomprensive non solo sul piano diagnostico, ma soprattutto sul piano della presa in carico multi-specialistica, risparmiandogli una migrazione da un luogo all'altro in cerca di una soluzione ottimale, sempre aggiornata, per la complessità dei suoi disagi”.
Il documento segnala inoltre che tra gli obiettivi richiesti ad un Centro di riferimento per le malattie rare “occupa un posto di particolare rilievo la sua possibilità di
lavorare in rete con il più alto numero possibile di punti nascita, dove dovrebbe diventare urgente e necessario procedere ad uno screening neonatale esteso, con parametri uguali sul piano nazionale, per rimuovere una delle principali discriminazioni che si danno nel nostro Paese: quella per cui nascere in una regione o in un'altra, e addirittura in una città o in un ospedale piuttosto che in un altro, costituisce una garanzia maggiore o minore rispetto al proprio diritto alla salute”.
Nel complesso i due obiettivi irrinunciabili a livello della sintesi che ogni Centro deve sapersi porre sono:
la ricerca scientifica e l'elaborazione di percorsi terapeutico-assistenziale altamente personalizzati. “Obiettivi resi possibili – chiarisce il testo - solo nel caso che ci sia davvero una adeguata capacità di diagnosi, di follow-up e di presa in carico dei pazienti, con un volume di attività significativo, rispetto alla prevalenza delle diverse malattie. Dalla intensità e dalla qualità del lavoro svolto scaturirà quella competenza necessaria per dare pareri qualificati anche ad altri interlocutori, con il giusto grado di autorevolezza, mostrando di saper mantenere un approccio multidisciplinare lungo tutto l'arco della vita del paziente. Di conseguenza è facile immaginare che “ci siano unità operative technology-oriented e Centri di expertise disease-oriented. Entrambi necessari ma non sufficienti, a meno che non siano fortemente integrati tra di loro, sapendo rispettare le reciproche competenze in una visione unitaria che ponga realmente il paziente al centro della loro attenzione”.
Nel testo viene ribadito che lo stato della ricerca scientifica in Italia “è un argomento di fondamentale e di primaria importanza non solo per il futuro del Paese, ma molto spesso assume carattere di urgenza per la vita e la qualità di vita delle persone affette da malattie rare”. Si fa infatti ricerca scientifica “sia in ambito accademico che negli IRCCS o nella molteplicità degli Enti di ricerca, spesso in stretta collaborazione con le grandi case farmaceutiche, nella speranza di arrivare a farmaci sempre più efficaci e risolutivi. Il dibattito è molto aperto anche in ambito politico, soprattutto nel momento di valutare le risorse da destinare alla ricerca in questo campo così complesso e delicato”. E’, in ogni caso, difficile” trovare una convergenza di opinioni sia sulla quantità che sulla qualità della ricerca in Italia, sul posizionamento dell'Italia in ambito mondiale, e sulle cause che hanno prodotto questo stato di cose e di conseguenza sulle misure da assumere per migliorarlo, se necessario”.
Dalla rete delle
Associazioni di Pazienti con malattia rara, in collaborazione con professionisti disponibili a lavorare insieme ai rappresentanti di varie istituzioni, “è scaturito un profilo di qualità altamente desiderabile per i Centri di riferimento per le malattie rare, che varrebbe la pena aver presente al momento di proporre alcuni di questi centri per il circuito delle ERN. Si tratta di 14 parametri a cui corrispondono molti altri sottoparametri, che danno la misura della capillarità con cui per molti mesi le associazioni di pazienti hanno lavorato per dire con chiarezza cosa si aspetterebbero dalla sanità in termini di qualità di cura e di assistenza”.
Risulta quindi evidente l'attenzione prestata dalle associazioni di pazienti “al tema della qualità percepita dai pazienti e dai loro familiari e in questa chiave spiccano richieste come quelle che sottolineano i tempi di attesa per accedere ai servizi del Centro e le modalità, con un esplicito riferimento in termini di spazio aia alle barriere architettoniche che limitano gli accessi, sia ai luoghi in cui le famiglie sono accolte e possono interagire con il personale del centro”. E’ comunque importante “notare come le famiglie abbiano cercato indicatori con un preciso riscontro oggettivo, dei veri e propri descrittori, che vanno oltre le semplici autodichiarazioni, in genere assai parziali”.
In definitiva
il prossimo Piano nazionale 2017-2020 “dovrà mettere in atto una serie di azioni innovative che consentano di ridurre ulteriormente la variabilità dei servizi offerti ai pazienti, facilitandone l'accessibilità, con l'abbattimento delle code di attesa e con l'abolizione delle barriere architettoniche; puntando sulla possibilità di ottenere diagnosi più precoci e precise; piani di trattamento sempre più personalizzati e inclusivi degli aspetti socio-professionali, accesso ai farmaci off label o prodotti all'estero, anche attraverso il fondo Aifa. Gli Ern potranno facilitare gli obiettivi del PNMR 2017-2020 se saranno stati selezionati sulla base dei parametri già descritti e rigorosamente fondati sulle buone pratiche dell'EBM e dell'EBHT”.
Ci sono degli aspetti strutturali dei servizi offerti che sono suscettibili di “specifiche azioni di miglioramento, fattibili nell'immediato, a cominciare dall'istituzione del Comitato Nazionale, previsto dal Piano nazionale delle malattie rare, ma non ancora attivo. Di questo Comitato dovrebbero far parte non solo il Ministero della salute, con i suoi organismi tecnici Aifa, Iss, Agenas, gli altri Ministeri per quanto di loro competenza, a cominciare dal Miur e dal Mef, e la Conferenza delle Regioni, ma soprattutto le associazioni di pazienti, con l'obiettivo specifico di delineare le linee strategiche da attuare nei settori della diagnosi e della assistenza, della ricerca e della formazione, con particolare attenzione alla promozione sociale e professionale delle persone con malattie rare”.
Un ruolo particolare in sede di Comitato dovrebbero occuparlo anche quei ‘malati rari’ – suggerisce infine il documento - “che sono diventati pazienti esperti e che ora stanno cercando di valorizzare le proprie conoscenze in tutti i contesti sociali e sanitari, perché è sempre più chiaro il loro ruolo di supporter di un qualsiasi processo decisionale, che li riguardi sia direttamente che indirettamente”.
17 luglio 2015
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Governo e Parlamento