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Senato. De Filippo su nomine Css: “Ad oggi non si rilevano problemi di possibili incompatibilità riguardo nomine Ferrara e Stirpe” 


Così il sottosegretario al Senato, dove ha risposto anche ad un'interrogazione sul decesso dopo trapianto al San Camillo di Roma chiarendo che è stata inviata una circolare a tutti i centri di trapianto sulle corrette modalità di identificazione del gruppo sanguigno dei soggetti in lista d'attesa e ad un'altra sull'offerta di assistenza chirurgico-oncologica alle pazienti all'interno del Policlinico romano Umberto I.

14 OTT - Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, è intervenuto questa mattina in commissione Igiene e Sanità al Senato per rispondere a tre interrogazioni. La prima, presentata da Michela Montevecchi (M5S), riguardava un possibile conflitto di interessi di due neonominati componenti del Consiglio superiore di sanità. In particolare, nell’interrogazione si fa riferimento alla nomina di Napoleone Ferrara, “da ritenersi strettamente coinvolto nella vicenda Avastin-Lucentis, essendo i due composti frutto delle sue ricerche”, e Mario Stirpe, il quale “è invece presentato con il titolo di "presidente Irccs ‘Fondazione G.B. Bietti’ di Roma per lo studio e la ricerca in Oftalmologia-Istituto di Ricovero". De Filippo ha spiegato che “il Css ha espresso, avvalendosi del qualificato contributo professionale del professor Mario Stirpe, componente della Sezione II, invitato a partecipare alle riunioni della Sezione V senza diritto di voto - elemento che appare non trascurabile - un esaustivo parere tecnico-scientifico nella riunione del 15 aprile 2014. Il CSS non ha espresso nessun ulteriore parere sulla questione Avastin/Lucentis”. Ad oggi, quindi, “non si rilevano i problemi sollevati nell'interrogazione”.

Questa la risposta integrale di De Filippo: “Al riguardo, i componenti non di diritto del Consiglio superiore di sanità (CSS) sono stati nominati con decreto del Ministro della salute del 25 luglio 2014, in conformità a quanto previsto dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 44, come modificato dall’articolo 27, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, e, in particolare, dal comma 2 del medesimo articolo, che prevede: ‘I componenti non di diritto del Consiglio superiore di sanità sono individuati tra docenti universitari, dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale, soggetti particolarmente qualificati nelle materie attinenti alle competenze istituzionali del Consiglio stesso e tra appartenenti alla magistratura ordinaria, amministrativa, contabile e agli avvocati dello Stato’. Inoltre, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 11, del decreto ministeriale 6 agosto 2003, n. 342, e successive modificazioni, recante il regolamento sulla composizione e l'ordinamento del Consiglio superiore di sanità: ‘I componenti del Consiglio superiore di sanità, sono tenuti a: a) rispettare l'obbligo di riservatezza; b) non utilizzare gli elementi acquisiti o dei quali siano comunque venuti a conoscenza per finalità e scopi meramente privati; c) non assumere iniziative idonee a creare pregiudizi all'attività istituzionale e alle finalità perseguite dal Ministero della salute. La violazione della presente disposizione comporta la decadenza dall'incarico, nel rispetto della procedura di cui all'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241’. In coerenza con quest'ultima disposizione, i componenti del Consiglio superiore di sanità nella seduta di insediamento del medesimo organismo ricevono copia del predetto regolamento e firmano una nota con la quale si impegnano a rispettare detti obblighi e, qualora nel corso dell’attività istituzionale si trovino in una situazione di conflitto di interessi di ordine personale o familiare, a darne tempestiva notizia al Presidente del CSS o al Presidente della Sezione di appartenenza e ad astenersi dalla partecipazione alla discussione e alla deliberazione in merito ad argomenti per i quali sussista detto conflitto.

Ciò premesso, con riferimento alla specifica questione Avastin /Lucentis, rammento che la stessa è già stata approfonditamente affrontata, nella precedente consiliatura, dalla Sezione V del CSS. Tale sezione ha espresso, avvalendosi anche del qualificato contributo professionale del professor Mario Stirpe, componente della Sezione II del CSS, invitato a partecipare alle riunioni della Sezione V senza diritto di voto - elemento che appare non trascurabile - un esaustivo parere tecnico-scientifico nella riunione del 15 aprile 2014. Il CSS non ha espresso nessun ulteriore parere sulla questione Avastin/Lucentis. La Società oftalmologica italiana (SOI) ha inoltrato alla Presidenza del Consiglio superiore di sanità, con nota del 16 settembre 2014, una richiesta di audizione a seguito del parere espresso dallo stesso Consiglio nella seduta del 15 aprile 2014. Tale richiesta è stata posta all’ordine del giorno della riunione del Comitato di Presidenza del CSS del 14 ottobre 2014. Il Comitato di Presidenza ha ritenuto che la questione evidenziata dalla Società e, in generale, tutta la questione Avastin/Lucentis, fosse stata già approfonditamente affrontata nella precedente consiliatura dalla Sezione V del CSS, che ha espresso al riguardo un parere tecnico-scientifico e ha sottolineato che, ai fini della espressione del citato parere, il Presidente della SOI, era stato già sentito in audizione, nella seduta straordinaria della Sezione V del 14 aprile 2014. Pertanto, l’istanza di audizione presentata dalla SOI è stata rigettata con nota del 21 novembre 2014. Ad oggi, non si rilevano i problemi sollevati nell'interrogazione”.
 
In sede di replica la senatrice Montevecchi si è dichiarata “non soddisfatta” della risposta ricevuta.

E’ stato poi il turno di Serenella Fucksia (M5S) e della sua interrogazione inerente un caso di decesso all'ospedale San Camillo di Roma a seguito di trapianto di fegato. De Filippo ha spiegato che, durante l’intervento, “veniva evidenziata l'incongruenza della tipizzazione proveniente dal Centro Trasfusionale del San Camillo (gruppo A), con la precedente tipizzazione dell'11 febbraio 2013 (gruppo AB)”. “Nonostante l’evento avverso, l'organismo del ricevente ‘accettava’ il fegato senza eventuali problemi legati alle possibili incompatibilità dovute ai due gruppi sanguigni diversi – ha proseguito – la necessità di procedere con un secondo trapianto non è stata motivata dall’incongruenza del gruppo sanguigno tra donatore e ricevente, ma dal fatto che quel fegato, a un certo punto, ha iniziato a non funzionare più come avrebbe dovuto”. Da allora il Cnt, d'intesa con il Ministero della salute, ha inviato una comunicazione a tutti i centri trapianto italiani, contenente la richiesta di verificare che l'identificazione del gruppo sanguigno dei soggetti in lista d’attesa del trapianto fosse stata effettuata presso un centro trasfusionale, nonché l’indicazione di ripetere l'esame laddove ciò non fosse stato fatto.
 
Questa la risposta integrale di De Filippo: “In merito alla vicenda segnalata nell’interrogazione parlamentare in esame, evidenzio che il Centro nazionale trapianti (CNT) presso l’Istituto superiore di sanità ha precisato quanto segue. Il paziente è stato ricoverato presso l'Istituto "Spallanzani" di Roma, in data 4 febbraio 2013, per cirrosi epatica scompensata in HBV. Nel corso del ricovero, sono stati eseguiti alcuni accertamenti diagnostici finalizzati ad un possibile trapianto di fegato. Tra questi esami veniva eseguita anche la tipizzazione del gruppo sanguigno presso il Laboratorio di Biochimica clinica e farmacologia dello "Spallanzani" e veniva resa disponibile nel sistema Lab. in data 11 febbraio 2013, con la seguente dicitura: "SISTEMA AB0: AB si consiglia centro specialistico; sistema RhD POSITIVO". Nel mese di marzo 2013 veniva eseguito un secondo ricovero, nel quale venivano completati gli ulteriori accertamenti diagnostici propedeutici all'inserimento nella lista di attesa, che avveniva effettivamente in data 14 marzo 2013: in tale occasione il gruppo sanguigno riportato era AB positivo. Il paziente veniva poi contattato nel mese di dicembre del 2014 per un possibile trapianto, e veniva ricoverato il 17 dicembre. In quella occasione, in vista dell’intervento, venivano richieste al Centro Trasfusionale del "San Camillo" di Roma sacche di sangue e plasma. Il Centro Trasfusionale eseguiva a tal fine la determinazione del gruppo sanguigno, accertando questa volta un gruppo "A". Tuttavia, tale trapianto non era poi eseguito, con la conseguenza che le sacche non venivano mai consegnate e che, pertanto, anche la rideterminazione del gruppo non veniva comunicata né resa nota. Il 7 marzo 2015 il Centro nazionale trapianti offriva al Centro regionale trapianti (CRT) Lazio un fegato di gruppo AB: tale fegato veniva accettato per il paziente che era nuovamente ricoverato per un possibile trapianto di fegato. Nel corso dell'intervento, giungevano in sala operatoria le sacche di sangue e plasma precedentemente richieste, come da protocollo. In quel momento veniva evidenziata l'incongruenza della tipizzazione proveniente dal Centro Trasfusionale del San Camillo (gruppo A), con la precedente tipizzazione dell'11 febbraio 2013 (gruppo AB).
 
A quel punto veniva prontamente avvertito il CRT, al fine di verificare l'eventuale disponibilità immediata in ambito regionale o nazionale di un organo compatibile: tale verifica tuttavia dava esito negativo. Il direttore del CNT autorizzava il direttore della Unità di Chirurgia generale e trapianto d'organo a procedere con un intervento di trapianto AB0 incompatibile, ed attivava gli esperti nazionali al fine di dare un adeguato supporto all'equipe chirurgica ed anestesiologica. L’intervento chirurgico si concludeva con esito positivo. Le condizioni cliniche generali e le funzioni epatiche del paziente miglioravano progressivamente e si stabilizzavano nel giro di alcuni giorni. Successivamente, nel mese di aprile, aveva luogo un peggioramento e, in data 28 aprile 2015, il paziente veniva segnalato per il programma nazionale delle urgenze. Il 1° maggio 2015 il paziente veniva sottoposto ad un secondo trapianto di fegato. Come emerge dalla ricostruzione dei fatti, il paziente riceveva, per un errore commesso nella fase della tipizzazione, un fegato proveniente da un donatore con gruppo sanguigno diverso. Nonostante l’evento avverso, l'organismo del ricevente "accettava" il fegato senza eventuali problemi legati alle possibili incompatibilità dovute ai due gruppi sanguigni diversi. L’organo, infatti, ha funzionato per un lungo periodo e la necessità di procedere con un secondo trapianto non è stata motivata dall’incongruenza del gruppo sanguigno tra donatore e ricevente, ma dal fatto che quel fegato, a un certo punto, ha iniziato a non funzionare più come avrebbe dovuto. Nel caso in esame, non si è verificato un problema di reazione avversa dovuta all’incompatibilità dei gruppi sanguigni. Se vi fossero stati problemi di questo tipo, si sarebbe potuto procedere con la sostituzione del fegato nei giorni immediatamente successivi al primo intervento chirurgico. La letteratura scientifica e la pratica clinica offrono riscontri positivi in ordine al trapianto in emergenza di organi in presenza di gruppi sanguigni diversi tra donatore e ricevente. Nel trapianto di rene da vivente, è diventata una pratica consolidata il trapianto di AB0 incompatibili, se le condizioni lo consentono.
 
Nel caso in esame, non appena verificata l'incongruenza dei gruppi sanguigni, si è intervenuti prontamente attivando d’urgenza una "task force" composta da esperti nazionali, che ha guidato il condizionamento immunologico per rendere compatibile il primo fegato trapiantato, conseguendo un ottimo risultato.
Il paziente, nella fase precedente all’intervento chirurgico, era stato sottoposto ad una serie di esami, ai fini di un possibile trapianto, presso il laboratorio dello "Spallanzani" e non presso un centro trasfusionale. Questo fatto ha spinto, all’indomani dell’accaduto, il CNT, d'intesa con il Ministero della salute, ad inviare una comunicazione a tutti i centri trapianto italiani, contenente la richiesta di verificare che l'identificazione del gruppo sanguigno dei soggetti in lista d’attesa del trapianto fosse stata effettuata presso un centro trasfusionale, nonché l’indicazione di ripetere l'esame laddove ciò non fosse stato fatto. Da oltre un anno tutti gli esami dei gruppi sanguigni dello "Spallanzani" sono effettuati da un centro trasfusionale. Il paziente, tra l'altro, presentava anticorpi anti B molto bassi, circostanza che spiega l’assenza, dopo il primo trapianto, di reazioni immunologiche significative all’organo di gruppo sanguigno diverso”.
 
In sede di replica la senatrice Fucksia ha evidenzato il proprio sconcerto per l'evento oggetto dell'interrogazione. Al riguardo ha rilevato che non si può considerare come corrispondente alla prassi una procedura come quella seguita nel caso di specie, sollecitando pertanto la definizione di linee guida uniformi per l'attività dei centri trapianto e dei centri trasfusionali. Segnala inoltre un evidente problema di responsabilità, in merito al quale occorre fare chiarezza, anche per i costi che ne sono derivati a carico del Servizio sanitario nazionale. Alla luce di queste osservazioni, si dichiara parzialmente soddisfatta.
 
Infine, Carlo Giovanardi (Ap) ha illustrato la sua interrogazione inerente l'offerta di assistenza chirurgico-oncologica alle pazienti all'interno del Policlinico Umberto I. Il sottosegretario ha spiegato che la Direzione sanitaria dell'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, in data 21 maggio 2015, “ha identificato il professor Luciano Izzo quale referente dell'offerta operatoria eseguibile all’interno del Dipartimento di Chirurgia generale ‘P. Valdoni’, collegata alla degenza del Reparto di ‘Week Surgery’, dotato di posti letto a gestione dipartimentale”.

Questa la risposta integrale di De Filippo: “Al riguardo evidenzio che i dati per la risposta alla interrogazione parlamentare sono stati acquisiti presso la Regione Lazio - Direzione regionale Salute ed Integrazione sociosanitaria - Area Programmazione rete ospedaliera e ricerca. La Direzione sanitaria dell'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, in data 21 maggio 2015, ha identificato il professor Luciano Izzo quale referente dell'offerta operatoria eseguibile all’interno del Dipartimento di Chirurgia generale "P. Valdoni", collegata alla degenza del Reparto di "Week Surgery", dotato di posti letto a gestione dipartimentale. Il ruolo fiduciario viene giustificato anche dalla necessità di dare corso all'indicazione chirurgica in tempi rapidi e certi dopo la valutazione nell'ambito della "Breast Unit", attribuendo priorità ai casi particolarmente gravi, con l'obiettivo di evitare liste di attesa. Con la successiva nota del 10 giugno 2015, la stessa Direzione sanitaria ha ritenuto utile precisare che il "chirurgo referente" nell'ambito del Dipartimento "Valdoni" non è inteso come "unico chirurgo esclusivamente dedicato", ma viene identificato per farsi carico di riportare le necessità espresse nell'ambito delle riunioni settimanali della "Breast Unit", all'interno della organizzazione dipartimentale delle sedute operatorie nell'ambito della "Week-Surgery", anche con il coinvolgimento degli altri chirurghi del Dipartimento afferenti alla "Breast Unit". Nella piena attuazione delle direttive regionali, il "chirurgo referente" si attiverà per offrire alle pazienti un percorso preferenziale nel Dipartimento. Tale ruolo prevede anche una programmazione, d'intesa con la professoressa Maria Luisa Basile, coordinatore delle attività clinico assistenziali di Palazzo Baleani, allo scopo di continuare ad assicurare alle pazienti provenienti dal Centro un percorso chirurgico preferenziale e condiviso, secondo quanto stabilito nelle riunioni settimanali della "Unità Mammella". Dopo un adeguato periodo di sperimentazione, se valutato positivamente, la Direzione sanitaria potrà identificare con lo stesso ruolo altri "chirurghi dedicati" negli altri Dipartimenti funzionalmente coinvolti.
 
Con ulteriore nota del 12 agosto 2015, la Direzione sanitaria ha inteso ribadire, in merito all'identificazione del professor Luciano Izzo come "chirurgo referente" per l'Unità Mammella (Breast Unit), che tale ruolo è parte dell'obiettivo di miglioramento continuo dell'offerta assistenziale aziendale.
Infatti, la Direzione sanitaria ha istituito, con delibera aziendale n. 466 del 29 luglio 2013, l'Unità Mammella (Breast Unit) e nominato il professor Massimo Monti coordinatore del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale dedicato alla mammella (PDTA). Come elemento caratterizzante del PDTA è stata inserita la sede territoriale extra-ospedaliera di Palazzo Baleani, che da anni offre all'utenza femminile l'opportunità di una valutazione diagnostica dedicata alla mammella, senza necessità di prenotazione per l'accesso alle prestazioni e con la possibilità di una risposta refertata nella stessa giornata (con delibera n. 144 del 17 marzo 2014 è stata identificata la professoressa Maria Luisa Basile coordinatrice delle attività clinico assistenziali). La Direzione sanitaria ha inteso contribuire alla massima riduzione dei tempi d'attesa per l'effettuazione dell'intervento operatorio presso il Policlinico Umberto I per tutti i casi di diagnosi precoce oncologica valutati presso Palazzo Baleani, inserendo nell’offerta chirurgica dedicata al PDTA Unità Mammella il modello "Week Surgery", attivo in due distinti Dipartimenti chirurgici. L'identificazione del professor Luciano Izzo rientra nello specifico obiettivo di valutare le potenzialità assistenziali del modello sperimentale di "Week Surgery" attivo presso il Dipartimento chirurgico "P. Valdoni", dotato di posti letto a gestione dipartimentale, che ben si presta al modello di offerta chirurgica non legata ad una Unità operativa complessa di riferimento, con conseguente aumento della possibilità di inserimento nelle sedute operatorie settimanali ed il relativo abbattimento delle liste d'attesa. Il ruolo del professor Luciano Izzo, deve essere necessariamente espletato "in loco" presso Palazzo Baleani, contemplando anche le attività di sala operatoria, ambulatoriali e ordinarie di reparto, da svolgersi presso il Dipartimento "P. Valdoni" all'interno del Policlinico Umberto I, compreso l'onere di studio, didattica e ricerca in qualità di docente universitario dell'Università "La Sapienza". La stessa Direzione sanitaria ha sottolineato che ogni iniziativa relativa all'espletamento del ruolo attribuito al professor Luciano Izzo, deve coordinarsi, per tutte le questioni inerenti ai percorsi terapeutici, con il professor Massimo Monti, e con il professor Giorgio De Toma per tutte le problematiche inerenti l'attività chirurgica nel Dipartimento "P. Valdoni" e prevedere: "una programmazione d'intesa con la professoressa Maria Luisa Basile, in qualità di coordinatore delle attività clinico assistenziali di Palazzo Baleani", in piena adesione al principio di multidisciplinarietà dei PDTA”.

In sede di replica il senatore Giovanardi evidenzia come dalla risposta ricevuta si comprenda che il professor Izzo ha ricevuto un incarico per l'espletamento del quale deve coordinarsi con altri medici operanti nella stessa struttura. Di fatto però il professor Izzo non può espletare l'incarico ricevuto a causa della opposizione della professoressa Basile, sebbene tutta la procedura sia regolare e pertanto non si comprende quali possano essere i motivi di opposizione. Pur dichiarandosi soddisfatto per la risposta ricevuta, segnala il problema di stratificazione di competenze in materia sanitaria generato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, giacché tale materia è ora demandata alle Regioni e, per gli aspetti operativi, ai dirigenti sanitari. Invita pertanto a risolvere il problema segnalato nell'interrogazione, in presenza di una procedura che appare del tutto regolare.

14 ottobre 2015
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