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Responsabilità professionale. Audizione in Senato di Fondazione Sicurezza in Sanità. “Ecco i punti da preservare e quelli da cambiare”


La ratio del Ddl contribuisce “a limitare lo stato di ansia e di risentimento che ingenera ed accresce l’ambito di applicazione della medicina difensiva”, ma alcuni punti del testo sono da limare. Queste alcune delle osservazioni emerse nel corso dell’audizione  richiesta dalla “Fondazione Sicurezza in Sanità” in Commissione Igiene e Sanità

07 APR - “I professionisti tutti non possono che salutare con grande soddisfazione l’intento del legislatore di tipizzare e punire specificamente, in ambito penale, la condotta colposa del sanitario che cagioni lesione o morte del paziente con un titolo specifico e diverso dall’omicidio colposo. L’articolo 6 del introduce, come noto, l’articolo 590-ter che è così rubricato ‘Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario’. Tale definizione dell’illecito penale sanitario che cagioni lesioni o morte varrà a limitare l’oltraggio mediatico che quotidianamente viene perpetrato ai danni di tantissimi medici. Tale innovazione non appare nel disegno di legge come positiva intrusione ma rispetta lo spirito e la ratio della norma ovvero contribuisce a limitare quello stato di ansia e di risentimento che ingenera ed accresce l’ambito di applicazione della medicina difensiva”.
 
È quanto ha sostenuto da Giuseppe Macrì, docente di Medicina Legale presso l’Università di Siena, responsabile Network Medico-giuridico di Federsanità, nel corso dell’audizione, il 5 aprile scroso, presso la XII Commissione del Senato “Igiene e Sanità” in merito all’esame del disegno di legge “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”. Audizione richiesta dalla “Fondazione Sicurezza in Sanità” rappresentata dal Presidente Vasco Giannotti.
 
“Altro momento da preservare immodificato – ha aggiunto Macrì –  è costituito dalla previsione di cui all’articolo 5 ‘buone pratiche cliniche-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida’ segnatamente laddove si prevede che gli esercenti le professioni sanitarie debbano far riferimento ‘salve le specificità del caso concreto’, alle buone pratiche cliniche assistenziali ed alle raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate dalle società scientifiche iscritte in apposito elenco.  Si vuole qui consolidare l’orientamento normativo indicato dalla legge 189/2012 (Legge di conversione Decreto Balduzzi), definitivamente indicando la precisa scelta del legislatore di tutelare come bene giuridico l’esercizio della medicina secondo regole esperienziali, non solo correttamente sperimentate ma codificate e validate, lasciando comunque al professionista la libertà e l’onere di adattare le medesime al caso specifico o finanche di disattenderle in relazione alla ‘specificità del caso concreto’.
 
Si tratta di una norma di bilanciamento tra il diritto (deontologicamente e costituzionalmente tutelato) del medico all’esercizio libero e incondizionato della professione e l’esigenza collettiva di prevenire situazioni di errori e di rischio sanitario e di contrastare sporadiche ma ricorrenti tendenze, anche speculative, di quei professionisti che impongono e propongono trattamenti e cure autoreferenziali, non validate ed a volte antiscientifiche (vogliamo qui ricordare i tanti casi di cronaca, cura Di Bella, il trattamento Stamina o le più recenti false attribuzioni di gravi effetti collaterali alla profilassi vaccinale)”.
 
C’è di più, prosegue Macrì “l’innovazione normativa consolidata dall’articolo 5 evita il proliferare della cosiddetta medicina di fonte giurisprudenziale. Troppo spesso, infatti, le scelte diagnostiche o terapeutiche dei medici vengono quantomeno condizionate da, spesso improbabili, affermazioni di apparente natura tecnico-scientifica, riportate ed esaltate nel corpo di alcune sentenze. Si viene così a creare un’indebita e dannosa interferenza tra produzione scientifica e prassi applicativa sanitaria. Orbene, il richiamato monito della norma ad attenersi alle buone prassi ed alle linee guida varrà anche a sanare tale momento di turbativa nel rapporto tra scienza e applicazione professionale”.
 
E ancora, per Macrì, il maggior pregio dell’articolato pervenuto all’attenzione della XII Commissione del Senato, risiede senz’altro nella previsione dell’articolo 8 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). “I risultati di un monitoraggio triennale compiuto sui ricorsi ex art. 696 bis c.p.c. proposti dinnanzi al Tribunale di Arezzo – spiega l’esperto –  consentono di affermare che, se ben utilizzato, l’istituto della Consulenza Tecnica Preventiva è idoneo a consentire, in oltre il 50% dei casi, la definizione bonaria delle controversie in cui la Consulenza Tecnica d’Ufficio risulti  momento istruttorio esclusivo o predominante (e tale percentuale cresce addirittura al 70% proprio nelle controversie concernenti la responsabilità sanitaria). Vale altresì ricordare come anche in quei casi che, nel cennato monitoraggio, non sono pervenuti ad una composizione stragiudiziale, il successivo iter processuale sia stato significativamente più veloce rispetto ai tempi consueti del processo di cognizione, dato che, come previsto dall’art. 696 bis  c.p.c,. la Consulenza Tecnica d’Ufficio esperita in fase preventiva è stata acquisita al giudizio ordinario, in tal modo rendendo non necessario lo svolgimento di un’ulteriore consulenza e costituendo un efficace momento di accelerazione per la definizione del giudizio”.  
 
Riteniamo, ha aggiunto, “che la previsione della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. così come formulato dall’art. 8 Ddl N. 2224, attualmente in valutazione presso la XII Commissione del Senato della Repubblica, sia idonea a perseguire la triplice finalità di:
1.              consentire al cittadino danneggiato un equo e tempestivo riscontro in sede consulenziale, con garanzie tecniche e procedurali identiche a quelle della sede contenziosa ordinaria;
2.              ridurre il carico processuale degli Uffici Giudiziari, atteso che l’intervento del giudice si riduce, nella stragrande maggioranza dei casi, al conferimento di un incarico di consulenza (senza che la sua attività rischi di essere svolta inutilmente, dato che, in caso di mancata conciliazione, potrà essere comunque utilizzata nel giudizio ordinario);
3.              restituire velocemente serenità al professionista indebitamente accusato.
Confidiamo pertanto che la Commissione e l’aula approvino l’art. 8 del nominato D.L. senza alcuna significativa modifica”.  
 
Siamo consapevoli che alcuni portatori di interessi in relazione all’istituto della Mediazione chiederanno alla Commissione di prevedere tra le condizioni di procedibilità della domanda di risarcimento - oltre al ricorso ex art. 696 bis - anche la Mediazione civile e commerciale ex d. Igs. 28/2010. Siffatta richiesta trova esclusiva motivazione corporativa. L’esigenza di sostituire la Consulenza tecnica preventiva alla Mediazione deriva invece proprio dall’acclarato fallimento di quest’ultima. È noto, infatti, come la natura per certi versi atecnica e metagiuridica della procedura di mediazione sia inapplicabile alle controversie civili il cui thema decidendum verta sulla soluzione di problemi tecnici o specialistici di particolare complessità. È invece proprio la natura tecnica dell’accertamento di cui all’art. 696 bis che costituisce momento di pregio della scelta dell’odierno legislatore. È risaputo, e finanche ammesso anche da illustri Magistrati come le controversie di responsabilità sanitaria siano, nella quasi totalità dei casi, risolte dal consulente tecnico e come pertanto la Consulenza Tecnica costituisca il mezzo istruttorio principale (se non esclusivo) nelle controversie per l’accertamento o l’esclusione della responsabilità sanitaria e, contestualmente, per l’accertamento e la valutazione dei danni. La consulenza viene di norma esperita, in sede endoprocessuale, mediamente dopo quindici mesi dall’inizio della causa. Essa importa una sostanziale sospensione del processo per sei-dodici mesi secondo la complessità. È di tutta evidenza che, laddove l’accertamento tecnico preceda – come previsto dall’articolo 8 del Disegno in esame – l’inizio della causa, questa sarà evitata (con la definizione bonaria) o, comunque, godrà di una rilevantissima riduzione della durata.
 
L’articolo 15 prevede: “1. Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria implicanti la valutazione di problemi tecnici complessi, l’autorità giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento ...”
 
Il punto 1 dell’articolo 15 riveste particolare importanza sostanziandosi in una norma di equilibrio tra l’interesse generale ad un corretto accertamento, qualitativo e quantitativo, dei danni da malprassi sanitaria e l’interesse specifico e convergente dei professionisti chiamati a rispondere  del loro operato. Essa inoltre ha il merito di raccordare la prassi giudiziaria di nomina dei consulenti e dei periti con il disposto del Codice Deontologico di cui all’articolo 62 prevede: “In casi di particolare complessità clinica ed in ambito di responsabilità professionale, è doveroso che il medico legale richieda l’associazionecon un collega di comprovata esperienza e competenza nella disciplina coinvolta”.
 
Orbene la formulazione del Disegno di Legge come giunta al Senato presenta un inciso che ne vanifica l’efficacia (implicanti la valutazione di problemi tecnici complessi). In sintesi, l’attuale formulazione del punto 1 lascia ampia (troppa!) discrezionalità al giudice circa l’applicazione o meno del proprio dispositivo. Inoltre pone il consulente medico legale, chiamato dal Giudice ad assumere un incarico di consulente o di perito in forma monocratica, nel dilemma tra rispettare la volontà del Magistrato o l’obbligo deontologico per l’inosservanza del quale potrebbe essere chiamato a rispondere dinnanzi alla specifica Commissione disciplinare dell’Ordine professionale. Tutte le società scientifiche hanno richiamato , sul punto, l’attenzione del Legislatore. I casi di responsabilità sanitaria implicano sempre, ineludibilmente, la valutazione di problemi tecnici complessi”.
 
“Confidiamo pertanto – ha concluso Macrì – che la Commissione voglia ripristinare il testo originario del punto 1, ovvero emendare l’attuale sottraendo l’espressione “implicanti la valutazione di problemi tecnici complessi”.
 
 
 
 

07 aprile 2016
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