Dalla Legge di Bilancio capiremo se il servizio pubblico ha un futuro
di Giorgio Cavallero (Cosmed)
I provvedimenti di decurtazione del salario accessorio dei dipendenti pubblici dei precedenti governi anche in presenza di una riduzione del numero degli occupati devono essere revocati, per restituire dignità a quanti con organici ridotti devono mantenere la produzione di beni e servizi. Queste assurde misure di austerità non solo non hanno prodotto alcun risparmio, ma hanno ulteriormente depresso la produttività
16 NOV - La legge di bilancio per il 2017 chiarirà definitivamente quali sono le reali intenzioni del governo nei confronti del servizio pubblico.
I lavoratori del servizio pubblico hanno pagato duramente la crisi, privi di contratto da 7 anni hanno visto ridursi perfino le retribuzioni in godimento, sono stati persi oltre 300.000 posti di lavoro, mentre il monte salari annuo del settore pubblico si è ridotto dal 2010 di oltre 10 miliardi di euro.
Gli stessi lavoratori pubblici hanno sopportato un peso fiscale senza uguali, con norme specifiche vessatorie quali il sequestro delle liquidazioni e molte altre norme “speciali” penalizzanti. A fronte della perdurante evasione si è esacerbata la riscossione per quanti pagano, da sempre, tutti i tributi.
Gli aumenti contrattuali che si propongono sono davvero poca cosa e non consentiranno neppure il recupero del differenziale inflattivo rispetto all’ultimo contratto, ancorché assai modesto.
Ad esasperare il contesto sono i provvedimenti di incentivazione della produttività che la legge di bilancio, al momento, riserva al solo al settore privato.
Si tratta di un provvedimento condivisibile in generale, che prevede la detassazione e la decontribuzione del salario di produttività, incrementando l’offerta di beni e servizi per dare impulso alla crescita, unica ricetta per uscire dalla stagnazione.
Le ragioni per cui da questo investimento restano paradossalmente esclusi solo i dipendenti pubblici è incomprensibile.
La sfida della crescita non può essere vinta escludendo una parte del Paese, è necessario coinvolgere tutti i soggetti interessati, anche i dipendenti pubblici.
Inoltre se si sono trovate le risorse per 18 milioni di dipendenti privati non si comprende per quale motivo l’estensione dei benefici a 3,5 milioni di dipendenti pubblici comporti un incremento di spesa insopportabile. E’ in gioco la dignità del lavoro pubblico: se dovesse perdurare questa discriminazione sarebbe del tutto evidente e innegabile la scelta politica di residualizzare il servizio pubblico avviandone la progressiva liquidazione a vantaggio del privato.
Significherebbe proseguire con incentivi al settore privato e contemporanea penalizzazione del lavoro pubblico.
Non si tratta di aumentare le retribuzioni, ma di uniformare la tassazione sul salario accessorio, in godimento, tra pubblico e privato.
La disparità di trattamento fiscale per uguali voci retributive costituirebbe infine discriminazione di dubbia costituzionalità che, se mantenuta, non potrà che essere oggetto di istanza presso la Suprema Corte.
Per contro l’estensione del beneficio al settore pubblico costituirebbe un forte incentivo per la stipula del contratto nazionale, scaduto da sette anni, nonché per l’avvio della contrattazione decentrata di secondo livello.
L’introduzione di incentivi fiscali correlati a risparmi aziendali può contribuire in maniera significativa alla lotta agli sprechi e alla stessa spending review.
Infine anche la valorizzazione del merito nel settore pubblico, finalità dichiarata della riforma della pubblica amministrazione, non può essere privata di questo strumento incentivante.
Si tratta di dare un segnale ai dirigenti e dipendenti del settore pubblico incentivando “incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione” assolutamente necessari.
Troppo spesso la capacità produttiva di beni e servizi non viene utilizzata, perdendo importanti opportunità di crescita ed occupazione, in particolare la domanda di salute dei cittadini non trova completa risposta (come dimostrato dall’allungamento delle liste di attesa), limitando un settore con grandi potenzialità di sviluppo, in continua espansione in tutto il mondo, nonostante la crisi economica.
Il provvedimento inoltre creerebbe nel servizio sanitario nazionale una penalizzazione della sanità pubblica rispetto alla sanità privata e accreditata, alterando in modo evidente le regole della concorrenza.
I provvedimenti di decurtazione del salario accessorio dei dipendenti pubblici dei precedenti governi anche in presenza di una riduzione del numero degli occupati devono essere revocati, per restituire dignità a quanti con organici ridotti devono mantenere la produzione di beni e servizi. Queste assurde misure di austerità non solo non hanno prodotto alcun risparmio, ma hanno ulteriormente depresso la produttività.
Infine i dipendenti pubblici non hanno, al momento, accesso neppure al welfare aziendale collegato alla contrattazione di secondo livello, che può realmente contribuire a migliorare il clima negli ambienti di lavoro.
E’ il momento di superare pregiudizi ideologici e discriminazioni nei confronti dei lavoratori pubblici che rivendicano, finalmente, una finanziaria buona anche per loro.
Giorgio Cavallero
Segretario Generale COSMED
16 novembre 2016
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