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05 MAGGIO 2024
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Intervista a Miotto. “Il PD non ce l'ha con le farmacie ma il sistema va ammodernato”

di Lucia Conti

Le farmacie non sono il nemico. Ne è certa Margherita Miotto, capogruppo del Pd alla Commissione Affari Sociali, che però non è per nulla soddisfatta di come sono andate a finire le liberalizzazioni dei farmaci. E poi ticket, lea, pensioni e Patto per la Salute su cui pesano gli 8 miliardi di tagli della manovra estiva

22 DIC - Si dice "sorpresa dell'allarmismo suscitato dalla norma sulla liberalizzazione dei farmaci" Anna Margherita Miotto, capogruppo Pd in commissione Affari Sociali. In ogni caso, in questa intervista esclusiva a Quotidiano Sanità, Miotto definisce la norma riformulata e approvata dalla Camera "totalmente priva di efficacia", perché potrebbe andare a finire che fuori dalla farmacia vadano pochissimi prodotti.
 
Guardando al futuro, Miotto si dice comunque preoccupata per il taglio al Ssn di 8 miliardi previstao dalla manovra del precedente governo che "rischia di mettere la sanità in ginocchio". A questo si aggiunge la riduzione dell'Iva regionale destinata al finanziamentio degli extra Lea, prevista dalla manovra Monti, che "comprimerà la possibilità delle Regioni di utilizzare la leva dell’addizionale per finanziare eventuali livelli aggiuntivi di assistenza". A proposito di Lea, Miotto lancia un appello al Governo perché "aggiorni la lista ma non la riduca" e perché, nei prossimi provvedimenti, "trovi le risorse per l'edilizia sanitaria, utile alla ripresa e alla qualità del Ssn, ma anche indispensabile per la riorganizzazione dei servizi prevista dai Piani di rientro". E infine sui ticket la posizione del Pd è chiara: "Non devono essere usati per far cassa ma per risurre i consumi inapprpriati".

Quanto alle pensioni, "paghiamo la schizofrenia degli ultimi anni di Governo" che ha comportato il passaggio "dalla rottamazione dei medici di 58 anni al loro mantenimento in servizio fino a 70 anni". Anche in questo ambito "occorre lavorare per creare un sistema stabile".

On. Miotto, si è detto che la sanità non è stata toccata dalla manovra Monti. È così?
Non esattamente. Sicuramente la manovra del Governo Monti non ha inciso sull’ammontare del fondo sanitario, ma non possiamo trascurare la riduzione dell’Iva, che è una delle voci per il finanziamento della sanità e che porterà alle Regioni entrate inferiori per 2,085 miliardi di euro, che saranno compensate da un corrispondente aumento dell’addizionale Irpef. Tuttavia questo spostamento di imputazione di spesa non è solo un fatto tecnico, ma ha un riflesso politico. Comprime infatti la possibilità delle Regioni di utilizzare la leva dell’addizionale per finanziare eventuali extra Lea, che altrimenti determinerebbero un disavanzo.
 
Si spieghi meglio.
L'Iva serviva a finanziare i Lea. Questo, invece, ora avverrà attraverso l'Irpef. Tuttavia la quota di Irpef, una volta innalzata, porterà nelle casse delle Regioni risorse pari a quelle fino ad oggi derivanti dall'Iva. In pratica, quindi, il gettito complessivo dell'Irpef servirà a coprire il finanziamento dei Lea al posto dell'Iva. Per finanziare gli extra Lea, invece, le Regioni sarebbero costrette ad aumentare ulteriormente l'Irpef, che però è già alta. Sarà quindi difficile chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini.

Le Regioni dovranno inoltre fare i conti con i tagli apportati con le manovre estive.
Appunto. È una questione che preoccupa molto, perché si tratta di una riduzione del fondo di 8 miliardi che ora sarà necessario gestire e come farlo? Sicuramente questo avverrà con il nuovo Patto per la Salute, ma nei fatti, in cosa si tradurrà? Ci auguriamo non in una compressione dei Lea, sui quali ci aspettiamo, da parte del Governo, un aggiornamento, ma per i quali rifiutiamo una riduzione.
Tutto questo ovviamente dovrà essere risolto attraverso il confronto con le Regioni. Mi sembra che il Governo, in questo senso, abbia fatto del confronto una delle sue linnee di forza. Il fatto è che il vero dibattito inizia ora ed è tutto da vedere come andrà. L’auspicio è che si riescano ad individuare le soluzioni più eque possibili.
 
In questo quadro i ticket giocheranno un ruolo fondamentale. Qual è la posizione del Pd anche in riferimento alla proposta del ministro Balduzzi di rimodularli in base al reddito e al nucleo familiare?
Noi non siamo contrari al ticket come strumento per contenere l’inappropriato consumo di farmaci e di prestazioni, però siamo assolutamente contrari al ticket come strumento per far cassa e finanziare il servizio sanitario.
Questo principio va sempre tenuto ben presente. Le rimodulazioni, poi, sono importanti proprio affinché il ticket abbia il suo effetto di “moderatore dei consumi” e non si tramuti in una penalizzazione per i cittadini che ne hanno effettivo bisogno. Ben vengano, quindi, le esenzioni per patologia e la proposta di Balduzzi di rimodulare la compartecipazione alla spesa del cittadino in base al reddito e al nucleo familiare. Tenga presente che la manovra prevede anche il riordino dell'Isee (l'Indicatore della situazione economica equivalente, ndr). La proposta di Balduzzi si inserisce in questo contesto e potrebbe essere un'importante innovazione. Non è infatti alle fasce di popolazione più fragili, in termini di salute o in termini economici, che è legato l’eccesso di ricorso alle prestazioni e ai farmaci.

C’è qualche altro punto sul quale auspica una particolare sensibilità da parte del Governo?
Quello sugli investimenti in edilizia sanitaria. Al momento non c’è stata alcuna iniziativa, anche se il ministro Balduzzi, nel corso dell’audizione in commissione Affari Sociali della Camera, si è mostrato molto sensibile alla questione. È necessario che il Governo trovi nei prossimi provvedimenti, che saranno prevalentemente improntati alla crescita, il modo di ripristinare i fondi per l’edilizia sanitaria, perché questa non è solo utile alla ripresa e alla qualità del Ssn, ma è anche indispensabile per l’attuazione dei Piani di rientro.

Ritiene che il Governo abbia intenzione di intervenire su questo capitolo di spesa?
Il ministro mi sembrava molto favorevole. Sicuramente da parte del Governo c’è molta cautela, anche considerato che nel programma con cui il presidente Monti si è presentato alla Camera non si parla in alcun modo di sanità. Ma questo potrebbe essere anche un elemento di positività, giacché finora i provvedimenti non hanno fatto che impoverire la sanità. Diciamo che c’è una pagina bianca che speriamo di riempire con un confronto positivo.
Certo è che il Governo attuale non potrà ignorare le conseguenze degli atti del Governo precedente, che peseranno enormemente sui bilanci delle Regioni. Il confronto vero inizia ora. Mi auguro che il Governo, che ha già iniziato ad affrontare la questione della delega fiscale e assistenziale, faccia altrettanto con il taglio di 8 miliardi che rischia di mettere in ginocchio la sanità.

Un’altra questione non prettamente sanitaria ma che sicuramente incide sulla sanità è la riforma delle pensioni. I medici hanno già contestato l’allungamento dell’età pensionabile, che, a loro parere, mette anche a rischio la qualità delle prestazioni visto la delicatezza della materia e la tipologia di lavoro, tra turni di notte e straordinari legati alla carenza degli organici.
Per quanto concerne le pensioni, purtroppo, paghiamo la schizofrenia degli ultimi anni. In pratica siamo passati dalla rottamazione dei medici con 58 anni di età e 40 anni di contributi, compresi i periodi riscattati, alla fase attuale in cui si voglio mantenere i medici in servizio fino a 70 anni.
Questo ha determinato incertezza nei professionisti ed è anche vero che potrebbe influire sui servizi, perché in certi casi quello degli operatori sanitari è davvero un lavoro usurante. Il 118 o la sala operatoria ne sono due chiari esempi. Credo che anche su questo aspetto occorra lavorare di più per arrivare a una reale stabilità.

La manovra è stata caratterizzata anche dalle tensioni riguardanti il capitolo della liberalizzazione dei farmaci di fascia C.
Credo che questa discussione si sia arricchita di alcuni luoghi comuni che devono essere sfatati. Si è detto anzitutto che l’apertura alla vendita di questi farmaci alle parafarmacie avrebbe aperto la strada al consumismo, ma non è vero. Il provvedimento, infatti, riguardava l’erogazione di farmaci con ricetta medica, dove non è il luogo di vendita a determinare l’aumento del consumo ma è la modalità di prescrizione.
Inoltre si è messa in dubbio la sicurezza cittadino. Si è detto che i farmaci sarebbero stati venduti sugli scaffali e presi con la semplicità con cui si prende un cartone di latte. Anche questo è falso. Anche nei corner della Gdo i farmaci sono venduti in appositi spazi, ben delimitati. E soprattutto, come avviene in tutte le farmacie, sono dispensati da un farmacista. Un farmacista che ha tutte le competenze per svolgere il suo lavoro, al pari di quello che lavora in farmacia.
Infine si è detto che la norma avrebbe creato molti disoccupati, ma se questo fosse vero significherebbe che la maggior parte dei farmaci distribuiti dalle farmacie sono di fascia C. I dati parlano chiaro, non è così, perché quelli di fascia C rappresentano una quota di poco superiroe al 10% dei farmaci complessivamente distribuiti dal servizio farmaceutico. Pertanto i rischi di far fallire le farmacie sono totalmente privi di fondamento.

Perché liberalizzare i farmaci e non le farmacie?
Questo dipende dal fatto che la norma è nata per creare condizioni di vantaggio per il cittadino, non per aumentare l’occupazione tra i farmacisti. Questo tenendo però bene presente la volontà di non sfasciare il servizio farmaceutico, che non è assolutamente nelle nostre intenzioni. Infatti la norma riguarda esclusivamente i farmaci di fascia C, mentre quelli di fascia A restano esclusiva delle farmacie. Per la fascia C è però possibile praticare degli sconti, mentre questo non può avvenire per la fascia A, erogata a carico del Servizio sanitario salvo la compartecipazione del cittadino attraverso il ticket.
In pratica, senza nulla togliere alla fondamentale funzione della farmacia, la norma originale nasceva per permettere al cittadino, che paga di tasca propria il farmaco di fascia C, di usufruire di sconti e quindi di avere un vantaggio.
Se questo sistema avrebbe poi permesso a tanti farmacisti disoccupati di trovare lavoro, tanto di guadagnato.

Ma perché non fare la stessa cosa liberalizzando le farmacie?
Se si liberalizzasse il numero delle farmacie, in cui tutti possono vendere tutto, assisteremmo a una fuga dalle aree rurali, dove c’è meno mercato, e lo Stato sarebbe costretto a sussidiare un numero di farmacie – certamente più elevato delle attuali farmacie rurali, che già usufruiscono di un contributo statale - per garantire il servizio a tutti i cittadini in maniera capillare. Senza peraltro avere alcun vantaggio in termini di spesa.
Conservando invece l’esclusività delle farmacie per la dispensazione di determinati farmaci, si attua una forma di tutela sia nei confronti delle farmacie che della capillarità del servizio per il cittadino.
La liberalizzazione della fascia C, così come prevista dalla norma originaria, in pratica preservava l’attuale sistema più di quanto sembrerebbe e più di quanto si è voluto far credere.
Il servizio farmaceutico in Italia funziona bene e noi ne siamo consapevoli. La dispensazione dei farmaci di fascia A nelle farmacie non è messa in discussione da nessuno. Le farmacie restano un presidio fondamentale con funzioni fondamentali.

Quindi le farmacie non rischiano di fallire?
Assolutamente no. Come detto i farmaci di fascia C rappresentano esattamente l'11,9% sul totale dei farmaci dispensati. Occorre però sottolineare che con la liberalizzazione i farmacisti non avrebbero perso tutto questa fetta, ma solo una quota. Questo anzitutto in virtù del limite dei Comuni sopra i 15.000 abitanti – ora diventato 12.500 – su cui si sarebbe attuata la liberalizzazione e poi perché i farmaci liberalizzati sarebbero comunque rimasti anche all'interno delle farmacie.
C’è di più. Il farmaco di fascia C è spesso associato a un farmaco di fascia A. Quest’ultimo deve essere necessariamente preso in farmacia. È quindi presumibile che un cittadino che si reca in farmacia per acquistare il farmaco di fascia A non si sposterà in un altro esercizio per l’acquisto del farmaco di fascia C solo per usufruire di un piccolo sconto. In realtà la perdita per le farmacie sarà ridottissima. Come del resto già avvenuto nel caso della liberalizzazione dei Sop e degli Otc, dove solo una quota del 2% è stata assorbita dalle parafarmacie.

Perché, secondo lei, questo non è stato compreso?
Devo dire che mi ha molto sorpresa l’allarmismo suscitato dalla norma, anche se una reazione da parte dei farmacisti era attesa. Credo che in realtà il timore della categoria sia che questo rappresenti il primo passo verso la liberalizzazione totale. Ma è un timore infondato.

Secondo quando prevede la norma definitiva contenuta manovra, ora alcuni farmaci che fino ad oggi erano dispensati solo dietro ricetta medica ricetta non avranno più l’obbligo di ricetta. Insomma, si declassano i farmaci per attuare una liberalizzazione?
Questo potrebbe anche non avvenire.

E quindi non esserci alcuna liberalizzazione?
Esattamente. Quella norma, così come è stata approvata, è totalmente priva di efficacia e probabilmente non porterà alcun risultato. In assenza di un obiettivo preciso, infatti, potrebbe anche essere deciso di mantenere l’obbligo di ricetta per tutti i farmaci presenti nella lista citata dalla norma. Oppure di togliere l’obbligo di ricetta solo per un numero ridottissimo di farmaci. Insomma, così come approvata, si tratta di una norma inutile.

In realtà i farmacisti stessi propongono una riforma del servizio. Però in termini diversi, a partire, appunto, dall’apertura di più farmacie. Cosa ne pensa?
Il settore ha sicuramente bisogno di essere ammodernato e vi sono molte criticità a cui occorre dare risposte. È vero, ad esempio, che vi sono farmacie rurali che fanno fatica a sopravvivere, così come è vero che ci sono aree del Paese in cui i rimborsi da parte delle Asl registrano tempi lunghissimi mettendo in difficoltà le farmacie. C’è anche il problema relativo alla lentezza dei tempi per la copertura delle sedi quando si rendono vacanti, così come è nota la criticità inerente ai modo in cui si rilevano le farmacie.
Si tratta inoltre di un settore in cui stanno arrivando molte innovazioni e per il quale si è aperta anche la questione della vendita online di farmaci.
Sono tanti, quindi, gli aspetti su cui occorre lavorare. Quello che auspichiamo è di riuscire a dare risposta a tutti questi quesiti attraverso una collaborazione con i farmacisti.
 
Lucia Conti
 

22 dicembre 2011
© Riproduzione riservata

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