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Intervista a Palagiano (Idv): “Deluso da Governo Monti. Per la sanità servono interventi incisivi”

di Lucia Conti

Al Governo dei tecnici il deputato dell'Idv chiede di compiere scelte "anche impopolari ma necessarie", a partire dalla chiusura dei piccoli ospedali. Tra le priorità in sanità il nomenclatore tariffario e la non autosufficienza. Liberalizzazioni? "Sì, ma senza smantellare la pianta organica delle farmacie"

28 DIC - Secondo il deputato dell'Idv Antonio Palagiano, componente della commissione Affari Sociali della Camera, la sanità ha bisogno di interventi incisivi che la politica non ha avuto il coraggio di compiere. Ma finora neanche il Governo Monti. Si tratta, secondo Palagiano, di chiudere i piccoli ospedali e potenziare la sanità territoriale. E poi aggiornare il nomenclatore tariffario, ripristinare del fondo per la non autosufficienza e puntare sulla prevenzione. Ma anche rivedere il sistema del rimborso dei Drg affinché non sia più basato sui volumi ma sugli esiti delle prestazionie.
Quanto ai Lea, "il ministro ricordi che non basta aggiornarli, ma occorre vigilare sulla loro applicazione in tutte le Regioni".
Sulla liberalizzazione dei farmaci, infine, il deputato dell'Ivd dice sì a "una sana concorrenza" che può portare ai cittadini vantaggi in termini di prezzi", ma a una condizione: "Non venga smantellata la pianta organica, unico elemento in grado di garantire la capillarità e l’uniformità della distribuzione dei farmaci anche nelle aree rurali a basso guadagno".
 
On. Palagiano, il Governo sta entrando in azione per quanto riguarda la sanità con la definizione del nuovo Patto per la Salute. Peraltro occorrerà fare i conti con gli 8 miliardi di tagli previsti dalle manovre estive. Crede che ci siano rischi per la sostenibilità del sistema?
Credo che se si continua a fare la sanità come si è fatta finora, ci sarà scarsa possibilità di garantire la sostenibilità del sistema e di raggiungere l'obiettivo di efficienza ed efficacia, cioè di avere un Ssn che riesca a offrire prestazioni di qualità con un costo più contenuto.
Bisogna avere il coraggio di cambiare il sistema. I piccoli aggiustamenti o ulteriori tagli non servono.

Tagli, nella manovra del Governo Monti, non ce ne sono stati, ma tolto il capitolo liberalizzazione dei farmaci, il Governo si è poco pronunciato sulla sanità. Che idea si è fatto?
Devo ammettere di essere rimasto deluso, perché da un Governo che nasce per prendere decisioni coraggiose, mi sarei aspettato qualcosa di incisivo per la sanità. Lo stesso ministro Balduzzi, nel corso dell’audizione in commissione Affari Sociali della Camera, è stato molto vago. Forse anche perché non si era ancora confrontato con il presidente Monti, che ricordiamo è anche il ministro dell’Economia, sulle reali possibilità di azione.

Ora Governo e Regioni hanno iniziato il confronto sul nuovo Patto per la Salute. A questo punto, quindi, il Governo dovrebbe scoprire le carte.
Ci auguriamo arrivino buone proposte. Ad oggi posso solo constatare che non c’è un piano dettagliato né sono state affrontate le priorità che la sanità deve affrontare, anche con scelte impopolari ma necessarie. Del resto, il Governo dei tecnici è nato proprio per sostituire i politici che non hanno avuto il coraggio di fare interventi incisivi per il timore di essere puniti dall’elettorato alle prossime elezioni. Per questo mi sarei aspettato che il Governo Monti fosse più incisivo e meno dipendente dalle forze politiche di quanto invece è sembrato essere fino ad ora.

Il ministro Balduzzi si è ripetutamente pronunciato sulla necessità di approvare i nuovi Lea.
Come dissi al ministro Balduzzi nel corso dell’audizione in commissione Affari Sociali, i Lea non vanno solo aggiornati, ma garantiti. Inutile avere una lista di Lea se poi non si vigila sulla loro applicazione in tutte le Regioni.
In quella stessa occasione, poi, invitai il ministro della Salute a prendere un impegno anche per l’aggiornamento del nomenclatore tariffario, fermo al 1999, cioè a costi e strumenti oggi inadeguati. In dieci anni la tecnologia ha fatto grandi passi avanti e il mancato aggiornamento del nomenclatore si è tradotto in una forte penalizzazione per i malati. Penso, ad esempio, ai pazienti con Sla: non tutti hanno la possibilità di acquistare i dispositivi elettronici (computer speciali) che sostituiscono l'obsoleta lavagnetta che questi malati utilizzano per comunicare.
In quella stessa occasione, inoltre, chiesi al ministro di fare qualcosa per le politiche sociali e per il fondo per la non autosufficienza, che è stato azzerato. Una scelta gravissima, perché significa che abbiamo lasciato sole tantissime persone che hanno bisogno di aiuto anche per le più semplici azioni, compreso camminare.

Come sempre, però, la volontà non, occorrono anche risorse.
Io credo che ci siano delle priorità. E le persone relegate in un letto sono una priorità. Sulle risorse si può intervenire, anche riallocandole e mettendo in atto azioni di riorganizzazione del sistema in grado di portare risparmi da investire dove ce ne è più bisogno.

Ad esempio?
Si possono rivedere alcuni meccanismi. Penso a quello dei drg, che è un sistema che ha profondamente cambiato le modalità di rimborso delle prestazioni, passato dai giorni di degenza – che comportava enormi sprechi inducendo a ricoveri prolungati nella certezza di un rimborso proporzionale -  al rimborso per gruppi di prestazioni uniformi. Tuttavia anche questo sistema oggi si è rivelato inadeguato, perché si tratta di rimborsi effettuati sui volumi e non sulla qualità delle prestazioni. Quello che noi proponiamo è un rimborso dei Drg per esiti, secondo gli standard internazionali, che prevedono anche l’esistenza di rischi fisiologici, perché la medicina non è una disciplina in cui il risultato può essere sempre garantito al 100 per cento. Ma se l’esito di una prestazione va male oltre il limite di rischio fisiologico, vuol dire che qualcosa non ha funzionato in termini di qualità della prestazione. Può trattarsi del fattore umano o di criticità organizzative e strutturali, che questo sistema permetterebbe anche di individuare con più facilità. Al contempo, rimborsando solo le prestazioni svolte secondo gli standard qualitativi internazionali, si otterrebbe un importante risparmio. E si individuerebbero anche quali sono i centri e i professionisti più qualificati.

Dai dati presentati pochi giorni fa dalla commissione Errori presieduta da Leoluca Orlando è emerso che quasi la totalità dei medici accusati di malpractice è stata assolta.
Sì, ma se ci sono due commissione parlamentari sugli errori in sanità significa anche che il problema esiste. È giusto osservare che quelle commissioni raccolgono i casi non di errore, ma di presunto errore ancora da accertare, e che i dati sulle assoluzioni del personale sanitario finiscono per escludere nella quasi totalità dei casi la presenza di errore umano, ma l’esistenza di carenze organizzative e strutturali sono reali. Non è un caso, infatti, se la maggior parte dei presunti errori si registrano nelle Regioni dove i rimborsi sono più alti. Un facile esempio è quello dei parti cesarei, che in certi Regioni ormai sono più numerosi dei parti fisiologici senza che vi siano condizioni di rischio per la madre e il nascituro. Per questo abbiamo proposto di uniformare il rimborso per parto cesare – che è più alto - a quello per il parto fisiologico, così da disincentivare un ricorso ingiustificato al parto chirurgico.
Ma è anche vero che occorre anche intervenire sul contenzioso medico-legale, perché oggi denunciare un medico è diventato troppo facile per i cittadini, che forse non hanno compreso come il rischio di innescare nei medici atteggiamenti di medicina difensiva vada anche a discapito della loro stessa salute.

Attraverso quale altro intervento pensate che si possano ottenere risparmi per riqualificare altre aree del sistema?
La riorganizzazione della rete ospedaliera. Gli ospedali italiani sono vecchi ma costano molto e non permettono un’efficace collocazione del paziente. Consideri che il rimborso medio è di 800 euro a giornata di degenza, ma solitamente un paziente ha bisogno solo di 48 ore di ricovero in fase acuta, mentre gli eventuali successivi giorni di ricovero servono per effettuare piccoli controlli o esami minori. Per questo in altri Paesi europei hanno costruito, accanto agli ospedali, altre strutture residenziali dai costi di degenza inferiori (circa 200 euro al giorno) in cui il paziente può essere ricoverato in attesa delle dimissioni definitive. In pratica, uno stesso intervento che oggi costa 3.400 euro per 4 giorni di ricovero, con questo nuovo sistema costerebbe 2.000 euro, con un risparmio notevole.
Riorganizzare la rete ospedaliera vuole anche dire avere finalmente il coraggio di chiudere i piccoli ospedali. Se questo non è ancora successo, è colpa dei decisori politici che hanno ceduto alle insistenze dei cittadini che, però, anche in questo caso non capiscono che un piccolo ospedale non pochi servizi costa tanto senza garantire molto in termini di salute. Ma anche far comprendere questo è responsabilità politica. Così come è compito della politica garantire quei servizi territoriali che possano permettere la chiusura dei piccoli ospedali senza lasciare la popolazione priva delle prestazioni fondamentali.
Dopo di che, ci potrà anche essere il piccolo ospedale nell’area isolata di montagna che va mantenuto, anzi, addirittura potenziato ed integrato, perché in quel caso il centro di eccellenza più vicino può essere comunque non facilmente raggiungibile. Ma queste sono le eccezioni, non può essere la regola.
Inoltre occorre investire sulla prevenzione, che politicamente rende poco perché non è visibile come un ospedale, ma che invece dà i maggiori vantaggi in termini di risparmi e salute. Per questo ribadisco che anzitutto serve responsabilità e coraggio da parte della politica.

Cosa pensa delle liberalizzazioni sui cui il Governo Monti è deciso ad insistere?
Le liberalizzazioni sono nate con le migliori intenzioni, ma non mi sembra che abbiano portato i risultati sperati. Molti servizi già oggi esternalizzati, anche in sanità, hanno infatti dimostrato di dare costi maggiori e qualità inferiore. Anche in questo caso, tuttavia, credo che ci sia tanta responsabilità politica, perché molto dipende da come vengono affidate tali esternalizzazioni.

E per quanto riguarda la liberalizzazione dei farmaci?
Sicuramente una sana concorrenza può portare ai cittadini vantaggi in termini di prezzo, ma a una condizione: che non venga smantellata la pianta organica delle farmacie, unico elemento in grado di garantire la capillarità e l’uniformità della distribuzione dei farmaci. La nostra principale preoccupazione deve essere quella di tutelare le farmacie rurali, che svolgono un servizio pubblico prezioso pur con bassa remunerazione, perché garantiscono un servizio essenziale a quei cittadini che, in un sistema competitivo portato all’eccesso, rischierebbero di rimanere senza farmaci. Se si smantellasse la pianta organica, anche il farmacista rurale chiuderebbe una farmacia che rende poco per aprirne un’altra in una zona a più alta possibilità di guadagno. Questo non deve assolutamente accadere.

La norma approvata con la manovra prevede che alcuni farmaci con obbligo di ricetta diventino ora senza obbligo di ricetta. Come è possibile che un farmaco che fino a ieri doveva essere sotto il controllo medico ora possa essere liberamente acquistabile dal cittadino?
Le rispondo da medico e non da politico. I farmaci quando entrano in commercio sono stati testati, ma c’è comunque bisogno di un periodo di vigilanza sul loro utilizzo sulla popolazione generale. Alcuni di essi, opportunamente sperimentati anche nell’uso comune, hanno dimostrato di non rappresentare un rischio per la salute anche in caso di assunzione con dosaggio non perfetto. In quel caso è possibile eliminare l’obbligo di ricetta. Che invece deve rimanere per quei farmaci in cui un dosaggio preciso è essenziale in termini di efficacia. Vi sono inoltre farmaci che se assunti in quantità minori, eccessive o in presenza di controindicazioni possono rappresentare un alto rischio per la salute.
Insomma, l’obbligo di ricetta non può essere tolto a tutti i medicinali, ma per alcuni questo è possibile. Non so quale criteri userà l’Aifa nell’elaborare la lista di farmaci per cui resterà l’obbligo, escludendone quindi altri, ma l’Aifa è un organo competente e userà il criterio giusto.

Sono in arrivo nuovi ticket. Cosa ne pensa?
Penso all’introduzione dei ticket ospedalieri, come quello contro gli accessi impropri al Pronto Soccorso, e ribadisco che non può esserci un ticket ospedaliero senza che prima ci sia stato un potenziamento della medicina territoriale dove il cittadino possa ricevere le cure che ora può richiedere solo all’ospedale.

E per i ticket sui farmaci? È d’accordo con la proposta del ministro di rimodularli per reddito e nuclei familiari?
Certo, come sono d’accordo con le esenzioni per patologia. Il ticket deve essere proporzionato al reddito e al tipo di malattia, perché è impensabile pressare ogni mese di questo costo un paziente cronico. Così come vanno tutelate le fasce economicamente più deboli della popolazione. Ogni rimodulazione, in questo senso, è accolta positivamente.
 
Lucia Conti

28 dicembre 2011
© Riproduzione riservata

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