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Depenalizzare la colpa medica? Meglio pensarci bene

di Mario Iannucci

Ci sono perdite per le quali, forse, non è sufficiente un risarcimento pecuniario. Ci sono errori che forse meritano una sanzione penale misurata, come ci si attende da una vera giustizia, che magari impedisse a quel sanitario imprudente, negligente o impreparato di esercitare la professione per qualche tempo. E non mi si venga a dire che questa interdizione professionale compete agli organismi ordinistici. Manteniamo quindi la responsabilità penale medica.

18 APR -

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci, in una recente intervista a Il Messaggero ripresa anche da QS[1], ha sostenuto che riterrebbe opportuno depenalizzare la colpa medica e ha spiegato alcune delle ragioni per cui ritiene opportuna tale depenalizzazione. Antonio Panti, per la terza volta su QS negli ultimi anni[2], si è dichiarato a favore della depenalizzazione della colpa medica (ho già detto che preferirei definirla colpa ‘sanitaria’, anche se purtroppo, nella maggior parte dei casi, riguarda i medici). Mi sono espresso in precedenza, anche su QS[3], in difformità rispetto a alla tesi del Ministro Schillaci, e torno a farlo adesso.

Nel nostro Paese, dopo le leggi “Balduzzi” e “Gelli-Bianco”, i limiti della colpa professionale sanitaria (medica in particolare) si sono molto ristretti. Non avrebbe senso indicare qui esattamente quali siano tali limiti, ma per semplificare molto potremmo dire che la malpractice può essere ravvisata qualora vengano accertate palesi negligenze, indiscutibili imprudenze e gravi imperizie, rintracciabili ad esempio attraverso un ingiustificabile discostamento del sanitario dalle gudelines nazionali e internazionali formulate nel rispetto delle best medical practices per quella determinata patologia o situazione sanitaria.


Questi sono i limiti, in verità molto ristretti, attraverso i quali una colpa sanitaria può essere rinvenuta in ambito civile, anche ai fini risarcitori. Sappiamo bene, peraltro, che l’assicurazione obbligatoria dei singoli sanitari, e delle organizzazioni sanitarie nelle quali essi eventualmente operano, copre gli effetti risarcitori della malpractice accertata in giudizio. I limiti della malpractice che potrebbe comportare l’individuazione di una responsabilità penale del sanitario si restringono ulteriormente. La consolidata giurisprudenza di merito ha infatti stabilito che tale responsabilità penale (quasi esclusivamente del medico) la si possa individuare quando il paziente abbia perso la vita, o subito un grave danno, a causa di imprudenze, negligenze o imperizie che siano non solo molto gravi, ma che siano inoltre acclarate al di là di ogni ragionevole dubbio.

Chi ha a che fare quotidianamente con beni tanto preziosi come la salute e la vita delle persone, sa bene di non potersi permettere gravi imprudenze/negligenze/imperizie. Troviamo tutti più che giustificato che l’autista di un mezzo pubblico venga imputato di omicidio stradale per la morte di una persona causata dal fatto che l’autista si sia distratto per rispondere a una telefonata del cellulare.

Ma vorremmo forse che un medico non venisse penalmente perseguito per concorso colposo in omicidio doloso quando avesse, per gravi negligenze/imprudenze/imperizie, rilasciato a un paziente, sofferente di documentate e profonde turbe mentali, un certificato erroneo che abbia consentito a quel paziente di ottenere un porto d’armi, di acquistare un’arma da fuoco e di uccidere poi con quell’arma, in preda al delirio, delle persone? Oppure pensiamo che non debbano rispondere di omicidio colposo, in ambito penale, dei sanitari che avessero dimesso dal Pronto Soccorso, e rimandato a casa, un paziente che, presentatosi in ospedale con dolori toracici e difficoltà respiratorie, all’esame elettrocardiografico e alle analisi ematochimiche aveva presentato segni parziali ma molto sospetti di un infarto miocardico acuto?

Si tratta certo di evenienze molto rare e isolatissime. Evenienze che non giustificano lo sconcertante dilagare di denunce penali per malpractice medica.

Due errori, però, non dobbiamo commettere.

Il primo errore è quello di attribuire alla penalizzazione della grave malpractice il larghissimo ricorso dei medici a inutili e costose indagini strumentali e specialistiche. E’ la crescente difficoltà dei medici a sostenere responsabilmente il peso di scelte diagnostiche e terapeutiche che causa tale eccessivo ricorso: non è certo la paura di una causa penale, anche perché, dopo recenti sentenze della suprema Corte[4], agli errori (specie quelli lievi) commessi “in fase non esecutiva” (come spesso è la “fase diagnostica” al di fuori dell’emergenza), non viene attribuita una rilevanza penale. E’ francamente risibile attribuire la lievitazione della spesa sanitaria diagnostica al timore delle conseguenze penali della malpractice, parlando, cioè, di ‘medicina difensiva’.

Il secondo errore consiste nel ritenere che la scarsissima percentuale (secondo fonti che nemmeno il Ministro della Salute documenta, la stima sarebbe del 5%) di condanne, nelle cause penali di malpractice, giustifichi la depenalizzazione della colpa medica. Penso invece che l’iperfetazione delle denunce/querele penali per malpractice debba essere attribuita ad altri motivi, ad esempio alla pletora tutta italiana degli avvocati (qualcuno ha detto che “ci sono più avvocati in Roma che in tutta la Francia” e basterebbe in proposito ricordare lo straordinario avvocato Danny De Vito nel film The Rainmaker). E’ d’altra parte innegabile che diverse altre condizioni espongono alla commissione di errori: si pensi soltanto allo scarso numero dei sanitari (specie di quelli addetti alle emergenze), agli eccessi dei loro carichi di lavoro, alle loro retribuzioni che appaiono davvero risibili se confrontate con le grandi difficoltà e responsabilità professionali.

Come ho già scritto in passato, occorrerebbe stabilire un cut-off per i danni che possono consentire l’accesso al penale, così come per le colpe passibili di condanne penali (in questa direzione le leggi e le sentenze recenti qualche limite l’hanno posto). Così come (considerato l’elevato numero di procedimenti penali che non giungono a condanna) occorrerebbe colpire pesantemente nelle tasche coloro che promuovono procedimenti penali pretestuosi, che esitano in una archiviazione o in una assoluzione.

Ma ci sono ulteriori ragioni per mantenere il profilo penale della colpa medica. Ho letto proprio oggi, ad esempio, una curiosa notizia. Un bambino di 5 anni, mentre in un parco pubblico milanese imparava ad andare in bicicletta con accanto il padre, ha urtato una signora di 87 anni, che pare avere riportato, cadendo, un trauma cranico che ne ha causato la morte poco tempo dopo. Il padre del bambino, rivestendo nei confronti del piccolo figlio una posizione di garanzia, sarà chiamato a rispondere di omicidio colposo. Dopo il caso Tarasoff, negli US ma poi anche in Italia, uno psichiatra che per negligenza/imprudenza/imperizia non tutela un suo paziente che si trova in una situazione di pericolo, o non tutela le potenziali vittime di quel paziente pericoloso, risponde per colpa (concorso colposo) del reato doloso altrui.

Ci sono illustri scienziati del diritto che reputano insostenibile, da un punto di vista concettuale, la figura giuridica del concorso colposo nel reato doloso di un altro. Ci sono illustri giuristi e medici che continuano a perorare la depenalizzazione della malpractice medica. Io, che sono estremamente lontano dal valorizzare la funzione vendicativa (o retributiva) della pena, specie in un reato colposo, mi metto però nei panni dei familiari di una persona morta per grave malpractice medica. Mi chiedo se, mettendomi nei panni di uno di questi familiari, troverei giusto che una grave inadempienza medica, una inadempienza per imprudenza/negligenza/imperizia di qualcuno da cui dipende la salute e la vita degli altri, non comportasse anche una sanzione penale oltre a quella civile che mira al debito risarcimento pecuniario.

Ci sono perdite per le quali, forse, non è sufficiente un risarcimento pecuniario. Ci sono errori che forse meritano una sanzione penale misurata, come ci si attende da una vera giustizia, che magari impedisse a quel sanitario imprudente, negligente o impreparato di esercitare la professione per qualche tempo. E non mi si venga a dire che questa interdizione professionale compete agli organismi ordinistici, che sono di fatto impossibilitati a procedere in assenza di un pronunciamento giudiziario.

Manteniamo quindi la responsabilità penale medica. Quando qualcuno assume sulle sue spalle la responsabilità della salute e della vita di altri uomini, il peso di questa responsabilità fortifica, in lui, la capacità di prendere decisioni prudenti, diligenti e competenti.

Dr. Mario Iannucci
Psichiatra psicoanalista
Esperto di Salute Mentale applicata al Diritto

[1] https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=112793
[2] https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=112877&fr=n
[3] https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=71877
[4] Si veda ad esempio la cosiddetta “Sentenza Mariotti” (Cass. Sez. Un. 21 dicembre 2017 (dep. 22 febbraio 2018), n. 8770), i cui principi sono stati ripresi anche da altre e piuù recenti sentenze della Cassazione (si veda, ad esempio, Cass. Sez. IV, sent. 1 dicembre 2021 -dep. 22 marzo 2022- n. 9701).



18 aprile 2023
© Riproduzione riservata

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