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Allarme infermieri nelle Carceri. Abbandonati a se stessi e vittime di aggressioni. Il report Nursing Up


Nei turni di notte un solo infermiere può arrivare ad avere in carico ben 600 detenuti. “Si contano ben otto aggressioni dallo scorso luglio a oggi: 3 casi drammatici sono di donne, di nostre professioniste, che hanno rischiato di subire una violenza sessuale e uno strangolamento” denuncia il Presidente De Palma. Le situazioni peggiori in Lombardia, Campania, Puglia e Toscana

31 OTT -

Abbandonati a se stessi, troppo spesso vittime di disorganizzazione e carenze strutturali che trasformano la loro attività quotidiana di professionisti dell’assistenza in un vero e proprio incubo, in un inferno. È questa la realtà degli infermieri nelle sovraffollatissime carceri italiane che si stanno trasformando in un pericoloso contesto di abusi e violenze che forse ci sono sempre state, ma che ora numeri allarmanti fanno salire alla ribalta.

All’interno di carceri di notte un solo infermiere può anche arrivare a dover assistere ben 600 reclusi. E solo dallo scorso luglio a oggi, sono state ben 8le gravissime aggressioni fisiche consumate ai danni di infermieri e infermiere, di cui ben 3 perpetrate contro donne indifese.

A lanciare in un Report il grido di aiuto dei professionisti della salute, impegnati nella presa in carico di un numero decisamente spropositato di detenuti, è il Nursing Up: senza nessuna distinzione geografica, con le situazioni peggiori in Lombardia, Campania, Puglia e Toscana, gli scenari sono allarmanti.

“La contemporanea drammatica carenza di personale di polizia penitenziaria – denuncia Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up – non fa che aggravare la situazione. Foggia, Bari, Salerno, Avellino, Vibo Valentia, La Spezia, Firenze, Ascoli Piceno: vere e proprie ‘realtà da terzo mondo’, addirittura, in alcuni casi, mancano veri e propri reparti di infermeria, scarseggiano i farmaci e le attrezzature sanitarie e, come accade ad esempio a Bari, sono le vecchie celle ad essere state adattate a luogo di cura”.

I numeri, prosegue De Palma sono allarmanti: in Campania per una popolazione carceraria di 6.471 detenuti abbiamo meno di 200 infermieri, che devono lavorare tra tossicodipendente, casi di profondi disagi psichiatrici e soggetti aggressivi e autolesionisti (in costante aumento sono i tentativi di suicidio). La situazione non è certo più rosea in Lombardia, dove solo nelle quattro carceri dell’area metropolitana di Milano si contano 3.726 detenuti, a fronte di un solo operatore sanitario, di notte, ogni 600 reclusi (1 ogni 200 negli orari diurni).

“La cosa peggiore, ed è doveroso raccontarlo – aggiunge De Palma – è che solo da questa estate a oggi abbiamo fatto registrare, e parliamo dei casi denunciati perché non escludiamo il sommerso, la triste vicenda di ben tre infermiere. Una a Foggia, nel carcere di San Marco in Lamis, lo scorso 16 ottobre, un’altra a Sollicciano, Firenze, lo scorso luglio, un’altra ancora a La Spezia, sempre questa estate, poco prima, ad agosto: ebbene la prima è stata brutalmente presa a pugni mentre tentava di somministrare un farmaco ad un paziente esagitato, la seconda addirittura sarebbe stata oggetto di pesanti attenzioni, rischiano di subire una violenza sessuale, l’altra ancora in Liguria è stata salvata da un agente penitenziario mentre un detenuto provava a strangolarla”.

Fino a qualche anno fa, continua De Palma, erano gli infermieri neo laureati al primo incarico ad accettare il difficile lavoro nelle carceri.

“Oggi, che più che mai i nostri giovani sono ambitissimi nelle strutture della sanità pubblica e privata, vista anche la carenza di personale – prosegue – e sono davvero pochi coloro che hanno il coraggio di accettare di ricoprire un ruolo così delicato, laddove mancano strumenti, tutela, e dove una donna prima che una professionista, finisce tristemente e drammaticamente alla mercé di soggetti fuori controllo.

L’infermiere presente all’interno delle carceri opera tra la gestione della sicurezza e il diritto della salute, spesso con elevata complessità assistenziale, in un setting difficile, dove a prescindere dal reato commesso, è fondamentale la presa in carico del paziente. Si è erroneamente portati a pensare che il ruolo dell’infermiere all’interno delle carceri sia limitato alla mera esecuzione di procedure e interventi standard. Le competenze dell’infermiere sono anche di natura intellettuale, oltre che tecniche avanzate, soprattutto relazionale e di educazione sanitaria, così come recita il profilo professionale D.M. 739/94: “l’assistenza……di natura tecnica, relazionale ed educativa”.

La sfera relazionale è spesso costituita da incontri, scambi, e confronti che l’infermiere intrattiene con la persona bisognosa di cure e la sua famiglia, e richiama la vera essenza e la peculiarità della professione infermieristica che andrebbe, in ogni luogo dove c’è un infermiere, valorizzata, difesa, tutelata con piani mirati che ad oggi sembrano totalmente assenti.

Perché certo, l’infermiere con il massimo impegno e le sue competenze è uno degli attori principali in tema di diritto alla salute dei detenuti, che va garantito, qualunque sia il reato commesso, soprattutto se si tratta di soggetti difficili con patologie psico-fisiche serie.

Ma chi protegge oggi i nostri infermieri e le nostre infermiere? – chiosa De Palma – tentativi di strangolamento e di violenza sessuale solo negli ultimi 4 mesi! Cosa altro deve accadere?”,



31 ottobre 2023
© Riproduzione riservata

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