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La crisi della Fimp. Parla Giuseppe Mele: "E' venuta a mancare una visione d'insieme. Ora dobbiamo ritrovare l'unità"

di E.M.

"Penso sia importante creare una nuova squadra che raccolga la disponibilità di tutti e che tenga conto delle varie richieste che arrivano dalla periferia. Se la cultura della rissa prevale sulla cultura dell’aggregazione non si va avanti, serve l’esperienza e la capacità dimostrata nel tempo e che metteremo a disposizione". Una mia candidatura? "Non è il momento di pensarci".

19 NOV - Non cessano i malumori in casa Fimp, dove opposte fazioni, a colpi di comunicati stampa, ricordano che la frattura tra presidenza e Segreteria nazionale è ormai insanabile.
È di oggi, infatti, un comunicato inviato ai giornalisti con tanto di logo ufficiale del sindacato che sostiene che Alessandro Ballestrazzi non è più il presidente e che la “crisi politica si è verificata a causa di una presa di coscienza dell’operato di Ballestrazzi che non ha rispettato il programma politico con il quale era stato eletto, impedendo la messa in atto di quel processo di trasparenza e rinnovamento del sindacato da tutti auspicato”.
 
Solo ieri lo stesso Ballestrazzi aveva invece chiarito cha sarà lui, come presidente uscente, a gestire la fase di transizione da qui al Congresso straordinario, parlando di un "governo di scopo" per traghettare la Fimp verso un nuovo assetto di governo. Cosa che ha ribadito anche oggi in risposta al comunicato dei "dissidenti".
 
Per capire cosa stia accadendo abbiamo intervistato Giuseppe Mele, past president della Fimp che ha guidato come presidente i pediatri di famiglia italiani per sette anni, fino all'avvento di Ballestrazzi sette mesi fa.
 
Dottor Mele, la tensione in casa Fimp è alle stelle. Lei è stato per molti anni alla guida di questo sindacato, che idea si è fatto sugli ultimi avvenimenti che hanno condotto alla sfiducia verso Ballestrazzi?
Che il presidente Ballestrazzi aveva in mente un progetto di grande continuità rispetto al passato, ma non è riuscito a portarlo a termine. È stato, infatti, impossibilitato a portare avanti il proprio programma a causa delle fortissime contrapposizioni tra le varie anime del sindacato che hanno di fatto paralizzato quella che doveva essere una visone strategica per consolidare la posizione della categoria. Contrasti che hanno determinato nel corso dell’ultima riunione la spaccatura profondissima, ormai nota a tutti, tra la presidenza e una parte della segreteria nazionale, esattamente sette componenti che si sono dimessi. In sostanza è venuta a mancare quella visione unitaria che invece avremmo dovuto perseguire con forza, soprattutto in un momento così delicato per la nostra categoria.
 
Si riferisce alla partita dell’atto di indirizzo?
Certamente, i contenuti dell’atto di indirizzo sono preoccupanti. L’atto non ha riproposto quanto deciso nel decreto Balduzzi, ma è andato oltre, immaginando per quanto riguarda la pediatria, di inserire all’interno del territorio figure diverse da un punto di vista giuridico da quelle dei medici in convenzione. Si prevede, infatti, il passaggio “qualificante” di figure ospedaliere sul territorio a causa della dismissione degli ospedali pediatrici. Questo “qualificante” proprio non mi va giù. Dimentica che l’assistenza territoriale pediatrica è stata sempre di alta qualità, e lo abbiamo dimostrato nel tempo attraverso le varie forme di aggregazione monoprofessionali. I pediatri di famiglia hanno sempre saputo dare risposte qualificate e altamente efficaci. Ecco perché in questo momento era necessario trovare una forte unitarietà per ribadire con decisione la nostra appartenenza alle cure primarie a fianco delle altre figure convenzionate in primis la guardia medica, e poi i Medici di medicina generale e gli specialisti ambulatoriali. Solo insieme possiamo creare il secondo pilastro della sanità per dare una logica di grande continuità dell’assistenza.
 
Cosa che la Fimp non è riuscita a fare …
Come ho già detto, è venuta a mancare una visone d’ insieme. Bisognava lavorare per rafforzare l’area delle cure primarie e controbattere le spinte verso un nostro passaggio ipotetico alla dipendenza provenienti dalle Regioni. Quindi, in questo scenario, la nostra Federazione anziché dimostrare compattezza ha aperto le porte a fratture profonde.
 
Cosa avrebbe dovuto fare?
La dialettica ci ha sempre contraddistinti fa parte delle dinamiche sindacali, ma ci deve essere sempre il momento della sintesi e dell’unità intorno agli obiettivi strategici da perseguire. Se c’è una dirigenza che continua a demonizzare chi la pensa in maniera differente non si va avanti. Dobbiamo quindi costruire un’idea di sindacato futuro sul quale far convergere un’unità di intenti. Le istituzioni ci guardano, la parte pubblica ci osserva e lo spettacolo è sotto gli occhi di tutti. Ecco perché invito tutti ad aprire una nuova stagione di confronto attraverso quegli strumenti che il sindacato ha indicato proprio nella risoluzione conclusiva del consiglio nazionale, ossia la modifica dello statuto. Uno statuto figlio del suo tempo, e che ora sta manifestando tutte le sue criticità. Dobbiamo cambiarlo per far sì che si inseriscano meccanismi in grado di garantire “diritto di cittadinanza” a tutte le diverse anime.
 
A questo punto cosa succederà?
Il presidente ha avocato a sé tutti i poteri, come stabilito nell’attuale statuto e dovrà traghettare in questa fase di impasse il sindacato verso nuove elezioni. Sono convinto che avrà il necessario supporto da parte di tutti quelli che vogliono il bene del sindacato.
 
La domanda è d’obbligo: pensa di ripresentare la sua candidatura?
Non è il momento di pensare a questo. È importante creare una squadra che raccolga la disponibilità di tutti e che tenga conto delle varie richieste che arrivano dalla periferia. Certo bisogna sempre fare affidamento anche sull’esperienza maturata. Se la cultura della rissa prevale sulla cultura dell’aggregazione non si va avanti, serve l’esperienza e la capacità dimostrata nel tempo e che metteremo a disposizione.
 
E.M.

19 novembre 2013
© Riproduzione riservata

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