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Il declino del dialogo tra sindacati e politica

di Roberto Polillo

L’assenza di politici di rango al congresso dell’Anaao è un altro segno del tempo. In pochissimi anni si è passati dalla concertazione obbligata e universale alla indifferenza, al fastidio e al rifiuto di qualsiasi confronto, anche di merito, con le istanze sindacali. Tra le cause, la mondanizzazione, sia della politica che del sindacato

20 GIU - L’assenza di politici di rango al congresso nazionale dell’Anaao è un altro segno del tempo. Un tempo che non è semplicemente “Il numero del movimento secondo il prima e il poi” come sosteneva Aristotele nella Fisica, ma è un succedersi di avvenimenti a velocità variabile. E l’agogica del tempo delle relazioni tra politica e sindacato, ivi compreso quello medico, demarca una accelerazione inaspettata. In pochissimi anni si è passati dalla concertazione obbligata e universale su ogni aspetto delle relazioni sindacali alla indifferenza, al fastidio e al rifiuto di qualsiasi confronto, anche di merito, con le istanze sindacali.

Certo, esemplare in tal senso è stato il lavoro di Brunetta. La sua riforma della PA ha picchiato duro e ha messo il sindacato praticamente al tappeto con tre semplici ma sostanziali modifiche ordinamentali: l’abolizione dell’istituto della concertazione e l’obbligo di accordo su specifiche materie; il declassamento del valore legislativo del contratto privandolo di potestà legislativa primaria ed infine la soppressione di fatto del ruolo dirigenziale dei medici reintroducendo in ambito disciplinare i vecchi dispositivi sanzionatori.

Come sempre accade però, il lavoro di Brunetta non è stato certo rinnegato dai suoi successori che pure appartenevano a schieramenti politici diversi ed oggi antagonisti. Ed è un paradosso che forse il più infastidito della concertazione sia proprio il presidente Renzi che pure appartiene alla stessa famiglia politica di Prodi (la ex DC) che della concertazione in ambito sanitario, attraverso il ministro Bindi, era stato un grande fautore

Quali sono dunque le cause di questi cambiamenti così radicali?
Provo ad elencarne qualcuna accettando il rischio di essere smentito da molti.

La più significativa è a mio modo di vedere la mondanizzazione della politica e del sindacato. Sempre di più si è capito che tali attività sono diventate delle professioni in cui quello che conta non è più il servizio alla comunità e agli iscritti ma il futuro prossimo dei singoli dirigenti. In ambito politico è semplicemente sufficiente leggere le cronache giudiziarie , stracolme di scandali che attestano la totale e purtroppo trasversale commistione tra affari e politica e i vantaggi legati alla appartenenza a quelle che si chiamano cordate spesso in conflitto tra loro anche nello stesso partito . In ambito sindacale è dimostrato dalle fulgide carriere dei principali leaders dei sindacati medici , quasi tutti dirigenti di struttura o capi dipartimento, come anche dal passaggio di moltissimi dirigenti , ivi compresi i segretari confederali, dal sindacato alla politica .Un passaggio preparato con cura e spesso avvenuto senza alcuna discontinuità. Che ne resta allora della tanto declamata indipendenza dalla politica? Probabilmente nulla come nulla sono spesso i programmi elettorali dei partiti quasi mai rispettati e spesso addirittura stravolti.

Né diversa è la situazione a livello locale in cui il sindacato spesso contratta non i principi generali ( ora anche essi sottratti agli istituti del confronto) ma le carriere dei propri iscritti indipendentemente dal merito che nel nostro paese rimane il grande assente. E qui l’errore fatale è stato accettare che la gradazione delle funzioni e il conferimento degli incarichi avvenisse a livello di singola ASL illudendosi che il processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie avrebbe puntato alla valorizzazione della professionalità! Una vera assurdità in un paese come il nostro dove conta solo l’appartenenza e la fedeltà al cacicco di turno. E ancora più assurda perché gli stessi sindacalisti devono contrattarsi la propria posizione con evidenti ed ineliminabili conflitti di interesse che fanno perdere credibilità al sindacato.

Una situazione dunque di difficile soluzione perché come al solito l’impresa più difficile è risalire la china quando si è toccati il fondo. Eppure il sindacato è importante e la sua debolezza non è certo un vantaggio per nessuno. Il sindacato però deve rinnovarsi sia dal punto di vista anagrafico, dando spazio ai giovani e rinnovando la propria dirigenza, e sia dal punto di vista morale vigilando sui comportamene scorretti dei propri dirigenti. Bisogna riconquistare la credibilità perduta partendo dal principio che se non lo si è con la propria base non lo si potrà essere nemmeno con gli interlocutori istituzionali

Roberto Polillo

20 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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