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Farmacisti. Elezioni Utifar. Lo sfidante Cini: “Puntare sulle competenze per superare le difficoltà. Anche quelle economiche”


A sfidare il presidente uscente, Eugenio Leopardi, sarà Maurizio Cini, con un programma che punta a rafforzare l’aspetto scientifico della professione lasciando in disparte (pur senza dimenticarlo) quello commerciale. “Il nostro sapere è la nostra forza. Per ritrovare l'unitarietà ed aumentare la redditività”.

02 LUG - A sfidare il presidente uscente, Eugenio Leopardi, sarà Maurizio Cini, docente di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche all’Università di Bologna ed ex vicepresidente Utifar, incarico abbandonato lo scorso febbraio per incompatibilità di vedute con il Consiglio direttivo. “Si è persa di vista la vocazione tecnico-scientifica della professione per rincorrere i profitti. Ma è stata proprio questa la causa di tutti i nostri problemi, quelli economici e anche quelli interni alla categoria, che per ritrovare unitarietà deve puntare sugli unici elementi che accumunano tutti i farmacisti: sapere, competenza e cultura”, ci spiega in questa intervista.

Prof. Cini, fino a poco tempo fa lei è stato vicepresidente Utifar e oggi si candida con un programma che critica proprio l’operato della direzione vigente. Come mai?
È una situazione per la quale provo un profondo dispiacere. Sono fortemente legato all’Utifar e con l’attuale direzione ho intrapreso un percorso che speravo avrebbe portato a una forte evoluzione dell’Unione e della professione. Purtroppo così non è stato e l’incompatibilità con la visione dell’attuale direzione mi ha portato, lo scorso febbraio, a lasciare l’incarico di vicepresidente.
L’Utifar è nata nel 1957 per supportare la formazione tecnico-scientifica dei farmacisti, ricoprendo un po’ il ruolo della Società scientifica per la professione. Negli ultimi anni, però, la mission dell’Unione è stata spostata verso la corsa ai profitti. Una sterzata che non solo non condivido, ma che ritengo essere alla base delle problematiche che oggi colpiscono drammaticamente la categoria: dalla riduzione di redditività alla disoccupazione fino alle divisioni interne alla categoria tra titolari di farmacia e titolari di parafarmacia, tra farmacisti ospedalieri e farmacisti del territorio, tra titolari e collaboratori.

Lei, dunque, non punta il dito contro i Governi, le leggi e le manovre?
I Governi, le leggi e le manovre sono state le traduzioni pure e crude dell’immagine che i farmacisti hanno offerto della loro professione. I farmacisti hanno abbandonato la galenica. Hanno trascurato quelli che erano i valori fondanti e i punti di forza della professione. Quei valori che li rendevano indispensabili e insostituibili, cioè la competenza scientifica, tecnica e farmacologica. La politica si è trovata di fronte a un’immagine negativa dei farmacisti e della farmacia e ha agito di conseguenza, con provvedimenti penalizzanti che nel tempo hanno eroso il ruolo e il campo di azione della farmacia, dalle liberalizzazioni del 2006 alla sciagurata legge Monti del 2012 che ha creato tanti danni e che tanti danni creerà con l’apertura delle nuove sedi previste con il concorso straordinario.
È un dato di fatto che già oggi molte farmacie sono sull’orlo del fallimento e molte sono già fallite a causa di queste leggi. Ma non condivido le lamentele dei colleghi che puntano il dito contro i Governi. Questo è il risultato del nostro atteggiamento. Se vogliamo cambiare le leggi, dobbiamo cambiare l’immagine che la politica ha di noi. Altrimenti il massimo che potremmo ottenere sono soluzioni tampone che nella realtà non risolvono nulla.

Il presidente della Fofi, sen. Andrea Mandelli, insiste spesso su questa necessità di smentire la cattiva immagine che la politica ha dei farmacisti. L’Utifar non condivide questa necessità?
Il presidente Mandelli sta lavorando molto bene per recuperare i valori fondanti della professione e quindi riaffermare l’immagine della farmacia. Purtroppo l’Utifar non ha fatto altrettanto. Continua a fare indagini, anche sul ruolo sociale della farmacia, ma sempre orientate agli aspetti economici, e promuove un premio sul migliore progetto commerciale (Premio Grendene).  Non dico che non siano aspetti importanti per la professione, che per molti versi è anche un’attività imprenditoriale, ma non possono essere prioritari rispetto a quelli che sono i valori fondanti e più profondi dell’essere farmacista.
Inoltre gli aspetti commerciali della farmacia non dovrebbero fare parte dei corsi ECM, che a mio parere dovrebbero essere orientati solo a supportare il sapere scientifico e il ruolo sociale del farmacista.

Ma cosa è che ha portato questo cambiamento?
Sicuramente ha contribuito la naturale evoluzione del sistema economico, industriale e sociale del Paese, ma una forte spinta è arrivata anche dalla composizione di attuale Consiglio direttivo dove, tolte poche eccezioni, tra cui voglio citare il dott. Peter Jager, che è candidato con la mia lista, regna una visione della farmacia fortemente commerciale. Non voglio dire che si tratti di un orientamento portato avanti con  malafede. Forse è parte della loro “epoca”, ma dalla quale credo che si sarebbero dovuti allontanare in maniera critica. Invece tale visione è stata addirittura rafforzata. Ciò è molto grave, soprattutto per un’associazione che si chiama “Unione Tecnica Italiana Farmacisti” e che dunque, già dal nome, richiama fortemente a quella che è la componente scientifica della professione. Col passare degli anni, insomma, abbiamo tradito le radici da cui era nata l’Utifar.

Mi parlava anche delle divisioni interne alla categoria, attribuendone la causa anche a questa spinta alla commercializzazione. È così?
Credo che non sia la sola tra le cause, ma la principale. La categoria è rappresentata da molteplici realtà, di cui i titolari di farmacia sono solo una parte. Spostare l’attenzione sugli aspetti commerciali ha significato spostare l’attenzione su di loro. I farmacisti ospedalieri, collaboratori o disoccupati hanno finito per sentirsi non rappresentati dall’Utifar così come da altre associazioni della professione. Eppure siamo tutti farmacisti.

E qual è l’elemento che potrebbe fare da collante per tutti?
Proprio il sapere, le competenze, la cultura della professione del farmacista. Dobbiamo puntare con forza su questi elementi se vogliamo ritrovare l’unità della categoria, perché è questo l’unico elemento che può fare da comune denominatore a tutti i farmacisti, senza eccezioni, e che può contribuire a risolvere alcune problematiche, compresa quella della disoccupazione. Sono convinto di questo ed è per questo che nella mia lista sono rappresentate un po’ tutte le diverse realtà dei farmacisti italiani.

Quale sono i principali punti del suo programma?
L’organizzazione dell’Utifar in vera e propria “società scientifica del farmacista”, la formazione professionale indipendente da qualsiasi interesse economico diretto o indiretto; i rapporti con la stampa e con gli altri mass-media su argomenti di attualità; la creazione delle condizioni per indirizzare gli iscritti al miglioramento del rapporto con gli altri professionisti sanitari (medici, veterinari, professioni sanitarie organizzative); la creazione di un osservatorio propositivo della normativa farmaceutica in discussione per presentare proposte correttive laddove si intravedessero criticità; il monitoraggio e la diffusione delle informazioni sull’attività legislativa di settore; il sostegno a 360° della galenica, proponendo modifiche alle ormai obsolete Norme di buona preparazione; l’implementazione e velocizzazione dell’attività di consulenza agli iscritti; il rinnovo della convenzione su assistenza HACCP, Privacy e Sicurezza, in un’ottica finalizzata a giungere ad una regolamentazione moderna della farmacia; la promozione di corsi integrativi della formazione universitaria in materia di gestione economico-aziendale; il miglioramento dei rapporti con le Università e con le istituzioni universitarie e delle associazioni dei docenti delle discipline di carattere farmacologico, tecnologico e normativo. Infine, uno degli atti da portare a termine appena terminate positivamente le elezioni, è il rinnovo profondo dello Statuto, partendo dalle modalità elettive del Consiglio direttivo.

Lei ha citato più volte la "questione galenica”. Può spiegarci meglio cosa intende?
La galenica è stata negli anni affossata e quasi dimenticata. Oggi è praticata solo in una piccola quota delle farmacie italiane, probabilmente meno del 10%. Un po’ perché trova poco spazio nelle università, ma soprattutto per i cambiamenti di gestione delle attività delle farmacie. A contribuire è stata anche la normativa in materia poco chiara, troppo rigida e anche obsoleta. Basti pensare che il sistema di tariffazione è scaduto da 20 anni. Anche le norme di buona preparazione hanno più di 10 anni e andrebbero aggiornate.

Nella farmacia moderna c’è ancora spazio per la galenica?
C’è e si deve trovare, perché la galenica ha delle potenzialità enormi. Cito, a titolo di esempio, l’importanza che può ricoprire nell’ambito dei farmaci orfani e di tutte quelle patologie che i medici non riescono a risolvere con i medicinali industriali perché mal tollerati dai pazienti o non completamente rispondenti ai loro bisogni clinici. Medici e farmacisti, insieme, possono risolvere molti problemi dei pazienti, cosa che oggi, purtroppo, spesso non avviene.

Nel suo programma si parla anche di politica e di gestione economico-aziendale. Quindi più scienza, ma senza dimenticare gli altri elementi che entrano in gioco nella professione?
Certamente. Il migliore risultato si ottiene sempre da un giusto equilibrio tra le parti. Chiudersi nei laboratori e ragionare solo in termini di scienza sarebbe tanto sbagliato quanto lo è stato esasperare l’aspetto commerciale. Bisogna recuperare le radici della professione, ma sulla base di quei valori, evolvere e innovarsi perché il mondo cambia e la farmacia deve cambiare con il mondo, altrimenti non sarà neanche in grado di rispondere ai bisogni emergenti della popolazione, che non sono più quelli di 30 anni fa.
Anche gli aspetti commerciali, come ho già detto, sono importanti. Però, ribadisco, non devono essere prioritari. Questo vuol dire innovarsi senza tradire la propria mission.

Parlava anche della volontà di rinnovare lo Statuto, a partire dalle regole elettive. Già che le elezioni sono alle porte, quali sono le regole che non la convincono?
Abbiamo uno Statuto obsoleto e le attuali modalità elettive sono un vero insulto alla partecipazione democratica degli iscritti. Prevedono, infatti, che le elezioni si svolgano in una città scelta dal Consiglio Direttivo e che il voto possa avvenire solo di persona o attraverso delega scritta autenticata da notaio.
È ovvio che tanta burocrazia e l’eventuale distanza può diventare un impedimento alla partecipazione dei colleghi. Inoltre la località scelta per l’elezione influisce sul voto, perché se diventa difficile da raggiungere, inevitabilmente favorisce il candidato che è più forte sul quel territorio. E dal momento che a scegliere il luogo delle elezioni è il Consiglio direttivo uscente, potrebbe accadere che il candidato favorito sia quello che il Consiglio Direttivo sceglie consapevolmente di sostenere. Non è detto che questo avvenga, ma certo lo Statuto non favorisce la trasparenza. Ci sono stati anni in cui le elezioni si sono svolte a Palermo. Non si è certo è trattato di una scelta che ha favorito la partecipazione. Molti iscritti hanno infatti rinunciato al diritto di voto per difficoltà di spostamento.
Più opportuno, allora, sarebbe stato scegliere di svolgere le elezioni nell’ambito della manifestazione nazionale dedicata alla professione Farmadays, dove probabilmente molti colleghi avrebbero potuto intervenire cogliendo l’opportunità di partecipare sia alle elezioni che all’evento, piuttosto che attraversare l’Italia per un solo giorno allo scopo di votare. Ma ancora più opportuno e semplice, al giorno d’oggi, sarebbe permettere agli iscritti di votare attraverso un sistema informatico in grado di garantire trasparenza e partecipazione. Avviene già in molti altri contesti, non vedo perché non debba farlo anche l’Utifar.

02 luglio 2014
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