Un modo diverso di ragionare sulla morte della neonata in Sicilia
di Sandra Morano
Un recente convegno all’Iss ha posto in evidenza il lavoro straordinario di una donna che in questi ultimi anni, pur con risorse economiche scarsissime, è riuscita a far inserire la mortalità materna nel DPCM sui registri e sorveglianze di interesse nazionale. Un obiettivo raggiunto insieme a tutte le altre donne che hanno a cuore la vita riproduttiva delle persone di cui si prendono cura
08 MAR - Il professor
Jon Von Roosmalen, della Università di Leiden, in Olanda, il 5 marzo scorso al Convegno (Roma, ISS) sulla sorveglianza sulla mortalità materna in Italia (e in UK e in Francia) ha invitato i medici che curano le donne ad essere meno endoscopisti e più ectoscopisti. A indagare, cioè, più quello che sta fuori, intorno alla donna, che quello che sta dentro di essa. Ha ricordato che si muore ancora tanto di parto (o di aborto) in paesi lontani, ma anche vicini, nell’est Europa, mentre si muore molto meno nei paesi sviluppati, anche se la mortalità materna e le sue cause figurano tra i principali indicatori di salute riproduttiva raccomandati dal gruppo di lavoro EuroPeristat.
Da qualche anno una donna in particolare, con grande tenacia, ha costruito e incoraggiato un gruppo di lavoro per smentire un dato pubblicato su Lancet nel 2010 che per colpevole disinteresse ed omissione di Società Scientifiche e Istituzioni, attribuiva all’Italia addirittura il più basso rapporto di mortalità materna al mondo! Un gruppo di lavoro che si occupa da allora di riportare la sorveglianza all’interesse nazionale, di rilevare le reali morti materne in modo retrospettivo e prospettico, di cambiare la cultura di vergogna e colpevolezza intorno a questo fenomeno, di far dialogare tra loro istituzioni, Istat, e gli operatori - quelli che hanno a che fare con la vita e la morte - con i “ragionieri” del rischio clinico, quelli che ne parlano con l’interfaccia di powerpoint e scrivanie.
Seguire per un’intera giornata i risultati di questo progetto, sostenuto da una maggioranza straripante di donne (tante le iscritte al convegno!) è apparso di gran lunga più interessante del tormentone che per settimane ha campeggiato su tutti i media dopo la morte della neonata in Sicilia. Un tormentone senza passato (nessuna paternità su politiche sanitarie causa della irrazionalità delle Maternità) e senza futuro (se non il mantra della chiusura dei Centri con numero di parti < 500). La solita inchiesta con ispettori che non hanno certo il compito di rovesciare il tavolo e i suoi giocatori.
E invece. In un luogo solo apparentemente lontano da riflettori, Sale parto e TIN, sono state portate cifre, ascoltati lavoratori della sanità da molte regioni d’Italia discutere tra loro alla pari, vedere inserita la mortalità materna nel DPCM per l’istituzione di registri e sorveglianze di interesse nazionale (finora previsto solo per IVG e PMA). Non per iniziativa di Società Scientifiche, ma di una donna che rappresenta l’ISS, ma anche tutte le altre lavoratrici della Sanità che in questo lavoro front line e di cultura scientifica si riconoscono, che hanno a cuore la vita riproduttiva delle persone di cui si prendono cura. Che insieme a tutte loro, senza gerarchie, ha lavorato perché l’Italia esprimesse Linee Guida per il Taglio Cesareo come scelta appropriata e consapevole.
Che ha saputo rappresentare chi vuole parlare alla comunità (in maggior parte donne) dei curanti, ed è riuscita, in tempi veramente tristi per le risorse pubbliche, ad amministrare un magro finanziamento ministeriale con una economia - e risultati - degni della cuoca di Lenin (di cui era noto l’aforisma che una cuoca può governare il paese).
Penso che questo sia il miglior modo per pensare a questo nostro tempo in cui la cosa più difficile è portare alla attenzione di tutti le azioni che producono salute e fanno crescere, che con fatica costruiscono cultura, soprattutto in controtendenza; e per pensare a questo 8 marzo in cui anzitutto noi donne dovremmo esprimere la nostra cifra più realistica. Per dire al paese che è di questo tipo di tecniche che le donne italiane hanno bisogno: più ectoscopia e meno endoscopia. Ovvero lo sguardo delle donne che curano. Un augurio? Più semplicemente un esempio, una lezione. Una necessità.
Sandra Morano
Ginecologa ricercatrice , Università degli Studi Genova
08 marzo 2015
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