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Al di là del 566. Ma cosa vogliono realmente i medici, gli infermieri…e i malati?

di Ivan Cavicchi

Ognuno dei tre ha le sue ragioni e le sue esigenze. Tutti e tre hanno problemi. Vediamo se è possibile trovare soluzioni che mettano d’accordo tutti. A benefico di tutti

02 APR - Nel precedente articolo ho sostenuto che i problemi della campana (comma 566) sono accresciuti da quelli dei campanari, al punto da diventare quasi irresolubili. La campana è quella che è ma essa si può suonare in tanti modi diversi, cioè non è detto che si debba tirare la corda a strattoni rischiando di far crollare il campanile. A me piacerebbe, nel gaudio generale, suonare la campana come si deve, ed evitare che crolli il campanile.
 
Ma se è vero che prima della campana c’è il problema del campanaro, allora per sbloccare il comma 566 bisogna partire da lui e dalle sue difficoltà.
Il comma 566, a parte le sue innegabili aporie giuridiche (Benci, Rodriguez), si è impantanato perché alla fine stringi stringi si è capito che il campanaro ci ha proposto fin dall’inizio  in maniera un po’ subdola   un gioco non  “politically correct”. Un gioco truccato spacciato come una grande rivoluzione senza esserlo a somma negativa dove qualcuno vince e qualcuno perde, dove qualcuno deve mollare qualcosa a qualcun altro, dove chi decide lo fa escludendo chi deve condividere le sue decisioni. Quindi un gioco sotto sotto pensato come una prova di forza... mettiamo insieme la fanteria pesante del PD e diamo una bella spallata a quei mascalzoni medico centrici che fanno il bello e il cattivo tempo in sanità.
 
Questa tribale quanto ingenua visione dei rapporti di forza ma soprattutto questa stupida idea della spallata ha avuto l’effetto di bloccare tutto, la malafede è venuta allo scoperto e i presunti mascalzoni medico centrici hanno cominciato a puntare i piedi (atto medico, ecc.).
 
Ma due sono stati fondamentalmente gli errori commessi dal campanaro e che piano piano sono stati sgamati:
· le spiegazioni speciose
· la non terzietà dell’istituzione
 
Le prime puntano ancora adesso a persuaderci che le competenze avanzate sono chissà che cosa, una grande svolta per tutti, ricorrendo ad ogni sorta di argomenti ma che gratta gratta, alla fine si rivelano come la solita storia delle rivoluzioni di carta che sulla carta restano e che non cambiano in realtà un bel niente perché oltre ad essere di carta non sono neanche rivoluzioni.
 
La non terzietà delle istituzioni riguarda il governo della sanità da parte del ministero della Salute e delle Regioni, che si sono poste nei confronti delle competenze avanzate in modo tutt’altro che imparziale. Il ministero fin dall’inizio si è schierato in modo davvero maldestro dalla parte di qualcuno contro qualcun altro, le regioni si sono sempre e unicamente preoccupate di rendere flessibile il lavoro per risolvere i loro problemi di bilancio.
 
Il problema è che l’imparzialità delle istituzioni è fondamentale per garantire il bene comune cioè per rendere compossibili le rivendicazioni peculiari delle professioni con l’interesse generale. Se in sanità l’istituzione non garantisce la terzietà è un bel guaio. La terzietà sino ad ora, per tante ragioni che non esplicito per amore della mediazione, non è stata garantita o quanto meno è stata gestita con i piedi, soprattutto quelli del PD.
 
Come ne veniamo fuori? Chiederei intanto alla politica (Lorenzin/De Filippo) di ristabilire prima di tutto la titolarità delle istituzioni. Il PD sotto forma di tanti personaggi poliformi sino ad ora è stato il vero casinaro, e quindi non è il PD, come propone qualcuno, che deve discutere sulle competenze avanzate ma il ministero competente. Quindi chiederei la terzietà del ministero, anche nei confronti delle regioni, in modo che si garantisca prima di ogni altra cosa l’interesse del cittadino.
 
Cioè chiedo che si rispetti il principio “ne figli e ne figliastri “, cioè imparzialità nei confronti delle professioni in lizza e compossibilità nei confronti delle regioni. Nel senso che qualsiasi cosa si intenda come flessibilità chi ci deve guadagnare prima di tutti gli altri deve essere il malato. Ristabilita la terzietà del ministero ridefinirei gli scopi del 566 facendo una operazione di verità sui problemi delle professioni. Cioè toglierei di mezzo le spiegazioni speciose che non convincono nessuno rendendo però tutti diffidenti e ripartirei dall’inizio chiarendo bene quale operazione intendo fare.
In pratica suggerisco all’istituzione terza di preparare un documento che azzeri i malintesi, che dica alla luce del sole quali sono i problemi reali delle professioni che si vogliono affrontare e come si intende risolverli. Quindi manderei il documento a tutte le professioni, nessuna esclusa, le convocherei in una riunione con il fine di arrivare intanto ad una condivisione sottoscritta di intenti.
 
Al solito approccio “da quali problemi partire” preferirei quello “chi ha dei problemi si faccia avanti”.
 
Cominciamo con il malato...egli ci dice:
· ho bisogno di un altro genere di operatore di cura e di assistenza ..perché non sono più il paziente che ancora credete di avere davanti
· ho bisogno di essere riunificato  perché per  ragioni vostre mi avete ridotto come uno spezzatino per cui  vi chiedo quanto meno una organizzazione sanitaria  riunificante
· ho bisogno di relazioni  perché voglio  far parte di tutte le decisioni che mi  riguardano e perché non sono riducibile ad un sintomo, non sono più solo un sintomo
· ho bisogno di riavere fiducia  nella medicina  e nei suoi operatori  perché ogni giorno leggo un sacco di schifezze di tutti i tipi, cioè non voglio essere curato in tribunale
· ho bisogno di una medicina ad personam perché sono un essere, un individuo ed una persona…quindi piano con la  medicina super protocollare, ecc
· io sono il malato…quindi  sto male...non scordatevelo mai...per cui alla fine ho bisogno di essere curato e  assistito e, quando possibile, guarito dai miei malanni.
 
Passiamo agli infermieri...essi ci dicono:
· abbiamo un paio di leggi (L.42/L.43) che riformano la nostra professione ma che sono rimaste inapplicate...perché non siamo riusciti  prima di tutto noi infermieri a creare nei servizi  le condizioni per il  cambiamento. Tuttavia noi abbiamo diritto che le nostre leggi siano applicate, quindi chiediamo di creare le condizioni sufficienti per applicarle e chiediamo e rivendichiamo cambiamento
· siamo per la maggior parte demansionati in due modi: rispetto alla norma che ci descrive come professionalità cioè siamo rimasti nostro malgrado dei vecchi infermieri (post ausiliarietà) e rispetto all’organizzazione sanitaria nella quale lavoriamo e nella quale facciamo i tappabuchi
· abbiamo una formazione del tutto difforme a quello che ci tocca fare, nella realtà studiamo tanto per fare spesso il lavoro che non ci  compete
· siamo sempre più precari e disoccupati e sempre più sfruttati
· insomma chiediamo di fare il nostro mestiere ma nel nostro tempo come Dio comanda...nulla di più
 
Passiamo ai medici. Essi ci dicono:
· la nostra potestà professionale in termini di ruolo, funzioni e competenze, sino ad ora non è mai stata definita come si deve, semplicemente perché sino ad ora non si è mai posto il problema di definirla. Ora per tanti motivi, anche per rispondere alle giuste richieste dei malati e degli infermieri, desideriamo definire la nostra professione, stabilire dei confini e chiarire le relazioni tra ruoli
· quello che noi chiediamo è che si riconosca in modo inequivocabile  la nostra  potestà clinica sul malato che non ha nulla a che fare con quelle sciocchezze sulla truppa e sui comandanti. Il servizio non è una caserma ma un setting, cioè un contesto organizzato per processi che vanno governati agiti dalle diverse prassi professionali. Il setting di un servizio medico sanitario ha una natura clinica e assistenziale quindi ha bisogno di un governo clinico di cui chiediamo la titolarità incondizionata a partire dalla quale, e “non” a prescindere dalla quale, definire l’organizzazione dell’assistenza, cioè le titolarità e le autonomie necessarie per svolgerla
· anche noi, come gli infermieri, abbiamo problemi di  demansionamento. Il più vistoso è la burocratizzazione della professione. Anche molti di noi pur di lavorare accettano di svolgere mansioni poco appropriate alla nostra qualifica, anche noi abbiamo problemi di precariato e di disoccupazione ma il demansionamento più importante è legato alla nostra autonomia di giudizio su ciò che è necessario per il malato, quindi alla sfera del governo clinico, nel senso che la tendenza nelle aziende è considerarci poco più che pezze da piedi, eterodirette da standard, procedure, algoritmi, ecc. Ecco perché rivendichiamo titolarità incondizionata, che non vuol dire indisponibilità a risolvere le questioni economiche ma vuol dire titolarità della scelta e della decisione in autonomia e responsabilità (autore)
·anche noi abbiamo problemi di  formazione, sicuramente lavoriamo  in organizzazioni obsolete che rispetto a quello che dice il malato hanno sicuramente un forte grado di regressività
· anche noi chiediamo il diritto di fare il nostro mestiere al meglio delle nostre possibilità. Non abbiamo leggi particolari da applicare come gli infermieri ma abbiamo una mission da sovra intendere, che a questo punto intendiamo chiarire e rispetto alla quale tutto è oggettivamente successivo. Basta con la storia del medico centrismo: davanti ad un malato da curare ci sono atti cognitivi che vengono prima di altri e avviano dei processi. In questi processi i centri sono tanti e tutti eccentrici ma in un setting ci vuole che qualcuno li governi. Come? Siamo disposti a discuterne.
 
Se questi sono i problemi, a quali condizioni si può aprire una discussione:
· assumere come punto di partenza i tre punti di vista prima riportati
· ammettere che vi è un problema di  ridefinizione e di  redistribuzione di  ruoli, contenuti ,funzioni, modi e  le loro relazioni
· garantire a un tempo autonomia specificità e  cooperazione ridefinendo senza ambiguità i confini tra professioni 
· dichiarare comunque la propria adesione ad una filosofia di   “engagement” (coinvolgimento, impegno, relazione) quindi qualsiasi forma di autonomia  non può essere interpretata come autarchia
· rifiutare gli approcci di vicarianza, di fungibilità, di demansionamento a catena che mettono le professioni in conflitto le professioni sono diverse e una volta chiariti i ruoli non sono né vicariabili né fungibili
· sviluppare in massimo grado tutte le potenzialità specifiche di ogni professione perché dopo aver ridefinito i domini delle prassi ogni professione in quanto tale ha filo da tessere più di quello che si crede
· rifiutare tutte le soluzioni che hanno un esito di decapitalizzazione del lavoro o siano orientate a meri obiettivi di risparmio cioè non siano compossibili con le esigenze primarie del malato
· interpretare il costo zero non come un limite invalicabile ma come un tetto di spesa transitorio all’interno del quale a condizioni di riqualificazione della spesa complessiva a scala di servizio, si possano fare operazione di redistribuzione del reddito  tra operatori sulla base dei risultati e degli esiti.
 
Dopo di che il secondo step. Come definire confini? Come organizzare delle autonomie ad engagement obbligato? Come ridefinire le relazioni tra professioni? Come ripensare le organizzazioni?
 
Ivan Cavicchi

02 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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