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Clinica e assistenza. Ecco perché la sentenza del Tar Lazio, piaccia o meno, è ineccepibile

di Roberto Polillo

La Regione Lazio aveva infatti introdotto una verticale ed irrazionale separazione di funzioni che, come sempre da tutti sostenuto, devono restare fortemente integrate. Quindi nulla da eccepire sul piano del diritto alla sentenza del Tar Lazio. Come uscirne? La via non può che essere quella di un confronto, vero, tra tutte le professioni

21 MAG - Il destino del testo scritto 
Il destino di ogni testo scritto è quello di essere soggetto a una molteplicità di letture e interpretazioni e quello che lo denota, a differenza della parola udita, è la mancanza immediata del soggetto a cui è indirizzato. Il filosofo francese Derrida ha lungamente dibattuto questo tema e ha usato il termine différance per indicare questa peculiarità dello scritto rispetto alla parola.  
 
La forma scritta, per Derrida sottrae il testo al suo contesto di origine e lo rende disponibile ai fini della sua decifrabilità al di là del suo tempo, ma nello stesso tempo essa è differente da ciò di cui prende il posto perché rispetto all'essere a cui essa rinvia c'è sempre una differenza, uno scarto che non può mai essere definitivamente colmato.
 
E se questo è vero per testi sacri come la Bibbia dove una schiera di grandi commentatori ne hanno fatto l’esegesi, figuriamoci se a tale destino possano sfuggire le norme o le leggi prodotte dagli uomini
 
In questo ultimo caso tuttavia il “circolo ermeneutico” non può perdurare all’infinito e si dovrà fermare quando un giudice, di livello appropriato, emanerà una interpretazione della legge sotto forma di sentenza che come tale acquista una validità erga omnes. Esiste poi una ulteriore possibilità per fugare alcune incertezze interpretative ed è quella di ricostruire il contesto e il razionale in cui alcuni provvedimenti hanno visto la luce.
 
Entrando nel merito della sentenza del TAR di Roma che dichiara illegittima la delibera regionale di istituzione dei Dipartimenti infermieristici con la netta separazione dell’attività clinica da quella assistenziale, ritengo di potere ricostruire le motivazioni che indussero nel 2007 l’allora Sottosegretario Gian Paolo Patta a predisporre il provvedimento applicativo dell’articolo 6 della legge, 251/2000, sulla cui base la regione Lazio ha emanato la delibera in questione
 
Il contesto in cui nacque l'accordo Stato regioni applicativo dell’articolo 6 della legge 251/2000
Il gruppo di lavoro che dette forma al DPCM che recepì l'accordo Stato regioni del 15 novembre 2007, applicativo dell’articolo 6 della legge 251 del 2000 (insieme alla 43/2006 e al disegno di legge di istituzione degli ordini delle professioni sanitarie non andato a buon fine) era coordinato dal sottoscritto e si avvaleva della direzione generale delle professioni sanitarie del Ministero e di altre figure tra cui Saverio Proia e il segretario particolare del sottosegretario.
 
Gli obiettivi che più in generale ci si era riproposti erano duplici: da un lato quello di introdurre dei meccanismi di valorizzazione delle professioni sanitarie; dall’altro quello di superare la figura degli infermieri generici attraverso un processo di equiparazione al resto del personale.
 
Dei due obiettivi fu possibile realizzare solo il primo per la ostinata opposizione del collegio degli infermieri che opponeva alla equiparazione proprio la mancanza di un adeguato titolo di studio. Alla nostra obiezione che spesso le mansioni effettivamente svolte erano identiche, si rispondeva che tale evidenza non era sufficiente e il provvedimento non poté vedere la luce.
 
Per quanto riguarda invece il primo punto era del tutto lapalissiano, anche per la presenza di altri due sottosegretari medici tra cui Serafino Zucchelli ex segretario Nazionale ANAAO, che la norma faceva salve le riserve professionali delle altre figure professionali, ovvero sia dei medici, che da tale provvedimento non dovevano riportare alcuna diminutio delle proprie competenze.
 
La sentenza del TAR Lazio
Questo orientamento è stato correttamente interpretato dal TAR Lazio che ha emesso una sentenza, a mio giudizio, in linea con le leggi vigenti, e con la stessa Legge 251, laddove si dice che le attribuzioni del nuovo dirigente... dovranno consentire un adeguato livello di integrazione... “garantendo il rispetto dell’unicità  della responsabilità dirigenziale per gli aspetti professionali ed organizzativi interni delle strutture di appartenenza”.
 
Tutto il contrario di quello che ha inteso fare la Regione Lazio (con un provvedimento dal sapore decisamente politico) introducendo una verticale ed irrazionale separazione di funzioni che, come sempre da tutti sostenuto, devono restare fortemente integrate.
 
E questo nonostante il DLgs 229/99 (attualmente vigente) che, ridefinendo le competenze dei medici, lungi dal ridimensionare il ruolo del Dirigente di struttura complessa, ne ha rafforzato competenze in senso manageriale.
Tutti coloro che a quella stagione di riforme hanno dato il loro contributo sanno che questo era lo spirito della legge e in questo caso il TAR ne ha fatto una lettura corretta ed equilibrata.
 
La co-evoluzione delle professioni
Cavicchi ha giustamente sottolineato che il dato utilizzabile in senso politico della sentenza è il richiamo del TAR alla necessità della concertazione tra le diverse professioni. L’apertura di un tavolo di confronto, garantito dallo stesso Ministro Lorenzin, è giustamente ritenuto il sine qua non per tentare di superare una situazione di grave stallo e di conflitto interprofessionale.
 
C’è tuttavia da segnalare che negli ultimi 15 anni il processo di evoluzione delle diverse professioni ha assunto un andamento non univoco e che per i medici, in realtà, si è rivelato una perdita di status importante sia in termini di ruolo che in termini economici. Del tutto diverso da quello che è avvenuto per le professioni sanitarie che hanno visto invece una importante e giusta valorizzazione per lo meno in termini professionali. Questo dato di partenza va tenuto nel debito conto perché altrimenti c’è il rischio che il tavolo di concertazione si traduca in una ulteriore penalizzazione per le professioni mediche e che invece devono recuperare il ruolo che la politica ha sottratto loro.
 
Considerazioni finali: separare la clinica da management
E’ ormai chiaro che il modello organizzativo delle ASL e delle AO basato sui dipartimenti non ha dato i risultati sperati in termini di efficienza gestionale e migliore utilizzazione delle risorse umane. E fede ne fa il deficit che stritola le aziende di gran parte del territorio nazionale e che le regioni devono ripianare attraverso l’imposizione fiscale aggiuntiva a diretto carico dei cittadini
Un vero bluff si è rivelato l’intero processo di aziendalizzazione e la creazione di figure ibride a metà strada tra la clinica e il management (destino che accomuna la stragrande maggioranza dei direttori di struttura).
 
La soluzione allora non è procedere alla istituzione di nuovi dipartimenti che non potranno dare quelle risposte che i precedenti non sono riusciti a fornire ma cambiare il modello organizzativo. Un modello organizzativo che abbia qualche possibilità di incidere realmente sulla efficienza delle aziende (e che ho provato a delineare in un mio precedente intervento dedicato all’ospedale) deve, a mio giudizio, prevedere, tra l’altro, una netta separazione delle figure gestionali da quelle cliniche e questo vale per i medici e per le professioni sanitarie.
 
E la separazione passa attraverso uno specifico percorso formativo (oggi mancante) che deve essere formalizzato dalla università e a cui si dovrebbe potere accedere a partire da una laurea magistrale di diverso indirizzo
In mancanza di questo si continuerà a elargire indennità e funzioni che non avranno nessun ritorno in termini di miglioramento delle performances aziendali.
 
Roberto Polillo

21 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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