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Stati generali della rete trapiantologica. Intervista a Nanni Costa (Cnt): “L'attività fisica è un potentissimo strumento di riabilitazione per i trapiantati”

di Ester Marago'

È questa la buona notizia che emerge dall’incontro tra gli esperti italiani in materia di trapianti. Una due giorni di lavori dedicata a tutti gli operatori della rete trapiantologica, che ha coinvolto oltre 450 esperti per confrontarsi sulle esperienze di best practice, sulle nuove linee guida, sulle strategie e i programmi su cui puntare nei prossimi anni.

12 NOV - “L’attività fisica cambia in maniera straordinaria la vita dei pazienti trapiantati”. Parola di direttore del Centro nazionale trapianti, Alessandro Nanni Costa che, forte dei dati raccolti dal 2010 anno in cui è partito ufficialmente il Progetto “Trapianto… e adesso Sport”, con determinazione assicura che andare in palestra tre volte la settimana aiuta a raggiungere i livelli di qualità di vita “impensati e impensabili”. Un progetto unico al mondo che sta dando i suoi frutti, e di cui andare fieri, assicura il direttore del Cnt. Uno dei tanti, perché l’Italia sul fronte dell’attività dei trapianti ha parecchie frecce in faretra. Basta pensare che il “Codice unico Ue” per la tracciabilità di tutti i tessuti e le cellule individuato con una recente Direttiva della Ue prende le mosse da un’idea tutta italiana.
 
Soprattutto quella dei trapianti è un’attività che non si ferma, come testimoniano gli “Stati Generali della Rete Trapiantologica Italiana” organizzati a Roma l’11 e il 12 novembre.Una due giorni di lavori dedicata a tutti gli operatori della rete trapiantologica, che ha coinvolto oltre 450 esperti per confrontarsi sulle esperienze di best practice, sulle nuove linee guida, sulle strategie e i programmi su cui puntare nei prossimi anni.
Molti i temi inseriti nel fitto programma che per la prima volta ha messo a confronto i trapianti d’organo e con quelli delle staminali emopoietiche. Anche in questo caso, un primato tutto italiano, come ci ha spiegato Nanni Costa in questa intervista.
 
Direttore è la prima volta che la rete nazionale trapianti, tutta insieme, si confronta in una due giorni fitta di impegni. Da dove nascono questi Stati generali?  
Chiarisco subito che non abbiamo cercato nulla di celebrativo. Queste giornate rispondono alla volontà di mantenere un’organizzazione di rete, come quella della donazione e del trapianto, particolarmente duttile e reattiva verso gli stimoli o gli ostacoli che arrivano dai cambiamenti in atto nel sistema sanitario. Per questo abbiamo cercato un confronto non solo con i coordinamenti quindi con i rappresentanti delle Regioni e degli Assessorati, ma con tutti i principali gli attori della rete: dalle Associazioni alle componenti chirurgiche a quelle internistiche. Abbiamo perciò utilizzato una metodologia internazionale basata sulla presentazione di relazioni, il confronto con esperti e una discussione finale che ci ha consentito di far sentire tutti protagonisti e soprattutto di raccogliere gli spunti che arrivano dalla rete. In sostanza una metodologia ci ha consentito di ascoltare per poi poter dare delle risposte.
 
Quali sono, in questo momento, i temi sul tappeto?
Sono molti e tutti di grande interesse. Noi vantiamo un sistema di valutazione del rischio fondato su linee guida ad hoc che si è dimostrato molto efficace. Tuttavia dobbiamo ragionare sull’impatto che queste linee guida hanno avuto e avranno sulla rete. Dobbiamo poi capire come mantenere e aumentare le donazioni a cuore battente e fare crescere quelle a cuore fermo, cosa che avverrà grazie a un Piano nazionale delle donazione che individui elementi minimi di qualità da diffondere in ogni Regione e in ogni rianimazione. Elementi che andranno sicuramente condivisi con tutti gli attori.Altro tema è quello del “Codice unico Ue” per la tracciabilità di tutti i tessuti e le cellule dal donatore al ricevente, e viceversa. Un progetto che nasce da un’idea tutta italiana di cui siamo orgogliosi. Ma uno dei fiori all’occhiello di questi Stati Generali è il tema del trapianto di staminali emopoietiche. Abbimo portato avanti un’operazione importante e innovativa non solo per l’Italia, ma in assoluto.
 
Mi spieghi?
Per la prima volta abbiamo fatto sì che due mondi, quello dei trapianti d’organo e quello delle staminali emopoietiche iniziassero a parlarsi per capire se esistono problematiche comuni, e quindi anche comuni risposte ai problemi condivisi. Anche per arrivare a comuni iniziative normative.
Le loro criticità riguardano essenzialmente le nuove metodologie da attuare per cercare un donatore in attesa di trapianto. Fino ora gli unici donatori utilizzati erano i familiari con una compatibilità al 100%. o quelli iscritti nei registri internazionali. Da qualche anno a questa parte, e in Italia con una notevole diffusione, si sta andando verso il trapianto da familiari, quindi genitori e figli, con una compatibilità al 50%. Per quanto riguarda i fratelli siamo passati da una compatibilità del 25% al 70%, un fattore potenzialmente importantissimo che non toglie peso ai registri, che rimangono un fondamentale punto di riferimento.

Ma per i pazienti ci sono novità?
Una buona notizia sono le conferme che ci arrivano dallo studio prospettico cominciato nel 2010 che prende le mosse dal Progetto “Trapianto… e adesso Sport” ideato nel 2008. E' l’unico studio al mondo su questo aspetto. Abbiamo visto che la somministrazione dell’attività fisica è un potentissimo strumento di riabilitazione per i pazienti trapiantati. Chi ha avuto un trapianto e va in palestra tre volte alla settimana raggiunge dei livelli di qualità di vita impensati e impensabili. Certo a tutti fa bene andare in palestra, ma ai pazienti trapiantati ancora di più che agli altri.
 
Cosa è emerso
Grazie all’attività fisica, si riescono a tenere sotto controllo creatinina e colesterolo, si controbilanciano gli effetti della terapia immunodepressiva di tipo metabolico. Funzionano meglio gli organi. Insomma, si ottengono risultati inattesi. Lo sport può, quindi, fungere da terapia oltre ad essere fondamentale per sentirsi meglio anche a livello psichico.
La casistica più consistente che abbimo fin ora raccolto riguarda i trapiantati di rene, ma ora stiamo studiando i pazienti con trapianto di cuore, fegato e polmone. Soprattutto per quanto riguarda quest’ultimo organo, l’attività fisica ha prodotto dei risultati straordinari, e ora stiamo lavorando su pazienti con fibrosi cistica ancora non trapiantati. Li abbiamo portati in roccia con risultati straordinari.
 
Ci sono controindicazioni?
Assolutamente no, tutti i pazienti possono e devono fare sport. Portare i pazienti trapiantati in palestra vuol dire cambiargli la qualità della vita, più che con i farmaci.

12 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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