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Il Codice Ipasvi e la bioetica: cosa cambia con il nuovo testo

di Daniele Rodriguez

I cambiamenti fra bozza e codice in punto di fine vita consistono nella tutela della volontà della persona di porre limiti agli interventi, compresi quelli salva-vita, quando questa volontà discenda dalla sola concezione di qualità della vita della persona stessa, cioè anche quando gli interventi proposti siano proporzionati alla condizione clinica

05 MAR - La recente contemporanea pubblicazione, su Quotidiano Sanità, dell'articolo di Luca Benci sulla bozza di una nuova stesura del codice deontologico degli infermieri e della notizia del convegno di Firenze del 24 febbraio sul medesimo argomento, notizia in cui era riportata un'estrema sintesi dell'intervento da me svolto in quella occasione, mi inducono a scrivere alcune note per precisare il mio pensiero.
 
Questo articolo non intende affrontare esaustivamente i contenuti della nuova bozza di codice deontologico, ma vuole soffermarsi solo su alcuni aspetti straordinariamente innovativi, e limitatamente ai passi di maggiore pregnanza sotto il profilo bioetico.
 
La mancata citazione del rispetto per la vita
Nell'attuale bozza del codice deontologico non compare mai una espressione che affermi il "rispetto della vita", come invece fa l'art. 3 del codice deontologico vigente.
 
Per valutare il fatto che questa locuzione sia scomparsa nella bozza, conviene tenere presenti alcuni passi del codice in vigore.
 
Si consideri il testo dell'art. 3: "La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo."
 
Il disposto è chiaro e non necessita di commenti. Altrettanto chiaro è l'art. 6: "L’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione,cura, riabilitazione e palliazione."
 
Nell’art. 3 sono menzionati quattro valori di riferimento, vita, salute, libertà e dignità, senza prospettare alcuna gerarchia tra loro. La gerarchia scaturisce dall’art. 6, che identifica la salute come bene fondamentale della persona nonché, riecheggiando l’art. 32 della Costituzione, come interesse della collettività.
 
Ciò significa che, nell'eventualità di dover procedere a scelte professionali, comportanti alternative in conflitto, perché finalizzate l'una alla tutela della vita e l'altra alla tutela della salute, come può per esempio avvenire nel caso di rifiuto consapevole di una terapia salva-vita,  il codice deontologico fornisce un'indicazione favorevole alla tutela della salute, da intendere come bene fondamentale, anche rispetto alla vita.
 
È appena il caso di ricordare che il concetto di salute non coincide con quello di integrità, ma discende dalla definizione contenuta nell’art. 1 del Protocollo relativo alla costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità, stipulato a New York il 22 luglio 1946, recepito nel nostro ordinamento con D.Lgs.C.P.S. 4 marzo 1947, n. 1068: «La santé est un état de complet bienêtre physique, mental et social, et ne consiste pas seulement en une absence de maladie ou d’infirmité.»
 
In definitiva, salute è benessere; pertanto è evidente che solo la singola persona, consapevole, è in grado di valutare il proprio benessere. Ogni soggetto ha una percezione della salute individuale, basata su valori, concezioni e criteri di giudizio, frutto di specifiche conoscenze ed elaborazione di esperienze personali.
 
La salute, dunque, è espressione di una valutazione soggettiva, della singola persona, che discende dalla propria concezione di benessere, ossia delle proprie libertà e dignità.
 
Coerente con questa lettura è il vigente art. 36: "L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita." È pacifico che la locuzione "qualità di vita" non corrisponde al concetto che esprime il sostantivo "vita", in sé e per sé; anzi ha significato affine, se non coincidente, con quello di salute nella accezione dell'OMS  appena citata.
 
È inoltre da aggiungere che l'art. 27 della bozza ricalca il citato art. 36, ma, rispetto ad esso, è ancora più rispettoso della dignità della persona: "L'infermiere tutela la volontà della persona assistita di porre dei limiti agli interventi che ritiene non siano proporzionati alla sua condizione clinica o coerenti con la concezione di qualità della vita espressa dalla persona stessa." I parametri di riferimento sono gli stessi, ma nella bozza la sostituzione della congiunzione "e" con "o" non rende più necessarie entrambe le condizioni.
 
Secondo la bozza, è da rispettare anche la sola concezione di qualità della vita della persona, a prescindere dal fatto che gli interventi proposti non siano proporzionati alla sua condizione clinica. Invece, in base all'art. 36 vigente, la volontà della persona assistita circa i limiti da porre all'intervento va presa in considerazione a condizione che sussista anche, e sempre, la non proporzionalità con la condizione clinica.
 
Il punto di partenza del ragionamento circa la mancanza, nella bozza, di qualsiasi menzione del "rispetto della vita" è dato dunque dal fatto che la lettura combinata degli articoli 3 e 6 permette di identificare nel codice deontologico vigente una scala gerarchica, che induce a ritenere prevalente la salute rispetto alla vita, nei casi – per esempio, di rifiuto di terapie salva-vita – che prospettano scelte professionali diversificate, con conflitto fra i due valori.
 
L'attuale bozza prosegue nel solco tracciato da questa impostazione del codice vigente. Il sostantivo "vita" compare, nella bozza di codice, solo nelle locuzioni "rispetto … delle scelte di vita" (art. 3), "promuove stili di vita sani" (art. 7), "informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita " (art. 17), "progetto di vita" (art. 20), "fine vita" (capo IV ), "concezione di qualità della vita espressa dalla persona stessa" (art. 27).
 
È evidente che nessuna di queste espressioni corrisponde al concetto di "rispetto della vita"; anzi, alcune di esse – scelte di vita, stili di vita,  progetto di vita – sono attinenti alla "concezione di salute e di benessere", cui va assicurato rispetto in base alle indicazioni dell'art. 3 della bozza. Il rispetto della vita non è dunque menzionato nella bozza: pertanto esso sussiste, non di per sé come dichiara il vigente codice deontologico, ma solo e soltanto in quanto è eventualmente connesso al "rispetto della dignità, della libertà, dell’uguaglianza della persona assistita, delle sue scelte di vita e della sua concezione di salute e di benessere" secondo il disposto dell'art. 3.
 
La bozza di codice deontologico indica dunque che le scelte professionali rispettose della dignità della persona e degli altri fattori appena indicati sono legittime anche se la loro realizzazione è in contrasto con il rispetto della vita.
 
La nuova posizione sull'eutanasia
Nella bozza di codice non figura alcun articolo che confermi o che comunque riprenda il contenuto del vigente art. 38, che sancisce che "l'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito."
 
La mancata menzione, nella bozza, del rifiuto della partecipazione ad attività eutanasiche sta a significare che si tratta di materia non più disciplinata dal codice deontologico. Ogni singolo infermiere procederà, di volta in volta, alle opzioni che riterrà opportune.
 
Chi pensa di poter confutare questa interpretazione  della novità assoluta, costituita dal silenzio del codice in materia di eutanasia, non ha argomenti solidi.
 
Non è sostenibile la tesi per cui questo silenzio starebbe a significare che la precisazione del rifiuto dell'eutanasia proclamato nel vigente art. 38 è superflua: il dibattito che da anni coinvolge il tema contrasta fortemente con un simile punto di vista e anzi avrebbe dovuto indurre a ribadire – se questa fosse stata la posizione degli estensori della bozza del codice – la negazione dell'eutanasia.
 
Non è neppure accettabile la tesi per cui le preliminari indicazioni di carattere etico, su valori e principi, contenute nel capo I, sarebbero supporto sufficiente per una posizione di rifiuto dell'eutanasia, che quindi sarebbe stato superfluo ribadire.
 
Anche riguardo a questa tesi, è vero, piuttosto, il contrario: l'art. 3, in particolare, proclama il "rispetto della dignità, della libertà, dell’uguaglianza della persona assistita, delle sue scelte di vita e della sua concezione di salute e di benessere". Esso non cita il rispetto della vita, né, come poco prima illustrato, lo prescrive alcun altro articolo della bozza.
 
Vi è una terza tesi a possibile sostegno del fatto che il silenzio di cui ora si parla non è in contrasto con la negazione dell'eutanasia: l'ultima disposizione finale della bozza di codice deontologico prevede che "i Collegi professionali, recepiscono e attuano le indicazioni legislative, regolamentari e giuridiche, inerenti il loro essere enti ausiliari dello Stato"; se quest'affermazione significa – il che è comunque discutibile – che il codice deontologico detta disposizioni in linea con le previsioni di legge e che, tutte le volte in cui una questione è disciplinata da una norma di legge, il codice deontologico si astiene dal ribadire la medesima disciplina, da intendere comunque confermata, allora sarebbe superfluo censurare nel codice deontologico l'eutanasia che già la legge sanziona penalmente. 
 
Un simile ragionamento pecca di superficialità, perché nessuna legge  menziona espressamente l'eutanasia e perché occorre una specifica competenza giuridica per distinguere fra le fattispecie eventualmente attinenti – omicidio, omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio –  e per ricavare, dagli articoli del codice penale che descrivono – in termini generalissimi e mal riconducibili alle dinamiche dell'eutanasia – le rispettive condotte, le pertinenti indicazioni di carattere positivo volte a descrivere il comportamento deontologicamente corretto. In parole più semplici, proprio in tema di eutanasia, i risvolti giuridici sono di complessità tale da rendere opportuna una semplificazione, che proprio il codice deontologico è chiamato a fare, e che fa nella versione attualmente in vigore, per descrivere il comportamento atteso dal professionista, se l'obiettivo è quello di indicare al professionista di attenersi al principio della negazione della eutanasia.
 
Anche la tesi della superfluità del ribadire, stante il disposto penale, la posizione di negazione dell'eutanasia non resiste dunque alla critica.
 
L'attuale bozza di codice deontologico non contrasta, quindi, con un'eventuale scelta dell'infermiere di aderire  alla richiesta della persona assistita di prendere parte a procedure eutanasiche.
 
In definitiva, ribadito che nessun passo del capo I – e neppure della restante parte della bozza – contempla la vita, in quanto tale, fra i valori da tutelare, l'impostazione della bozza di codice deontologico è chiara: si tratta, in ogni singolo caso, di una scelta del singolo infermiere sulla base dei "propri principi e valori".
 
La posizione invariata sulle direttive anticipate o meglio sullapianificazione condivisa delle cure
Il contenuto del vigente art. 37 è trasfuso nell'art. 23 della bozza in termini pressoché identici. Si passa dal vigente "L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato" al proposto "L'infermiere, quando la persona assistita non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lei documentato o chiaramente espresso in precedenza".
 
Questa invarianza del testo è in linea con quanto sopra indicato a proposito dell'eutanasia, circa il riconoscimento da parte del codice deontologico della competenza dell'infermiere di saper prendere una decisione pertinente, valutando le caratteristiche di ogni singolo caso, anche alla luce delle indicazioni generali dell'art. 3, già citato.  
 
Una tale decisione è possibile anche senza disciplinare in forma estremamente analitica la materia, come invece è avvenuto per il codice di deontologia medica, che nella versione del 2006 recava un disposto sostanzialmente sovrapponibile a quello che sarebbe stato accolto nel codice deontologico dell'infermiere nel 2009, mentre nella versione del 2014 si è appesantito con una serie di condizioni e clausole, che ampiamente limitano la possibilità di attuare in concreto dette manifestazioni di volontà.
 
L'aver confermato, nella bozza, l'opzione di attenersi ad un testo lineare ed essenziale, non condizionato da precisazioni di carattere regolamentare, significa voler proseguire in un percorso di effettiva presa in carico delle persone, anche nei momenti in cui le loro possibilità di manifestazione della volontà sono abolite.
 
È positivo il fatto che, nel codice vigente e nella bozza, non compare alcuna denominazione, ma esclusivamente si descriva una situazione; inoltre, non figura l'aggettivo "anticipato" (riferito, per esempio, alle direttive o alle dichiarazioni o ai desideri).
 
La attuale bozza insiste nell'uso dell'espressione "in precedenza", che è adottata nel testo in vigore e risulta decisamente generica e non caratterizzata dalla nota critica di incoerenza temporale che grava sull'oggettiva "anticipato". "In precedenza" è un'espressione neutra, mentre "anticipato" fa intendere che l'attività sia "fuori tempo" perché troppo precoce.
 
Nella bozza, continua (rispetto al codice vigente) a non essere richiamato alcuno specifico intervento o atto professionale.
 
Anche questo fatto è degno di menzione, perché in questo modo il disposto va inteso come riferito non tanto ad un'attività singola, quanto piuttosto ad una progetto globale di presa in carico.
 
In altre parole, quando si parla di manifestazioni di volontà della persona assistita, il riferimento necessario è al progetto di cura piuttosto che a una singola attività. Individuando così l’oggetto della volontà della persona, cade anche l’equivoco relativo al momento di manifestazione della volontà e segnatamente del rifiuto di cure.
 
L’attualità della manifestazione di volontà deve essere concepita, infatti, in senso logico e non meramente cronologico; altrimenti ragionando, ogni volontà manifestata in un tempo non strettamente contestuale al singolo atto sanitario dovrebbe considerarsi non valida per la sua inattualità.
 
La formulazione testuale, sia dell'art. 37 vigente, sia dell'art.  23 della bozza, consente di riferire la manifestazione di volontà al progetto e non al singolo atto professionale e di considerarla persistente, in proiezione futura, anche quando espressa "in precedenza".
 
La sopravvenuta incoscienza non fa perdere validità ad un rifiuto manifestato in precedenza. Un eventuale rifiuto, così espresso, riferendosi al progetto di cura, continua a essere attuale e valido oltre il momento della sua espressione; perciò è improprio intenderlo come anticipato, allorquando insorga – esattamente come previsto nel progetto di cura, compreso dalla persona e con questa concordato – lo stato d'incoscienza.
 
La posizione espressa, sia nel codice in vigore sia nella bozza, sembra  dunque interpretabile quale pianificazione condivisa delle cure piuttosto che come direttiva/dichiarazione anticipata ed appare in sintonia con molti aspetti del testo unificato del progetto di legge "Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari" elaborato dal Comitato ristretto  della XII Commissione permanente (Affari sociali) della Camera dei Deputati (vedi mio articolo del 15 dicembre scorso).
 
La valorizzazione dei principi e dei valori dell’ infermiere nella clausola di coscienza
La clausola di coscienza è la volontaria non esecuzione di un’attività, eticamente non condivisibile,  richiesta da altri e costituisce un’opzione estrema, da attuare solo in caso di posizioni del richiedente assolutamente inconciliabili, attraverso il dialogo, con quelle del professionista.
 
In relazione all'impostazione del codice deontologico (sia nel testo vigente sia nella bozza), va escluso – anche perché il disposto concerne situazioni in cui sia realizzabile un dialogo – che il conflitto possa riguardare il contrasto con una disposizione di legge; in questo caso, si parla di obiezione di coscienza, che corrisponde all’astensione, espressamente prevista da una norma di legge, da una determinata attività, intrinsecamente doverosa.
 
Tre sono le leggi che la contemplano: la legge 22 maggio 1978, n. 194, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” (art. 9); la legge 9 febbraio 2004, n. 40, "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" (art. 16);  la legge 12 ottobre 1993, n. 413, "Norme sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale" (art. 2). La clausola di coscienza attiene a situazioni non corrispondenti a quelle disciplinate dalla legge con il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. Il codice deontologico degli infermieri ampiamente tratta della prima e non reca alcuna norma relativa alla seconda.
 
L'argomento della clausola di coscienza è sviluppato nella bozza in due diversi articoli: il 6 ed il 33,  il primo si riferisce alla persona ed il secondo all'organizzazione. Nel codice in vigore, al tema è dedicato il solo art. 8, applicabile in tutte le diverse possibili circostanze, a prescindere dal soggetto con cui l'infermiere entra in conflitto.  
 
Questo art. 8 contempla che, in caso di “conflitti determinati da diverse visioni etiche ",  l’impegno primo che l’infermiere è chiamato ad assumere, è il dialogo; quando il conflitto non è componibile,  l’infermiere potrà arrivare ad avvalersi della clausola di coscienza, qualora l'attività richiesta risulti contraria sia ai principi etici della professione sia ai valori dell’infermiere.
 
La formulazione del testo dell'art. 6 della bozza ricalca in generale il contenuto dell'art. 8 vigente: le differenze sono formalmente modeste ma incidono profondamente sul significato della norma.
 
Anche l'art. 33 segue il modello dell'art. 8, pur se con minore aderenza al testo, e comunque  reca modifiche essenziali, analoghe a quelle dell'art. 6. Secondo i due articoli (6 e 33) della bozza, ferme restando le condizioni base del conflitto e della ricerca di una composizione (attraverso il dialogo nell'art. 6, previa attivazione dell'infermiere volta a proporre soluzioni alternative nell'art. 33), l'infermiere può avvalersi della clausola di coscienza in caso di "richiesta di attività in contrasto con i principi e i valori dell’ infermiere e/o con le norme deontologiche della professione". 
 
In pratica, la congiunzione "e" posta, nel vigente art. 8, a statuire il doppio contrasto sia con i valori dell'infermiere, sia con le norme deontologiche, è sostituita, negli articoli  6 e 33 della bozza, dalla previsione alternativa "e/o": per attivare la clausola di coscienza è dunque sufficiente un contrasto anche solo con i principi e valori dell'infermiere, a prescindere dal fatto che essi siano coerenti con quelli della professione. La nuova norma proposta attribuisce valore intrinseco a principi e valori del singolo, anche se non sono aderenti a principi e valori della professione.
 
A conferma che l'intenzione degli estensori della attuale bozza del codice fosse quella di valorizzare principi e valori del singolo, sta un'altra modifica intervenuta fra il testo dell'art. 8 del codice vigente e l'art. 6 della bozza. La precondizione, contenuta nella prima frase di ciascuno dei due articoli, è data, nell'art. 8 vigente, da "diverse visioni etiche", senza ulteriori specificazioni, e, nell'art. 6 della bozza, da "concezioni etiche diverse dalle proprie", essendo "proprie" riferito all'infermiere.
 
Nel caso dell'art. 8 in vigore, la diversità delle visioni etiche non è meglio definita; nel caso dell'art. 6 della bozza, la diversità concerne le concezioni etiche proprie di quel ben determinato infermiere.
 
La scelta degli estensori della nuova bozza di codice di non reiterare il contenuto dell'art. 4 in vigore può essere considerata coerente con il preminente significato attribuito alle concezioni etiche del singolo professionista.
 
Detto articolo recita: "L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona". Tuttavia, proprio la persistenza, negli articoli 6 e 33 della bozza, del contenuto dell'attuale art. 8 rende superflua l'abrogazione dell'art. 4.
 
Ma oltre che superflua, questa abrogazione appare gravida di ricadute professionali, tendenzialmente negative, circa le caratteristiche dell'impegno dell'infermiere, in rapporto alla solidarietà verso l'altro e alla relazione con la persona assistita.
 
L'art. 4 si caratterizza, rispetto ad analoghi articoli dei codici deontologici di altre professioni sanitarie, per le peculiarissime scelte lessicali, le quali evidenziano, attraverso l'uso dell'espressione "tenere conto", che l’infermiere, nel suo agire, è chiamato a rendere effettivi i principi di equità e giustizia. In altri termini: l'art. 4 non reca norme di carattere solo e soltanto antidiscriminatorio, ma va ben oltre questa prospettiva.
 
È facile percepire la pregnanza del "tenere conto", rispetto alle espressioni rigorosamente antidiscriminatorie, comunque meno impegnative, che ricorrono negli altri codici deontologici, quali "a prescindere/prescindendo", "indipendentemente",  "senza discriminazioni".
 
L'abrogazione dell'art. 4 in vigore annullerebbe un percorso virtuoso, che era giunto – anzi che è giunto – a superare una prospettiva meramente antidiscriminatoria .
 
Osservazioni conclusive. Quali novità in tema di fine vita?
Come chiarito in introduzione, questa nota intende soffermarsi non su tutte le novità contenute nella bozza di nuovo codice, ma solo su alcuni aspetti di interesse bioetico. Chiudo pertanto l'intervento ed esprimo due osservazioni conclusive: una formale di carattere generale ed una sostanziale relativa al fine vita.
 
Una peculiarità di questa bozza di codice deontologico è che gli aspetti innovativi appena considerati non sono legati ad una estesa riformulazione del testo; è facile, infatti, rendersi conto che le novità sono talora veicolate dalla mancata conferma di un determinato articolo del codice attualmente in vigore (come per il rispetto della vita e per l'eutanasia) o dal cambiamento anche di una sola congiunzione (è il caso della clausola di coscienza e dei limiti agli interventi) o dal fatto che il testo vigente resista invariato anche nella bozza di nuovo codice (con riferimento alle direttive anticipate o meglio sulla pianificazione condivisa delle cure).
 
È poi da osservare che, nella presentazione della bozza, è stato proclamato innovativo il fatto che nella bozza stessa si tratti del fine vita.
 
Ciò, in realtà, innovativo non è: la novità riguarda piuttosto un aspetto  particolare, già preso poco sopra in considerazione nella discussione sviluppatasi dalle osservazioni sulla clausola di coscienza, e che – per quanto mi consta – non è mai stato enfatizzato pubblicamente come originale. Nella bozza, è stata data la denominazione "il fine vita" ad un apposito capo, il IV, del codice.
 
Questo "capo IV - Il fine vita" è composto dagli articoli 26, 27 e 28. Nella versione in vigore, all'interno del vasto capo IV, che non è caratterizzato (come non lo sono gli altri capi del codice deontologico corrente) da alcuna rubrica e che raccoglie gli articoli dal 19 al 40, sono inclusi anche gli articoli 35, 36 e 39, che corrispondono, nell'ordine, ai tre articoli sopra menzionati compresi come attinenti al fine vita nell'attuale bozza del codice.
 
Orbene, la corrispondenza testuale delle due serie di articoli è quasi totale, a parte qualche ritocco sintattico che non altera il significato e la sostituzione del sostantivo "assistito" con la locuzione "persona assistita", nonché a parte – questa è la reale novità – il fatto che l'art. 27 della bozza si discosta dall'art. 36 in vigore, per la sostituzione della congiunzione "e" con "o", come già sopra commentato. 
 
In sintesi, i cambiamenti fra bozza e codice in punto di fine vita consistono nella tutela della volontà della persona di porre limiti agli interventi, compresi quelli salva-vita, quando questa volontà discenda dalla sola concezione di qualità della vita della persona stessa, cioè anche quando gli interventi proposti siano proporzionati alla condizione clinica.
 
Daniele Rodriguez
Professore ordinario di Medicina legale nell'Università degli Studi di Padova

05 marzo 2017
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