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Cassazione. Omicidio colposo per lo psichiatra se il paziente si suicida dopo scarsi controlli


Per la Cassazione penale (sentenza 11418 depositata il 21 settembre) se c'è anche solo il sospetto di condotte autolesive è necessario almeno un accertamento sanitario obbligatorio. La condotta del medico  è "oggettivamente al di sotto della diligenza esigibile" e costituisce una violazione delle "regole di prudenza". Gli psichiatri sono garanti nei confronti dei pazienti anche quando non c'è ricovero coatto: rimandare casa un paziente con condotta autolesiva a cui segue il suicidio può essere consderato omicidio colposo. LA SENTENZA.

25 SET - Secondo la Cassazione penale (sentenza 11418 depositata il 21 settembre) se lo psichiatra fa tutti gli accertamenti del caso su un paziente e questo, rimandato a casa si suicida, rischia la condanna per omicidio colposo.

Il fatto
Una paziente affetta da schizofrenia paranoide cronica con episodi psicotici acuti, era stata accompagnata dal convivente nell'ambulatorio psichiatrico dell'ospedale dopo aver assunto una quantità eccessiva del farmaco prescritto. Il medico si era limitato a constatare che la donna si presentava tranquilla, aveva gli occhi aperti e non manifestava i sintomi che derivano da un'assunzione esagerata del farmaco ingerito e aveva deciso di farla tornare a casa, ma la donna, dopo qualche ora, si era suicidata buttandosi dal balcone.

La decisione
Per i giudici – che hanno confermato la pronuncia della Corte d’Appello - il medico ha sbagliato escludendo a priori la veridicità dell'informazione del convivente, soprattutto considerato che il farmaco raggiunge livelli di picco nel sangue non prima che siano trascorse due ore dalla sua assunzione e che l'intossicazione varia da individuo a individuo. Dal giudizio era emerso che lo psichiatra era perfettamente a conoscenza del fatto che in alcune occasioni la paziente aveva manifestato una volontà suicida.

“Avere  ignorato tali dati – si legge nella sentenza - nella piena disponibilità cognitiva del  medico, qualifica la condotta di quest'ultimo come oggettivamente al di sotto delta diligenza esigibile, e integra certamente la violazione delle regale di prudenza che l'ordinamento impone”.
 
“In altre parole  - prosegue la Corte - l'imputato, chiamato a governare il rischio nella gestione della paziente, non ha posto in essere le condotte adeguate a scongiurare il rischio suicidario, e ciò anche tenuto canto del parametro del rischio consentito, atteso il significativo grade di disattenzione manifestata in ordine alla allarmante informazione ricevuta (ingestione massiccia di farmaco)”.
 
Senza contare, prosegue la Cassazione, “la sottovalutazione delle regole tecniche riguardanti gli effetti del farmaco e la grave negligenza mostrata allorquando, informato di un comportamento manifestamente rivelatore di un rischio suicidario, aveva consentito che la paziente rientrasse a casa senza attivare alcun trattamento terapeutico e alcun meccanismo di controllo, così violando gli obblighi di protezione imposti al medico psichiatra”.
 
“Sul punto, tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, i giudici di merito – si legge ancora nella sentenza - hanno correttamente sottolineato che, come emerge dai rilievi del consulente della parte civile, le linee guida della Società Italiana di psichiatria prescrivevano, a fronte di una  paziente che soffriva della patologia della xxx e in relazione alla quale si aveva il sospetto della manifestazione di una condotta auto lesiva (massiccia ingestione  da farmaco), l'adozione quantomeno  di un ASO (accertamento sanitario obbligatorio); e che, in base alle conclusioni  dei consulenti  del  PM, in un paziente psichiatrico l'assunzione di una quantità di farmaco eccessiva rispetto alla norma deve costituire un campanello di allarme, e ii sanitario si sarebbe dovuto attivare comunque annotando un supplemento diagnostico di indagini e un monitoraggio clinico  anche  presso  una struttura  di pronto soccorso”.

In questo caso per la Cassazione c’è anche il rapporto di casualità. I giudici hanno ritenuto che il comportamento del medico abbia avuto una "piena incidenza causale" sul suicidio della paziente, visto anche che lo psichiatra non aveva prospettato la possibilità di ricovero, non aveva tenuto la paziente sotto osservazione e non aveva detto al convivente di vigilare sulla donna. Se tali comportamenti fossero stati attuati, il suicidio avrebbe potuto essere evitato "con probabilità prossima alla certezza. Si tratta  di apprezzamento  immune da censure  e conforme ai principi sia in tema di causalità che di colpa".

25 settembre 2017
© Riproduzione riservata

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