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Carenza medici. Smi: “Non sia pretesto per un colpo di mano a danno dell categoria”


Il segretario generale, Pina Onotri: "No a soluzioni tampone, si preveda un fabbisogno adeguato. Si valorizzino i medici di famiglia, a partire dalle borse di formazione. Si stabilizzino i precari. In fondo si cercano soluzioni che vanno a nascondere quello che è il vero problema, ovvero il definanziamento del sistema-salute, per continuare sulla stessa linea: lo smantellamento della sanità pubblica".

21 FEB - "L’allarme lanciato sui dati Enpam relativi alla mancanza di medici è reale: 17 mila medici di famiglia in meno nell’arco di 5 anni, ma le soluzioni al problema, da più parti avanzate, sono inadeguate, anche perché devono essere mirate alla realtà". Questo il commento di Pina Onotri, segretario generale Smi, che analizza il fenomeno, andando oltre alla questione dei prossimi pensionamenti.
 
“In premessa - spiega - metterei in evidenza che il dato riguarda soprattutto il centro nord. Dalle stime in nostro possesso al sud non si è per nulla esaurita la pletora dei camici bianchi che andranno a rimpiazzare i pensionamenti. Sul resto del Paese i fattori che incidono su questa situazione sono diversi: mancanza di numero adeguato di borse di studio, oltretutto pagate la metà rispetto a quelle delle specializzazioni, deprofessionalizzazione e riduzione dei compensi, che, oltretutto, sono i più bassi in Europa, rispetto alla pretesa richiesta di un’organizzazione complessa sempre più costosa; infine la compressione dell’autonomia professionale e le scarse e inadeguate tutele per i medici del settore”.
 
“Se non si trovano medici - aggiunge - bisogna capirne i motivi e operare su quelli. Vengono previste poche borse di formazione, e quindi vi è un motivo squisitamente tecnico da superare, quindi queste vanno aumentate, ma sarebbe, opportuno anche cominciare a parlare di laurea abilitante: non può essere un tema tabu, come anche dell‘accorciamento dei tempi per l’entrata in graduatoria dei medici formati”.
 
Il segretario generale Smi, quindi, chiede che si preveda un’azione più complessiva per rilanciare la professione con interventi mirati per ogni singola regione: “Accorciare i tempi di scorrimento delle graduatorie, in Campania e Calabria, per esempio, i cui medici in lista sono pari a quelli che andranno in pensione nei prossimi 5 anni. E si ipotizzi una graduatoria unica nazionale con incentivi che favoriscano la mobilità dei camici bianchi in zone più disagiate e carenti. Quindi, si deve intervenire su tutele, stabilizzazione dei precari, dando dignità ai medici equipollenti ed equivalenti che al Nord, da decenni, assicurano il servizio.

Non solo: potenziare le scuole di formazione specifica equiparandole alle altre specializzazioni, anche a livello economico per quanto riguarda le borse. Crediamo, invece, che alzare il massimale sia la più inopportuna delle soluzioni proprio perché non va ad aggredire il fenomeno, non lo interpreta correttamente e non agisce sui motivi che lo determinano. Sarebbe, quindi, una soluzione di ripiego, assai primitiva, che suscita molte perplessità sul piano assistenziale (pazienti come numeri, come bestiame ?) e che fa sospettare che ci siano altre ragioni, convenienze economiche delle parti in causa, a discapito dell’entrata nel mondo del lavoro dei giovani”.

Infine, Onotri fa una riflessione più generale, invitando all’unità di azione dei sindacati: “In fondo si cercano soluzioni che vanno a nascondere quello che è il vero problema, ovvero il definanziamento del sistema-salute. Cioè si cercano ricette tampone non tanto per affrontare e sciogliere realmente il nodo centrale, ma per continuare sulla stessa linea: lo smantellamento della sanità pubblica“. 

21 febbraio 2018
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